Un saggio unico nel suo genere, che ci descrive la Beat Generation italiana dal punto di vista interno, di chi l'ha vissuta dal di dentro. Artisti cantori di un'epoca colma di speranze, di attese, di cambiamenti, dove tutto sembrava possibile attraverso una rivoluzione senza armi. Combatterono contro la società che li opprimeva, contro i suoi costumi e le sue feroci imposizioni. Sentirono il desiderio inconscio di scappare, di trovare un nuovo stile di vita ovunque si trovassero, furono cosmopoliti universali, grandi e fedeli discepoli della strada, metafora del percorso vitale che ciascuno può intraprendere. Talentuosi scopritori dell’animo umano. La loro ribellione, nel bene o nel male, ha cambiato per sempre i costumi culturali del Novecento. Lo scrittore, giornalista Giancarlo Padula tratteggia e scava, magistralmente, nelle loro anime e nelle loro menti, regalando ricordi ed aneddoti inediti di figure come Don Backy, a cui è affidata la prefazione del saggio.
Primo capitolo
Il jazz di Frisco, frenetico, sudato, vissuto e catartico; il jazz di Charlie Parker, “The Bird”, personaggio eroico e deificato da questa generazione; la poesia di Carlo Marx (Allen Ginsberg), declamata fino a tarda notte e i versi sconnessi di Mexico City Blues o della poesia Mare suoni dell’Oceano Pacifico a Big Sur che fa da appendice a Big Sur di Kerouac. Beat è la scoperta di sé stessi, della vita sulla strada, del sesso liberato dai pregiudizi, della droga, dei valori umani, della coscienza collettiva. Beat non è politica, nonostante molti movimenti abbiano origine da questa fonte. Beat non è religione, nonostante sia forte la componente religiosa in questo gruppo. Beat è libertà di essere sconfitti e, molto più probabilmente, è uno dei tanti termini che solo “hipsters dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto...” possono capire; perché non ha un vero significato semantico, ma più una connotazione mistica, insita nell’anima battuta, beata, ritmata, ribelle di quella generazione. In principio c’erano gli hipsters… Questo gruppo di figure distaccate rappresenta la corrente esistenzialista statunitense, che riconosce il rischio di una guerra atomica; e sente oppressivamente il peso della società consumistica statunitense del dopoguerra e dell’asfissiante standardizzazione delle masse. Essi sono distaccati, conoscono i pericoli e per questo si licenziano dalla società, iniziando a inseguire la loro esistenza profonda. Gli hipsters sono i tipi seri, abbottonati, misticamente in preda all’eroina che Kerouac descrive nella prima parte de I Sotterranei. Accanto a questi personaggi, emergono i beat; giovani sofferenti e focosi, dediti all’alcol e alla marijuana; poeti e romanzieri che vorrebbero condividere con l’umanità il loro amore per il tutto e, invece, si sentono incompresi. Per il loro stile di vita, essi sono accomunati spesso alla “lost generation” e, per stessa ammissione di molti scrittori beat, Whitman ed Hemingway sono alle origini delle loro ideazioni letterarie. Ma, in realtà, il movimento beat ebbe una portata assai più sconvolgente, grazie anche al periodo in cui emersero questi personaggi. Simbolo del beat è Neal Cassady, ispirazione di molte opere di Kerouac - ma anche di Ginsberg - e citato da altri autori statunitensi come Charles Bukowski, per l’eccezionale personalità che “l’ultimo sacro idiota d’America” riusciva a far esplodere. Il movimento beat è una corsa velocissima, ma che lascia il segno. Pochi sono riusciti a fermarsi prima del punto di non ritorno. Una gioventù bruciata. Il movimento è sostanzialmente frutto di un’utopia che nasce all’interno di un gruppo di amici, amanti della letteratura e completamente saturi della società in cui vivono, delle sue regole e tabù. I beat vogliono scappare, viaggiare, fare l’autostop fino a dove possono arrivare, ma non per un senso di fuga dalle responsabilità, bensì per trovarsi da soli nuove regole e stili di vita. Da qui viene l’avvicinamento alla spiritualità Zen, al cattolicesimo, al taoismo che tanto viene approfondito, discusso e rimodellato in un’ottica beat. E ancora, sempre da qui nasce anche l’abuso di sostanze stupefacenti, di alcool per trovare un nuovo sistema di regole, per sedare la sofferenza e per riunire l’Io e il Tutto. Inizialmente, il movimento beat - anche grazie al successo di Sulla strada di Kerouac - raccoglie un grande consenso e dà vita al movimento dei “figli dei fiori” e dei beatniks. Entrambi i gruppi saranno motivo di grave malcontento della società contro gli scrittori beat che, per il loro modo di vivere, non sembravano differenziarsi da questi personaggi che intendevano tutta la corrente come una rivolta contro la borghesia statunitense, che sfocerà nella protesta contro la guerra del Vietnam. A un certo punto, essere beat diventa scomodo sia per gli attacchi pressanti delle associazioni statunitensi che per le intrusioni nella sfera personale da parte di fan e giornalisti, che vedevano in questi uomini dei simboli della rivolta che non avevano il coraggio di fare. “l’hipster caldo è il folle dagli occhi scintillanti (innocente e dal cuore aperto), chiacchierone, che corre da un bar all’altro, da una casa all’altra, alla ricerca di tutti, gridando irrequieto (...) la maggior parte degli artisti della Beat Generation appartiene alla scuola hot.” (Jack Kerouac) La prima compagine dei beat era formata dalla triade composta da Jack Kerouac, Lucien Carr e