“La follia […] ci schiude una verità ultima e nascosta delle cose, forse innominabile. Il punto è riuscire a “usare” questa verità – che può balenare all’improvviso mentre siamo saliti su una torre – senza però le conseguenze distruttive della follia stessa […].” (Filippo La Porta)
3, 3, 99, 33. Quella combinazione numerica era una profezia per lui. Filippo non aveva dubbi. Il 3 marzo 1999, giorno del suo trentatreesimo compleanno, ad attenderlo ci sarebbe stata una svolta nella sua vita. Anche i Tarocchi confermavano che la sua personalità si stava trasformando, come in un processo alchemico. Aveva iniziato a scrivere un dramma teatrale su Torquato Tasso, che lo attraeva da sempre per la bellezza struggente delle sue opere, ma anche per la sua vita segnata dal disturbo bipolare. Però, proprio da quel fatidico compleanno, le sue certezze cominciarono a incrinarsi e la vita di Filippo iniziò a intrecciarsi sempre più strettamente con quella del suo Torquato. A testimoniarlo l’alternarsi di “secche e maree” e un diario con “ori e orrori”.
Vent’anni dopo, quel diario e gli Atti teatrali sul Tasso offriranno a Filippo l’occasione per riflettere su se stesso e sulle ingannevoli chimere partorite da una malattia che, per paradosso, ottenebra la mente anche per mezzo di una luce abbagliante e le cui vie si confondono non di rado con quelle del misticismo e dell’arte.
Isabella Caracciolo nasce nel 1963 a Pisa e nel 1970 si trasferisce a Roma, dove si laurea in Letteratura Italiana con una Tesi su Tommaso Landolfi, scrittore, traduttore e glottoteta. Su Landolfi pubblica due saggi, il primo nella raccolta La liquida vertigine (2001), il secondo sulla rivista Paragone (agosto-dicembre 2007). Dal 2011 vive e lavora in Francia e nel 2013 pubblica la novella Ritratto a dispetto. Chimere nostre è il suo primo romanzo.
Man mano che si procede con la lettura di Chimere Nostre, la domanda che viene spontanea è: chi è, o meglio, cosa è Filippo? La risposta potrebbe apparire ovvia. Filippo, attore di teatro e con la passione, anzi l’ossessione per Torquato Tasso e la cartomanzia, è un uomo di trentatré anni. Figlio di Attilio ex famoso cantante lirico ora in disgrazia e di Cecilia, chimico e separata dal marito, del quale è ancora succube.
A questo punto può sembrare di aver trovato il bandolo della matassa. In realtà questo ci sfugge continuamente di mano per rientrare nel gomitolo e ingarbugliarsi sempre di più in un groviglio che sembra irrimediabilmente inestricabile. Sopraffatti da questa confusione, anche se attratti dalla narrazione fluida e colorita dell’autrice, ecco che come un mantra appare “la poltrona verdolina” simbolo di una concretezza che riporta un po' di lucidità e serenità a Filippo.
Filippo è tanto, forse troppo. L’amore smisurato per il Tasso con il quale instaura un rapporto malsano, lo porta inevitabilmente a identificarsi con lui, fino a confondere le persone reali che Filippo incontra e conosce con i personaggi sofferti delle opere del drammaturgo. Un’altra domanda che ci si pone é: cosa sono le Chimere? Queste non sono altro che i paradossi partoriti dalla mente malata di Filippo di cui non ha piena coscienza. [...]
Chimere Nostre non è un semplice romanzo ma, come spiegato nella postfazione dello psichiatra Mario Del Villano (postfazione che deve essere “rigorosamente letta alla fine del libro”, pena togliere quel minimo di suspense che ci avvince), è un viaggio onirico nei meandri della mente malata. Un viaggio che affronta interrogativi su questioni filosofiche, religiose e psicologiche non solo di Filippo, ma di tutti noi. [...]
Romanzo vigoroso e cromatico, con la bella e intensa rievocazione dell’infanzia di Filippo a Viareggio con vividezza di colori, forme, suoni e odori, Chimere Nostre è un racconto dentro un racconto, una profonda meditazione sulla vita e la morte, sulla normalità e la follia, descritta non in un modo distaccato e astratto ma fortemente partecipato e intenso.