Pochi immaginano la storia o le misteriose leggende spesso legate ad uno stemma antico di secoli: nei colori e nei simboli dell’emblema di un Comune vi è riassunta la storia di tutta una comunità.
Questo libro presenta in modo completo gli stemmi dei Comuni della Provincia di Sondrio e le sue bandiere.
Ogni stemma è rappresentato graficamente a colori e descritto narrandone l’origine, la storia e l’evoluzione e spiegandone la simbologia con una seria e approfondita ricerca.
In appendice sono riportati gli stemmi dei Comuni della vicina Val Poschiavo (Svizzera).
Marco Foppoli , nato a Brescia da antica famiglia dell'Alta Valtellina, si specializza in grafica e pubblicità. La passione per le arti grafiche e un innato interesse per le materie storiche, trovano un connubio perfetto nell'araldica che diviene ben presto una parte rilevante della sua professione di grafico ed illustratore.
Attraverso un attento studio di antichi codici e stemmari medioevali italiani (specialmente lombardi e toscani) lo stile della sua arte ritrova e reinterpreta la bellezza formale e l'eleganza grafica dell'araldica gotica e rinascimentale, una purezza da tempo dimenticata dall'araldica italiana immobile sullo stile di maniera tardo ottocentesco stabilito dalla passata Consulta araldica del Regno.
Marco Foppoli collabora con province e comuni nell'ideazione e realizzazione dei propri stemmi civici.
Realizza anche stemmi di araldica ecclesiastica essendo stato per molti anni onorato dalla guida e dall'amicizia di Mons. Bruno B. Heim nunzio apostolico e celebre araldista pontificio al quale si devono gli stemmi ufficiali di Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II oltreché innumerevoli stemmi prelatizi. Mons Heim definiva Marco Foppoli come suo "allievo in terra italiana" al quale ha trasmesso parte della sua grande esperienza nell'araldica ecclesiastica.
Le sue realizzazioni sono apparse su pubblicazioni in Italia, Svizzera, Belgio, Olanda, Svezia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Nuova Zelanda.
Autore inoltre di numerosi studi storici e araldici, Marco Foppoli è autore anche del romanzo storico ‘Il Patto perduto’, edito sempre da Alpinia.
Primo capitolo
I
1. Cos'è l’araldica
Fu sostanzialmente un'esigenza dovuta all’equipaggiamento militare del XII secolo che favorì la nascita e lo sviluppo degli stemmi; col viso nascosto dall‘elmo munito solo di piccole fessure per vedere e respirare, i combattenti della cavalleria feudale dovettero affidare la possibilità di essere rapidamente riconosciuti da amici e avversari, anche nel mezzo di una caotica mischia in battaglia, a precisi e chiari segnali visivi, riconoscimento che in certi momenti poteva essere determinante per l’esito finale dello scontro.
Molte sono le cronache medioevali che ci descrivono il panico e lo sgomento che assaliva i combattenti di un esercito alla notizia della morte del proprio sovrano, o del proprio comandante, nel mezzo della battaglia.
Chiare e precise insegne personali potevano quindi evitare ogni possibile equivoco. facendo riconoscere ai combattenti la posizione del proprio comandante o, viceversa, individuare con sicurezza i nemici da affrontare.
Per questo gli emblemi arcaici furono molto semplici, spesso solo campiture geometriche di colori, accostati in funzione della migliore visibilità, dei facili segni che dovevano comunicare rapidamente l’identità del portatore dell’insegna. Si raggiunse ben presto una codificazione cromatica spontanea basata sul contrasto ottico tra i colori opachi e quelli metallici: quattro smalti ideali, rosso, azzurro, nero e verde, e due metalli, oro e argento (dipinti spesso con il giallo e il bianco), componevano le tinte utilizzabili nella colorazione di un’insegna. Questi colori non avevano in origine alcuno dei significati simbolici, filosofici, né tantomeno esoterici, che solo in seguito la libera fantasia degli araldisti vorrà attribuire, ma la loro diffusione iniziale fu legata spesso a motivi ben più pratici e ordinari: non solo la migliore visibilità, ma anche le primitive tecniche tintorie dei tessuti, condizionarono l’utilizzo di alcune tinte rispetto ad altre. Ad esempio la facilità con cui i mastri tintori medioevali coloravano stoffe di un rosso brillante e resistente decretò nell‘alto Medioevo il predominio cromatico di questa tinta, assieme al bianco, il tessuto grezzo non colorato, in declino invece dalla fine del XIII secolo, quando grazie ad una nuova sostanza tintoria, l’indaco, poterono essere prodotti con successo tessuti colorati in un blu luminoso, colorazione in precedenza sbiadita e scarsamente diffusa.
