Un thriller musical-letterario ambientato tra Venezia, Parigi e Londra. Narra la storia di un violoncellista che accetta un incarico presso l'Orchestra di Musica Antica di Venezia e si troverà ben presto al centro di un giallo che si dipana tra musiche misteriose, intrecci amorosi, intrighi esoterici e ipotesi ingannevoli che conducono a continui colpi di scena, per arrivare a un finale travolgente quanto inaspettato.
Romanzo vincitore della prima edizione del Premio "Lorenzo Da Ponte" 2017, concorso letterario per romanzi musicali inediti.
Primo capitoloI
La luce rossa iniziò a lampeggiare furiosamente. Istintivamente osservai gli altri viaggiatori: avevano tutti lo sguardo puntato in avanti, verso la cabina di pilotaggio, ma sembravano tranquilli, potevo addirittura vedere le teste ondeggiare curiosamente all’unisono, come se stessero cantando, anche se nessun suono si udiva nell’aria. Guardai ancora la luce d’emergenza per essere sicuro di non sbagliare, ma continuava imperterrita a segnalare il pericolo imminente.
Cercai così di attirare l’attenzione del mio vicino, un giovanotto in vestaglia e ciabatte, con un asciugamano intorno al collo, che mi sorrise imitando il gesto dell’autostop a pollice alzato. Mi sembrò di riconoscerlo e provai a dire qualcosa, ma nessun suono uscì dalla mia bocca. Tentai allora di urlare, ma nulla poteva scalfire il silenzio soffocante che mi avvolgeva; era materiale e palpabile, una melma trasparente e molliccia, entrava in gola, nelle orecchie; opprimeva tutto il corpo. Un silenzio così non l’avevo mai sentito.
Poi accadde qualcosa.
All’inizio fu solo una vibrazione grave, un suono bassissimo, lo avvertii con il corpo prima che con le orecchie, un dondolio ancestrale e misterioso. Poi si stratificò, si divise in mille oscillazioni diverse, forse è meglio dire voci, ma solo perché avevano una loro coralità, per il resto erano tutt’altro che umane. Non avevano neanche una provenienza precisa, erano ovunque, potevo sentirle vibrare dentro di me e contemporaneamente le udivo echeggiare a distanza siderale.
La paura lasciò spazio alla meraviglia e alla curiosità. Volevo ‘vedere’ quei suoni, sapevo che era possibile.
Guardai fuori da un finestrino dalla forma fluttuante che, intuendo il mio desiderio, s’ingrandì fino a scoperchiare il rottame accartocciato che mi stava portando a zonzo per l’universo e li vidi. In un primo momento mi sembrarono meteoriti, luci viaggianti, erano chiare e accecanti, si muovevano caotiche ma senza mai toccarsi. Una di queste si avvicinò e ne potei distinguere le piume bianche come gigli, fuse l’una all’altra dalla velocità; vidi due occhi azzurri semichiusi e luminosi, i riccioli biondi miracolosamente vaporosi e, con la coda dell’occhio, seguii la lunga tunica, così tesa da sembrare di metallo, dorata di un giallo antico. Erano tante quelle creature, e continuavano a moltiplicarsi, come riflessi di luce a pelo d’acqua.
Solo allora mi resi conto che non ero più seduto sulla poltrona dell’aereo. Dell’improbabile velivolo non c’era più traccia e stavo ascendendo al cielo, attraverso una galleria di membra e corpi intrecciati, verso un punto ancora più luminoso. Guardando in alto vedevo la scia infinita di gambe e braccia, come se stessi risalendo da un’apnea in un lembo di mare affollato di bagnanti. Ma non ero in acqua e, a ben guardare, nemmeno in cielo, anzi, avevo i piedi ben piantati a terra.
Mi trovavo di nuovo nella mia città, più precisamente all’interno di una chiesa: solo il naso e gli occhi erano all’insù, puntati verso gli spazi trascendentali della cupola del Duomo, in salita libera dietro alla Madonna, con il corpo e le orecchie pieni di una musica mai sentita, dentro a quell’incredibile capolavoro visionario che è l’Assunzione di Antonio Allegri detto il Correggio.
II
Più che squillare, il cellulare, ringhiava. La mia assunzione al cielo si lacerò in quel suono insistente, svelando l’effimera costruzione onirica e ciò che si nascondeva dietro le quinte: un soffitto bianco di sei metri per sette, quello del mio nuovo monolocale.
Per fortuna sono veloce a svegliarmi: al primo squillo capii che ero nel mio letto, dovevo essermi addormentato all’alba con il portatile acceso; al secondo squillo realizzai che era mezzogiorno passato e iniziai a scandire bene i numeri da uno a cinque, liberando la mia gola da tutto il catarro accumulato nella notte; al terzo squillo avevo la voce chiara e definita; al quarto, ormai abilitato a presentarmi al mondo, risposi.
– Pronto? – dissi fingendo di essere sveglio da ore e impegnato in chissà quale attività.
Dall’altro capo una voce baritonale dall’accento indefinibile marcava ogni periodo con un respiro profondo:
– Sono Arthur Weller, direttore dell’Orchestra di Musica Antica di Venezia. Parlo con il professor Sauro Parisi?
– Sono io – risposi, con la testa sotto il letto a cercare le ciabatte, ma dovevano essere fuggite notte tempo.
– La chiamo per proporle una collaborazione con il nostro ensemble, probabilmente avrà già sentito parlare di noi. – E rimase in silenzio, in attesa di una conferma sulla notorietà della sua orchestra, ma io di musica antica non ne sapevo davvero niente e tanto meno seguivo con interesse il via vai di gruppi autogestiti nella scena musicale italiana.
