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Edizioni del Loggione

Carlo Vanni & Eliselle
Cucino ergo sum

Cucino ergo sum
Prezzo Fiera 9,00
Prezzo fiera 9,00

Siete inseguiti da una folla di nemici che vogliono la vostra pelle e vi trovate di fronte ad un campo di fave: che fate, attraversate o vi fate fare a tocchetti? La risposta non è così scontata; Pitagora, ad esempio, al vostro posto avrebbe compiuto una scelta suicida. Il perché, nessuno lo ha ancora capito; forse, invece di appellarsi  ad astruse credenze mistiche, era semplicemente scemo. Seneca, era saggio come sembrano dire gli scritti che ci ha lasciato? Epicuro era davvero il libertino godereccio dal quale ci hanno messo in guardia? Come faceva Montaigne a dissetarsi col salame?  Schopenhauer era o no vegetariano? Perché Rousseau rubava i grissini,  e come faceva Kant a diventare all’improvviso gioviale?
La storia dei filosofi e delle loro filosofie contiene molti gustosi aneddoti  che ci avvicinano a queste personalità dalle quali scaturivano tanti incredibili pensieri, facendoli compatire,
comprendere ed amare nella loro dimensione umana.  Perché la filosofia si può imparare lungo infinite ore sui banchi di scuola, oppure con un bel piatto di pastasciutta ed un bicchiere di vino davanti: noi preferiamo la seconda opzione. E voi?

