Dopo aver indagato in opere precedenti il mondo del magico femminile nella tradizione popolare piemontese, l’Autrice approfondisce l’argomento estendendolo ad esseri magici di natura differente, dall’uomo selvatico ai draghi ai misteriosi pedoca che abitano le cime oppure le valli segrete ricche d’oro. Ma il discorso si amplia ove possibile alle fonti oscure e remote da cui le complesse leggende di draghi, dinosauri o mostri del cielo traggono origine; agli eventi astronomici o meteorologici, alle guerre e alle distruzioni portate da nemici non ben definiti, che nella realtà storica si identificano via via con i romani, i germani, i saraceni o il Barbarossa. Alle città lontane nel tempo travolte dalle acque, ai meravigliosi ricami d’oro degli abitanti dell’alta valle di Ceresole, a Melampo cui i serpenti avevano mordicchiato le orecchie… un mondo di fiaba, che però contiene saggezze remote di cui troppo spesso ci si è dimenticati.
Primo capitoloEsseri misteriosi: i piedi d’oca, i draghi e l’uomo albero
Come già in studi precedenti è stato messo in evidenza(1), l’immagine della donna con la zampa d’oca è uno degli argomenti più complessi nella storia delle civiltà umane.
Nella cultura basca preromana, la dea Mari con il suo consorte Sugar (o Maju) abita sotto terra: è una donna/animale, mentre Sugar è un uomo serpente, o un dragone. Il loro culto si attua soprattutto a Logroño e a Zugarramurdi, lungo il cammino di Santiago. Attributi della dea sono diversi oggetti d’oro, spoletta, pettine, matasse di filo d’oro, ed ella ha un corteo di fanciulle dette Laminak, che hanno zampe di gallina, anatra o oca, come peraltro le Launas baltiche(2). In Italia, lo stesso tipo di figure femminili compare in Sardegna e in Piemonte, sia nel Biellese sia nel Cuneese(3). In tutti questi casi, le fanciulle sono legate all’acqua, mentre la dea Mari è legata alle miniere d’oro. Tuttavia i pedoca o Elfi, alti e biondi, del Biellese come di Mombarone sull’Elvo, scavano le miniere d’oro nelle montagne piemontesi(4).
Sempre nel Cuneese tuttavia al Bech d’Arnòstia sopra Boves una cattiva Pedoca avrebbe perseguitato le genti per il fatto che non aveva scarpe adatte per il proprio piede palmato, come a Cortiglione in provincia di Asti. Ad Alessandria poi san Baudolino avrebbe liberato la città da una invasione di spiriti maligni che comparivano in forma di oche.
Se si passa alla tradizione bretone Ygraine madre di Artù sarebbe stata una fata oca; quanto a santa Brigida, sarebbe stata una divinità celtica, indicata anche come rondine, come cornacchia, o in forma di altri uccelli. Anche in Normandia, a Pirou, alcune fate si sarebbero trasformate in oche per sfuggire ai Normanni invasori.Tutte queste fate, nei loro paesi di provenienza, sono ritenute complici della edificazione dei santuari megalitici e dei menhir.
Comunque, tra tutte queste donne con piede d’oca, secondo alcuni la prima è Bilqis, regina misteriosa, che tardivamente compare anche nella Bibbia, sotto i ben noti panni della regina di Saba. Infatti una leggenda araba vorrebbe che Salomone, per sorprendere la regina che sa ricchissima, facesse ricoprire di cristallo i pavimenti della reggia, in modo che l’impressione sia quella di camminare sull’acqua. Ma la trovata fa sì che sul pavimento si rifletta l’immagine di chi vi sta sopra, e in questo modo si svela il segreto di Bilqis: gambe pelosissime ed uno dei due piedi caprino.
Secondo altri, mentre per il pelo si provvede poi con una pasta depilatoria fatta apprestare da Salomone, il piede deforme deve essere guarito da procedure più complesse, anche perché non è caprino, bensì palmato: un piede d’oca: Bilqis è figlia dell’upupa.(6)
La leggenda, già non chiarissima di per sé - si vedano gli espedienti che Salomone e la regina mettono in atto per mettersi reciprocamente alla prova – si complica con questo elemento dell’upupa. È l’upupa infatti che, quando Salomone riunisce tutti gli animali perché ne conosce il linguaggio(7), arriva in ritardo e svela di essere stata nel regno di Saba che è ricchissimo, bellissimo e governato da una bellissima e sapientissima regina.
