Capace non solo di docere, ma anche di delectare, questo è un libro di poesia, che raccoglie, tradotti e commentati, tutti i versi che Petronio Arbitro ha intarsiato nella geniale prosa del Satyricon. Quello di Petronio, se classificato secondo i nostri criteri di moderni lettori, è, com’è noto, un romanzo, anzi, il romanzo per eccellenza, ovvero il più geniale testo che il mondo antico ci abbia lasciato in eredità, capace di competere per complessità e qualità letteraria con i grandi romanzi come il Tristram Shandy di Sterne e l’Ulisse di Joyce, che per molti versi si rivelano debitori di Petronio. È il Petronio poeta tradotto da un poeta, nell’ultima splendida versione di Luca Canali. Il contesto e il commento delle singole poesie è di Silvia Stucchi.
Con testo latino
Primo capitoloSatyricon 5
Artis severae si quis ambit effectus
mentemque magnis applicat, prius mores
frugalitatis lege poliat exacta.
Nec curet alto regiam trucem vultu
cliensve cenas inpotentium captet, 5
nec perditis addictus obruat vino
mentis calorem; neve plausor in scenam
sedeat redemptus histrioniae addictus.
Sed sive armigerae rident Tritonidis arces,
seu Lacedaemonio tellus habitata colono 10
Sirenumque domus, det primos versibus annos
Maeoniumque bibat felici pectore fontem.
Mox et Socratico plenus grege mittat habenas
liber, et ingentis quatiat Demosthenis arma.
Hinc Romana manus circumfluat, et modo Graio 15
exonerata sono mutet suffusa saporem.
Interdum subducta foro det pagina cursum,
et fortuna sonet celeri distincta meatu.
Dent epulas et bella truci memorata canore,
grandiaque indomiti Ciceronis verba minentur. 20
His animum succinge bonis: sic flumine largo
plenus Pierio defundes pectore verba.
Chi mira ai risultati di un’arte severa
E applica la mente a grandi cose, prima
corregga sobriamente i suoi costumi con legge severa.
A fronte alta non si curi della torva reggia,
né vada a caccia di pranzi, cliente dei signori,
né spenga l’ardore della mente nel vino,
mischiato alla marmaglia, né sieda in teatro
ad applaudire gli istrioni per vile moneta.
Ma sia che gli sorridano le rocche dell’armigera Tritonide,
o la terra abitata dal colono spartano, o la dimora
delle Sirene, affidi ai versi i suoi primi anni
e beva con animo felice al fonte meonio.
Poi, sazio del gregge socratico, si lanci
a briglia sciolta e scuota le armi del grande Demostene
Quindi a lui d’attorno fluisca lo stuolo romano,
e libero da suoni greci gli infonda un nuovo profumo.
Talvolta la parola lasci il Foro e fugga di corsa,
o la Fortuna risuoni scandita da un rapido moto.
Offrano pure argomento le guerre evocate da truce cantore,
minaccino le solenni parole dell’indomito Cicerone.
Adorna l’animo di questi pregi: pervaso da larga corrente,
dal profondo dell’animo esprimerai parole pierie.
Il contesto
Il primo inserto metrico del Satyricon, viene presentato come uno schedium Lucilianae humilitatis, ossia come “versi improvvisati, alla maniera umile di Lucilio” (Sat. 4, 5). Il brano integra e completa, dal punto di vista poetico, il discorso di biasimo per la decadenza della retorica scolastica, posto sulla bocca di un anonimo uomo di scuola, forse il retore Agamennone, su cui si apre l’opera di Petronio. Dopo la pars destruens, affidata alla prosa, che stigmatizza i vizi delle scuole, dei maestri, dei genitori, la lirica sembra
voler offrire una pars construens in cui viene esplicitamente fornito all’aspirante poeta un catalogo dei corretti comportamenti da tenere, posto che si voglia ambire agli effectus artis severae, come recita l’incipit della lirica.
Commento
Lo schedium Lucilianae humilitatis improvvisato (forse) dall’anonimo uomo di scuola che prende la parola in quello che per noi lettori moderni è l’incipit del romanzo può essere riconducibile a quella sorta di ars poetica in miniatura che è il capitolo 118 (Multos, iuvenes, carmen decepit…; “Molti, o giovani, ne ha ingannati la poesia”), nonché accostata alla tirata retorica del capitolo 88, che tratta della decadenza delle arti e della cultura. In particolare, G. Petrone14 mette in correlazione quanto affermato nella prima sezione del romanzo in cui a parlare dovrebbe essere, presumibilmente, il retore Agamennone, con un episodio narrato da Quintiliano (10, 5, 18), a proposito di un “incidente di percorso” accaduto al grande retore Porcio Latrone: egli, una volta che si 14 C fr. Petrone 2008. trasferì la seduta retorica all’aperto, rimase così sbigottito dalla vista del cielo, e non del soffitto a lacunaria intarsiati della sala di declamazione o della scuola, da non riuscire più a procedere nel discorso. In altre parole, lui stesso, pur da eminente retore quale era, si sarebbe trovato nella condizione dell’allievo-tipo delle scuole di retorica stigmatizzata nei capp. 1-4 del Satyricon. Essi, infatti, dopo essersi esercitati su casi inventati appositamente per sviluppare l’acume, per così dire, bizantineggiante degli scolari più brillanti, una volta arrivati in un vero tribunale, pensano di essere in alium orbem delatos, “sbalzati in un altro mondo”, in cui si trovano smarriti e incapaci di orientarsi. CONTINUA...