– Certo che ho sentito parlare di voi, e anche un gran bene – affermai assecondando il mio bisogno di lavorare.
Da oltre tre mesi non guadagnavo un centesimo e l’immobilità mi stava riducendo a un mollusco, sia dal punto di vista fisico sia mentale.
– Domani inizieremo le prove e abbiamo bisogno di un violoncellista. Sarei felice se accettasse la nostra offerta.
– Domani? Così presto? – chiesi stupefatto.
Nel frattempo mi ero trasferito in bagno e avevo iniziato la difficile ricerca dello spazzolino da denti nel beauty case. Da quando avevo preso in affitto il monolocale non ero ancora riuscito a mettere ordine fra le mie cose, sintomo inequivocabile della confusione che regnava nella mia vita.
– Esatto, domani alle dieci è prevista una prova a Venezia, alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista. Ci sarà sicuramente un treno da Parma al mattino presto. Tre giorni di prove, poi una piccola tournée in Europa: Parigi, Londra e Amsterdam. Al ritorno saremo di nuovo a San Giovanni Evangelista e registreremo i brani che abbiamo suonato in tour.
– Senta… – risposi senza nascondere una certa preoccupazione – non so chi le ha dato il mio numero di telefono e perché avete scelto me, ma per onestà devo dirle che non sono pratico di musica antica. Voi siete degli specialisti, io ho suonato dieci anni in un’orchestra sinfonica. Non è la stessa cosa.
M’interruppi perché il tubetto del dentifricio, torturato dalle mie pressioni, era esploso sulla mia camicia, peraltro emettendo un suono poco elegante che sperai non fosse arrivato all’altro capo del filo.
Imprecai silenziosamente e Weller ne approfittò per tranquillizzarmi.
– Sappiamo che lei è un serio professionista e questo ci basta. Non dimentichi che farà da secondo violoncello a mio figlio Biagio, sarà lui a darle tutte le indicazioni necessarie per eseguire correttamente le partiture. Pensi solo a procurarsi uno strumento adatto. Al resto penseremo noi. Accetta?
Rimasi in silenzio qualche istante, stavo solo cercando di raccogliere con lo spazzolino un po’ di dentifricio in un qualunque punto della camicia, ma, nonostante ci fossi riuscito diverse volte, la profumata pasta bianca continuava a finire impiastricciata a terra.
Weller prese quella pausa come un’indecisione.
– Tremila euro netti più le spese – precisò per sollecitare il mio lato artistico.
– Accetto! – risposi, pensando che per quella cifra valeva la pena di essere buttati fuori da qualunque orchestra. – Suppongo si tratti di una sostituzione…
Il mio interlocutore fece un profondo respiro, a far intendere che non era cosa facile da spiegare.
– Il nostro secondo violoncello ha improvvisamente lasciato il gruppo. Lei ci sta risolvendo una situazione davvero difficile e le siamo grati di questo.
– Posso avere qualche anticipazione sul programma? Giusto per sapere se c’è qualche brano che ho già suonato – chiesi con curiosità.
– La prima parte del concerto sarà composta da capolavori barocchi e classici: eseguiremo un concerto per archi di Vivaldi, la Suite in Si minore di Bach e due divertimenti di Mozart. La sorpresa verrà nella seconda parte: presenteremo un’importante scoperta musicologica, La Creazione di Venanzio Storioni, si tratta di una raccolta di quattro concerti per archi. Sarà molto sorpreso da ciò che sentirà. Non vorrei esagerare, ma sono convinto che assisteremo a un evento di portata storica.
Aveva caricato di un’enfasi tale le ultime parole che non trovai il coraggio di chiedergli chi era Venanzio Storioni. Altre volte mi era capitato di suscitare lo scherno di amici musicologi solo perché, pur essendo un professionista, non conoscevo personaggi basilari, almeno a loro dire, della storia della musica. Non avevo nessuna intenzione di passare per il solito esecutore ignorante, così feci qualche commento generico e cercai di chiudere la discussione, ripromettendomi di documentarmi meglio sul deumm, l’infallibile enciclopedia della musica.
Weller si dilungò ancora sull’importanza del progetto, quasi per accertarsi della mia decisione a collaborare. Lo rassicurai e concordammo l’appuntamento per il giorno dopo. Avevo appena iniziato a radermi quando, improvvisamente ispirato, mi cosparsi di schiuma da barba il cranio e mi rapai a zero.
L’offerta di Weller poteva essere una buona occasione per cercare di dare una svolta alla mia vita e mi piaceva l’idea di sottolineare questo cambiamento variando in qualche modo il mio aspetto. Ma alla fine dell’operazione, guardandomi allo specchio, rimasi deluso: l’assenza di capelli aveva amplificato, e non in meglio, i miei lineamenti. Il mento e il naso mi apparivano enormi, gli occhi sembravano uscire dalle orbite e le orecchie davano l’idea di essere posticce.
Mi venne in mente il sogno che avevo fatto: ascendevo al cielo con una schiera di angeli e la Madonna, in uno degli affreschi più famosi del mondo.
A modestia non eccellevo, almeno in ambito onirico, ma c’era una redenzione che esprimeva il mio bisogno di cambiamento.
E c’era poi la musica che avevo sognato. Strinsi le dita sul bordo del lavabo cercando di ricordarla. Ma nulla era rimasto, eccetto la sensazione che mi aveva provocato.
Non avrei mai potuto scrivere neanche una nota di quella inusuale melodia.
E anche melodia era una parola inadeguata.