Primo capitolo

INTRODUZIONE

Se potessimo avere 10 euro per ogni volta che abbiamo sentito qualcuno dire che l’uomo è ciò che mangia, adesso non saremmo qui a scrivere questo libro. O forse sì, ma lo faremmo dettando frasi al nostro fido ghost writer inginocchiato al fianco delle nostre sdraie, mentre noi su una spiaggia polinesiana sorseggiamo qualcosa di fresco con un ombrellino dentro. Il ché vorrebbe dire che saremmo qualcosa di fresco con un ombrellino dentro, stando a ciò che diceva Feuerbach. Invece, Pitagora sarebbe stato di sicuro qualcosa di diverso dai legumi, che detestava; Schopenhauer probabilmente pollo con patate, e anche abbondante, Platone fichi secchi, Diogene pane e lenticchie, Nietzsche salsicce, Rousseau grissini, Kant baccalà e Wittgenstein sarebbe stato troppo occupato a masticare per dircelo (del resto, perché parlare quando non si ha niente da dire, o si ha la bocca piena?). Marx, dal canto suo, avendo avuto lo stomaco vuoto tutta la vita non è chiaro cosa sarebbe stato. Forse, una sovrastruttura.
Il bello è che Feuerbach non stava mica pubblicizzando qualche dieta dell’epoca; voleva solo rampognare i tanti pensatori con la testa tra le nuvole che era ottima cosa restare coi piedi per terra, dare un po’ di spazio al materialismo anziché rincorrere pregiudizi filosofici e credenze religiose che, messe in un piatto, finirebbero per saziare solo gente tipo, poniamo, Angelina Jolie. In tutto l’Illuminismo, per dire, ci sono meno calorie che in un gambo di sedano. E poi il suo era un gioco di parole: “L’uomo è ciò che mangia” in tedesco suona “Der Mensch ist was er isst”, quasi uguale a “L’uomo è ciò che è”, che ci eravamo arrivati anche noi. Insomma, un burlone. Da qui a vedere intere generazioni di nutrizionisti appropriarsi della sua frasetta, disgraziatamente, il passo è stato breve, e ora ce la dobbiamo strozzare a ogni due per tre.
Ci è venuta l’idea di questo libro che eravamo ancora piccoli, quando, alla domanda ansiosa dei nostri genitori ma insomma, si può sapere cosa vuoi fare da grande?, noi fornivamo risposte inconsulte e potenzialmente pericolose del tipo: il poeta, lo scrittore, il filosofo. Al che i genitori dei nostri filarini ci chiudevano di netto la porta in faccia, e i nostri, strappandosi i capelli, decretavano la nostra morte per inedia, oppure lo sviluppo dell’abilità darwinianamente molto vantaggiosa di poter campare d’aria. C’è mai stato qualcosa di più aleatorio del mestiere di filosofo? Uno che comincia a perorare una causa e, addirittura, si sforza di mostrarsi coerente con essa? Qualcosa di meno pratico e meno terreno? Eppure anche loro – non sempre, certo, e sicuramente non tutti ci riuscivano – dovevano riempire la pancia in qualche modo, per poter continuare a filosofare. Persino Platone, che pure aveva provato a cibarsi di idee iperuraniche, di tanto in tanto doveva mettersi a tavola, non avendo ancora trovato la via per quella rivoluzione della quale cantavano Gaber e Luporini per la quale le idee in se stesse si potessero mettere nel piatto.
Feuerbach, dal canto suo, essendo un materialista, per un po’ cercò di far valere le sue idee e di insegnarle ma, dopo aver preso un certo numero di bastonate sul groppone, fece quello che ogni buon materialista deve fare: sposò una donna molto benestante e si sistemò, perlomeno per un certo numero di anni; anni nei quali si divertì a dire agli altri (non materialisti) che non dovevano asservire il loro pensiero alle necessità materiali, che lui al momento non aveva. Poi, quando le cose andarono a rovescio, ebbe un moto di orgoglio e si risolse per il vivere grazie alla carità altrui. Sempre filosofeggiando. Perché come disse Ernst Bloch, l’uomo non vive di solo pane, specialmente quando non ne ha.
Perché alla fin fine, i filosofi erano gente come noi. Ciascuno con le sue stupidaggini e le sue idiosincrasie, brillante in un paio di campi, potenzialmente imbecille in una moltitudine di altri; tutte persone che, a invitarle a cena, ci si sarebbero pure potute fare due risate: a volte assieme a loro, a volte alle loro spalle. E allora, siccome ci piace sia divertirci che mangiare, li abbiamo invitati a cena noi. O a pranzo, insomma; coi piedi sotto a un tavolo, per vedere cosa avevano da raccontarci e cosa avrebbero ordinato dal menù. Tipo: Eraclito non si sarebbe mai deciso, perché tutto scorre e quello di cui aveva voglia al momento magari una volta portato in tavola l’avrebbe schifato subito; Parmenide al contrario avrebbe chiesto il solito, tanto nulla cambia, e Zenone il brodo di tartaruga, ben sapendo che il cuoco non sarebbe mai riuscito a raggiungerla. Epicuro si sarebbe lamentato perché, come mai se tutto scorre qui il vino non arriva mai? Ed Epitteto l’avrebbe rimbeccato, “contentati dell’acqua gassata, perché di quella ce n’è in abbondanza”. La Mettrie si sarebbe lagnato di avere troppa fame, Diogene di avere troppa ombra, Schopenauer troppa compagnia, Platone, troppa poca. Marx avrebbe fatto mettere in un sacchetto gli avanzi. Wittgenstein non si sarebbe lagnato affatto perché, mentre tutti sarebbero stati impegnati a pensare che non parlava per via dell’impossibilità di comunicare l’incomunicabile, egli, al contrario, sarebbe stato troppo occupato a masticare.
Noi, invece, tra una bottiglia di quello buono stappata, un polletto infornato, un’insalata messa in tavola e un sacco di risate (per non dire dei surgelati passati al microonde), ci siamo divertiti a immaginare come si comporterebbero tutti questi strabilianti pensatori con una forchetta in mano, a pensare per loro degli ideali (o idealistici) menù pescati dalle innumerevoli tradizioni culinarie e, lo ammettiamo, spesso e volentieri a prenderli in giro. Perché non c’è piacere più grande di trovarsi a mangiare qualcosa assieme spettegolando sugli assenti e prendendoli per i fondelli.

Ci fate compagnia? Aggiungiamo una sedia.

Specifiche

  • Pagine: 150
  • Anno Pubblicazione: 2015
  • Formato: 14x20
  • Isbn: 978-88-6810-219-7
  • Prezzo copertina: 9

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