Ben presto, accanto alle partizioni geometriche e lineari dell'insegna divisa in fasce orizzontali, bande trasversali o pali verticali, cominciarono a comparire sempre più diffusamente anche le figure tipiche dell‘immaginario medioevale. Leoni, draghi o aquile, inizialmente ancora vaghi e instabili segni totemici, furono in seguito rapidamente ordinati all’interno di poche, semplici ma vincolanti regole grafiche di rappresentazione. La spiccata e innaturale stilizzazione araldica nelle figure e negli oggetti ne esagera alcuni dettagli (negli animali la lingua, le fauci, gli artigli, l’aspetto feroce; nelle piante le foglie e le radici, negli edifici le aperture, i merli, eccetera), li fissa in posizioni rituali: leoni rampanti, passanti, aquile ad ali spiegate. Tutto ciò conferirà agli stemmi quel loro caratteristico aspetto definibile appunto come araldico, un definitivo e stabile vero codice simbolico. L’ereditarietà dei feudi poi, favorì la trasmissione di un emblema iniziale all’interno della stessa stirpe, consuetudine che, affermatasi pur lentamente, farà dell’araldica un fenomeno stabile, destinato a durare nel tempo.
Il successo e la diffusione di questo nuovo codice simbolico fu immediato e prodigioso, dopo il 1150 l’uso degli stemmi si diffonderà in modo sempre più stabile; inizialmente tra i grandi signori feudali per poi passare alla piccola feudalità rurale, ma nel secolo successivo gli emblemi araldici si propagheranno liberamente come vero e proprio fenomeno di massa che raggiungerà il suo culmine tra il XIV e XV secolo portando l’uso degli stemmi in tutte le istituzioni e classi sociali del mondo medioevale cristiano: città, corporazioni e confraternite; religiosi, artigiani, borghesi, mercanti e contadini. Infatti, contrariamente al luogo comune oggi più diffuso sull’araldica (specialmente in Italia), gli stemmi non furono mai prerogativa della sola classe nobiliare. Nel 1574 in visita nel Bel Paese il filosofo Montaigne osservava stupito che in Italia «tutti quanti possiedono uno stemma, siano mercanti od altro»; ma del resto anche all’interno della stessa classe cavalleresca, dove l’araldica era nata, esistevano ampie differenze sociale, come afferma Jean Flori «in Francia il cavaliere è vicino al signore, ma inGermania è vicino al contadino». Così il diritto medioevale non prevedeva particolari vincoli all’assunzione e all’uso di emblemi che venivano adottati liberamente; solo dalla fine del XV secolo alcune monarchie nazionali cercarono di regolamentare in qualche modo la materia con riconoscimenti e concessioni ufficiali di stemmi, elargiti spesso per necessità fiscali, giungendo a legislazioni differenti, di fatto raramente rispettate nell’uso comune.
La diffusione e la proliferazione dell’uso di stemmi negli ambienti e gruppi sociali estranei alla classe feudale che li aveva generati, fu più forte e radicata proprio in quei territori dove le signorie feudali si trovarono fortemente ridimensionate dal sorgere del fenomeno comunale: Francia settentrionale, Linguadoca, Fiandre, valle del Reno, Baviera, Svizzera e, ancor maggiormente, Italia centro settentrionale.
Saranno proprio le città medioevali, quasi più dei castelli della nobiltà rurale, ad essere letteralmente ricoperte e invase da stemmi. Non solo le insegne comunali sventolavano o erano raffigurate sulle porte cittadine, sulle torri, sulle mura e sui palazzi civici, come fieri segni delle autonomie conquistate dai cives, ma anche le contrade, i quartieri e le porte esponevano proprie specifiche insegne; a queste si aggiungevano poi gli stemmi usati dai gruppi politici e sociali che a vario titolo partecipavano al governo della comunitas: le numerose corporazioni di arti e mestieri e le varie partes politiche. Inoltre, la consuetudine di dipingere o scolpire sui palazzi del governo cittadino gli emblemi dei vari podestà forestieri che periodicamente si avvicendavano alla guida del Comune, riempirà di stemmi le facciate di questi edifici rendendoli veri e propri “stemmari" a cielo aperto. Come se già non bastasse, a questo affollato universo araldico “istituzionale” si aggiungevano naturalmente le insegne private e famigliari degli abitanti della città che usualmente decoravano edifici, abitazioni private, locande e botteghe. Non dimentichiamo poi che anche il mondo ecclesiastico esprimeva un vasto insieme di emblemi propri: stemmi di vescovati, ordini monastici, abbazie, oltre che gli emblemi personali dei religiosi, potevano apparire nei pressi del palazzo vescovile, di chiese e monasteri situati all’interno delle mura urbane.
Ancora oggi possiamo forse farci un’idea del variopinto “mosaico araldico" che doveva contraddistinguere le citta medioevali in quella festa di insegne cittadine che è il palio di Siena, dove li emblemi sono esposti, innalzati, ostentati e sventolati, celebrando in un vortice di colori l’esistenza stessa della città e dei suoi abitanti.
Ma se per certi aspetti l’araldica dei comuni potrebbe apparire quasi antitetica a quella feudale, la sua genesi e le sue finalità militari furono invece sostanzialmente simili.
2. Araldica Comunale - dallo stemma del cavaliere a quello dei cittadini
3. Araldica comunale in Valtellina e Valchiavenna
4. Gli stemmi comunali oggi
5. Gli stemmi e i comuni
6. Alcuni stemmari per lo studio dell’araldica comunale in Valtellina e Valchiavenna
II
Lo stemma della Valtellina
Gli stemmi dei comuni
Gli stemmi delle Comunità Montane
Lo stemma della provincia di Sondrio
Antichi vessilli di comunità di valle e bandiere comunali
III
Appendice
Gli stemmi dei comuni della Valposchiavo (CH)