Prima di lei però, o forse solo prima che su di lei si formasse la leggenda araba, hanno piedi palmati Anath, Anahita, Afrodite detta Anaxarete o Anate (Papera). Il piede d’oca denuncia però sostanzialmente l’appartenenza di colei che ne è caratterizzata ad un mondo altro. Come la coda di serpe di Melusina, le grandi orecchie o il piede deforme dei suoi figli, il “grande piede” di Berta e via via tutte le strane fattezze narrate dalle leggende, giù giù fino alla maschetta di Lillianes, che avrebbe zampe di mulo, il piede d’oca indica una appartenenza a mondi sconosciuti, misteriosi o minacciosi.
Nella variante della leggenda di Melusina diffusa in Ariège, il divieto posto al marito è di chiamare la moglie fatata con parole che ne denuncino la natura: fada, ancantada, dona del fum, dona de aiga, ma soprattutto draga o pedauca(8). Quando, inevitabilmente, il marito infrange il divieto, la donna scompare, di solito dentro un pozzo o una fonte profondissima (non a caso uno dei nomi vietati è dona de aiga)(9).
L’equivalenza di questi nomi è assai significativa. In Ariège, fada, o fata, è in un certo senso quello più esplicito: la sposa non è una donna come le altre, ma - potremmo dire prendendo a prestito una locuzione di altre regioni – una “donna di fuori”(10), infatti è sottoposta ad un incantesimo (ancantada) e legata ad una fonte, come le dee pagane e come le fate, ma anche come molte Madonne, bianche o nere che siano, dei santuari alpini. Meno chiaro è il riferimento al fumo (donna di fumo come illusione?), mentre chiarissimo è il senso degli altri due epiteti, draga e pedauca.
Il legame con i draghi, come vedremo, è molto complesso e non casuale (del resto Melusina dopo la violazione del tabù diviene un nero drago), ed evidentemente equivale per ampiezza e complessità a quello con le - o forse i - pedoca.
Nell’alto medio evo, in quello che sarà il Pays d’oc, Pedoca corrisponde ad Austris, regina o principessa leggendaria, secondo alcune tradizioni lebbrosa, che viene fatta coincidere con il vento del sud, e che ha come attributo una rocca magica atta a filare il lino(11). Ora, in lingua d’oc la rocca viene chiamata berta o bertel, il che sembra suggerire un collegamento piuttosto evidente con Berta dal grande piede(12), il che porta con sé un riferimento forse significante al grande piede di uno dei figli di Melusinae a tutto il tema della deformità podalica e della scarpetta perduta(14).
D’altro lato Berta, ed anche Austris, filano con la propria rocca, traendo nei fili destini, con un gesto altamente simbolico che è proprio anche delle Parche. Questo filare ha un valore complesso poiché è la filatura della canapa che accompagna e segna il sortilegio per uccidere una sposa in un canto popolare piemontese, canavesano soprattutto(15). È evidente come l’uso di strumenti legati alla metafora del filare e del tessere sottolinei una funzione che determini il destino individuale(16).
Ma un altro aspetto che è opportuno porre in relazione con questo tema è quello del vento, come si è detto: Austris la lebbrosa è, almeno secondo alcune interpretazioni, il Vento del Sud che non sempre ha un effetto benefico o positivo per la natura. Anche Austris ha un suo precedente antico, in cui questa correlazione è chiarissima: LIL-ITU, antica dea accadica, che non casualmente porta lo stesso nome di Lilith, prima donna che precede Eva nella creazione, ed è signora del Vento Meridionale, che in Iraq, dove la zona della cultura accadica si dispiega, porta tempeste gravose di sabbia e malattie(18). Nelle raffigurazioni coeve LIL-ITU è presentata con le ali ma anche con zampe che talora appaiono come quelle di un uccello rapace, e che talora, se utile alla simbologia, vengono anche tradotte in zampe palmate(19). Tuttavia il vero, profondo senso di queste zampe d’oca sembra sfuggire, poiché la correlazione sarebbe quella di sottolineare un rapporto fra la fata e l’acqua e una sorta di rapacità connessa alla morte, cioè al legame che le diverse dee o le diverse fate mostrano in chiara evidenza con il mondo dei morti.