Reincarnazione dell’Ala Littoria, compagnia di bandiera del periodo fascista, l’Alitalia raggiunse dopo quindici anni dalla restaurazione democratica una posizione di quasi monopolio e di assoluta predominanza nello scenario del trasporto aereo italiano, conseguendo – come prestigio internazionale, estensione delle linee e consuntivi di traffico – risultati di rilievo ma sproporzionati in eccesso rispetto al supporto finanziario assicurato dalla proprietà governativa. Indebolito da questo squilibrio, privo dei precedenti privilegi ed appesantito da oneri definibili extraziendali (acquisto di aeroplani non indispensabili, carente infrastruttura aeroportuale, sproporzionato appoggio politico alle pretese sindacali ed imposizione di dirigenti spesso inadeguati), il vettore aereo italiano a partecipazione pubblica non riuscì a trovare un assetto adeguato alle condizioni imposte dalla sopravvenuta deregulation e dalla globalizzazione. E, anche per l’inerzia governativa nell’adottare le necessarie provvidenze riformatrici, alla fine del 2008 pervenne al fallimento, che sarebbe stato possibile evitare accettando l’offerta di imparentamento con il gruppo Air France-Klm, offerta respinta dai sindacati in alleanza con il centrodestra. L’alternativa imposta da quest’ultima parte politica – il passaggio di gran parte del patrimonio dell’ex compagnia di bandiera ad una società di imprenditori privati – ebbe a rivelarsi inadeguata, cosicché a maggio 2013 il solo futuro che si prospettava a quanto rimaneva della vecchia Alitalia, stremata dalle perdite economiche, era quasi esclusivamente un recupero in extremis da parte dell’Air France-Klm, alle condizioni imposte da quest’ultimo.
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