Allen Ginsberg, che si incontravano con altri ragazzi al Greenwich Village di New York, discutendo, facendo baldoria e condividendo i propri lavori fino a tarda notte. Pur essendo più anziano, anche William Burroughs è considerato un forte elemento di questa prima formazione beat; in relazione ai giovanissimi Kerouac e Ginsberg, la sua figura si potrebbe meglio definire come quella di una guida attraverso i meandri della letteratura e della filosofia. Sarà una fase ricca di viaggi per gli USA - specie verso “Frisco”, ossia San Francisco - e di momenti storici: il Vietnam, il mega-raduno concerto di Woodstock, la paura dell’atomica, le rivendicazioni razziali e studentesche. In seguito, ai tre “fondatori” dell’epoca beat si aggiungeranno Neal Cassady, Gary Snyder, Lawrence Ferlinghetti e Gregory Corso, spesso considerato il più importante della “trinità beat”, il quale instaurerà proprio con Kerouac Jack “re dei beatniks” Kerouac un rapporto di odio e amicizia in chiave beat. Quando Ginsberg si trasferì a San Francisco, mecca di tutti i beat e residenza del “santone” Henry Miller, idolo assoluto di questo movimento, iniziò una fase che molti dicono della “Scuola di San Francisco”. Su di essa non c’è molto da aggiungere, se non il fatto che Ferlinghetti, nella sua libreria City Lights Bookstore nel North Beach di San Francisco, pubblicò alcune opere beat tra cui Howl, uno dei più famosi manifesti del movimento. Quest’ultimo andò piano piano scemando come idea di gruppo, di pari passo con la fine delle contestazioni. Si lasciò dietro le morti premature di Cassady e Kerouac, una lunga disapprovazione sociale e tante opere che ancora oggi sono custodite presso City Lights, diffuse e stampate in tutto il mondo. E, nonostante tutto, questa “filosofia” di vita, ricca di leggende metropolitane e di ragazzi che si spingevano a tutta velocità per le strade verso l’ignoto, ancora oggi vive nel ricordo e nella fantasia di molti. All’origine del movimento negli USA ci sono probabilmente figure più o meno vicine al movimento del trascendentalismo ottocentesco, fra cui spiccano Ralph Waldo Emerson, Henry David Thoreau e Walt Whitman. Fra i movimenti affini, ma storicamente troppo distanti, ci sono quelli cinici della Grecia antica. Gli autori beat riprendono e amplificano i temi della contestazione giovanile della loro epoca che, partendo da una critica radicale alla guerra del Vietnam, si estendono all’intero sistema statunitense, mettendo in discussione: la segregazione razziale dei neri, la condizione subordinata della donna e le discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale sono soltanto alcuni dei temi in discussione. Scrivono di viaggi mentali - anche mediante la sperimentazione psichedelica di droghe quali l’LSD - e fisici, in lungo e in largo attraverso le strade degli USA, come descritto nelle pagine di Sulla strada da Kerouac, durante i suoi viaggi da una costa all’altra degli Stati Uniti. È stata Fernanda Pivano, con le sue traduzioni, a favorire la conoscenza del pensiero beat in Italia, facilitata dall’essere amica dei suoi maggiori rappresentanti e autrice di molte prefazioni delle loro opere. Molti appartenenti alla “beat generation” vennero spesso in Italia: alcuni per trovarvi ispirazione, come Ferlinghetti per il suo Scene italiane; Allen Ginsberg al Festival di Spoleto del 1965; Jack Kerouac che, nell’ottobre del 1966, fu protagonista di un tour di conferenze, organizzato dalla Mondadori e, in alcune di esse, si faceva accompagnare dal cantautore Gian Pieretti, scoperto grazie alla segnalazione di Donovan. Poesia, letteratura, musica e stili di vita vennero, in qualche modo, coinvolti da queste presenze. A differenza di quello che avvenne negli USA, la poesia e la letteratura di ispirazione beat in Italia si sviluppò (in modo molto sotterraneo e in ritardo dall’esperienza originale d’oltreoceano) dal 1965 ai primi anni Settanta , con un lungo crepuscolo che si esaurì solo alle soglie degli ‘80. Tra i punti di riferimento, negli anni Sessanta, ricordiamo: la libreria Hellas e l’editrice Pitecantropus (ambedue a Torino), il Beat ‘72 (che nasce a Roma nel 1964, nei locali di via Belli, per mano di Ulisse Benedetti), l’aperiodico I Lunghi Piedi dell’Uomo, curato da Poppi Ranchetti. E ancora, per ultimo: la rivista Pianeta Fresco, ispirata e diretta da Fernanda Pivano, per un certo periodo anche stimolo diretto per molti giovani creativi, che l’Autrice incontrava spesso nella sua abitazione milanese di via Manzoni. Tra i poeti beat di lingua italiana si ricordano: Gianni Milano, Vasco Are, Aldo Piromalli, Vittorio di Russo, Carlo Silvestro e il ticinese Franco Beltrametti. Tra gli scrittori: Silla Ferradini, oggi scultore di fama, autore molto underground di un solo libro, I Fiori Chiari (La Scimmia Verde ed., Milano, 1976), cronaca della scena beat milanese anni Sessanta; Andrea D’Anna e il suo romanzo psichedelico Il Paradiso delle Ur (Feltrinelli, Milano, 1967) e Melchiorre Gerbino con Gamla Stan (Giordano Editore, 1967, Milano). Negli anni Settanta, la deriva beat influenzò ancora alcuni giovani autori italiani che avevano aggiornato le loro visioni poetiche, filtrandole con l’influenza della “freak-generation” nord-statunitense. Da ricordare, tra questi: Giulio Tedeschi, editore di Tampax e organizzatore di reading di poesia e musica; Piero Verni e il ticinese Antonio Rodriguez, curatore della rivista psichedelica Paria.