Felice Gimondi, 1942 – 2019. Ciclista professionista dal 1965 al 1978. Doti fisiche e qualità morali da esempio ne hanno fatto uno dei più Grandi Campioni di sempre e una bella persona. Nel suo Albo d’Oro figurano le corse a tappe, le classiche internazionali in linea e a cronometro più prestigiose: il Tour de France, nell’anno dell’esordio, il Campionato del Mondo, 3 Giri d’Italia, la Vuelta di Spagna la Parigi-Roubaix, due Parigi-Bruxelles, la Milano-Sanremo, due Giri di Lombardia, due Campionati Italiani, due GP delle Nazioni, due GP di Lugano, cinque GP di Castrocaro Terme. La grandezza di un campione si misura anche dagli avversari che incontra sulle strade. Se per Bartali il maggior rivale è stato Coppi, per Gimondi è stato Merckx, che per la mai sazia volontà di vincere, venne denominato il cannibale. Il fuoriclasse belga ha detto di lui: «Devo ringraziare Gimondi per tante cose, ma soprattutto per avere sempre vissuto bene la rivalità con me, e per aver permesso a me di vivere bene la mia rivalità con lui».
Primo capitoloL’astro nascente
Quel giovane, nemmeno 23enne, era stato “la rivelazione” di quel Giro d’Italia, e 16 giorni dopo, sarebbe stato alla partenza del suo primo Tour de France, Tour che avrebbe vinto da dominatore.
Adorni in quel Tour, si era dovuto ritirare e, da quel momento, a Gimondi toccò il ruolo di principale riferimento della squadra. Un po’ come successe a Fausto Coppi al Giro d’Italia del 1940: anche lui matricola tra i professionisti. Bartali, suo capitano nella seconda tappa, causa un cane che gli attraversa la strada in discesa, cade rovinosamente. Il Direttore Sportivo della Legnano, Eberardo Pavesi, non potendo più contare su Bartali che alla vigilia era il principale favorito, puntò le carte sul giovane piemontese, che nemmeno 21enne vinse quel Giro.
Anche Gimondi, che correrà da professionista dal 1965 al 1978, ha rischiato con l’avvento del “moderno campionissimo”, il belga Eddy Merckx (anche lui professionista negli stessi anni del bergamasco), di essere, come Belloni, spesso “l’eterno secondo”.
Merckx soleva dire, che chi arrivava prima di lui, poteva ben vantarsi di averlo battuto, perché lui non concedeva niente a nessuno. Questa è stata la sua filosofia alla quale è sempre rimasto fedele.
La grandezza di un campione si misura anche dagli avversari con i quali deve confrontarsi sulle strade.
Se per Belloni c’è stato Girardengo, Bartali ha avuto Coppi, a Gimondi è capitato Merckx.
Se il “fuoriclasse” belga ha tolto innumerevoli vittorie a Gimondi, non ne ha però scalfito lo spessore atletico, semmai ne ha mutato quello tattico: da corridore d’attacco ad attendista, ingigantendone lo spessore umano.
Malgrado “il cannibale”, così venne denominato Merckx, per la sua mai sazia voglia di vincere, abbia “tolto” a Gimondi diverse vittorie, il palmares che Gimondi vanta alla fine della carriera, è prestigioso e comprende tutte le più grandi corse a tappe e le maggiori classiche internazionali, sia in linea che a cronometro.
Ha vinto: il Tour de France nel 1965; tre Giri d’Italia 1967, 1969, 1976; il Giro di Spagna nel 1968; il Giro della Svizzera Romanda nel 1969. Della grandi classiche in linea: la Parigi-Roubaix nel 1966, la Parigi-Bruxelles nel 1966 e 1976, il Giro di Lombardia nel 1966 e 1973, la Milano Sanremo nel 1974. E’ stato Campione del Mondo su strada nel 1973, battendo, tra gli altri, proprio Merckx ed ha indossato per due volte – 1968 e 1972 – la maglia tricolore di Campione Italiano.
A cronometro, oltre a diverse tappe al Giro e al Tour, il suo Albo d’Oro annovera due G.P. delle Nazioni (Parigi) nel 1967 e 1968 e altrettanti G.P. di Lugano nel 1967 e 1972 e ben cinque G.P. Castrocaro Terme (1967,1968,1969,1971 e 1973).
E verso la fine della carriera, quando il suo grande rivale, di tre anni più giovane, logorato da un attività svolta a ritmi esasperati, declinava rapidamente, lui, Felice Gimondi, a 34 anni, vinceva ancora corse di prima importanza (un Giro d’Italia e una Parigi-Bruxelles - di ben 312 chilometri - per distacco).
Un Albo d’Oro, quello di Gimondi, che gli da pieno titolo per occupare un posto di preminenza tra i grandi del ciclismo mondiale di tutti i tempi.
Longilineo: altezza 1.84, peso forma 71 kg. Dotato di un fisico eccellente a cui ha accompagnato un impegno serio, costante e coscienzioso; una volontà e una tenacia da esempio. Un atleta che ha sempre onorato la dura professione del ciclista in qualsiasi circostanza, sia che vincesse o meno.
Schivo a qualsiasi vanteria, un carattere di naturale modestia fatta di consapevolezza ma anche di grande determinazione.
Lo stile in bicicletta, sotto sforzo, era disteso, perfettamente aereodinamico, in modo da ottenere una giusta distribuzione del peso sui tre punti sui quali poggia l’azione: la sella, il manubrio, i pedali. Uno stile affinato su pista (in particolare nelle Sei Giorni) perfetto e armonico.
Passista-scalatore e cronomen, ma anche velocista, se si rendeva necessario.