Perché tutti i giorni siamo travolti e turbati da episodi di cronaca che riguardano la violenza in famiglia, da storie di donne uccise da amanti, mariti, compagni? Per quali motivi l’amore si trasforma in odio, in violenza, in mordente desiderio di eliminazione dell’altro che un tempo si amava e ora, nel turbinio delle passioni più accese, si intende distruggere? Un medico neuropsichiatra analizza le cause del fenomeno del femminicidio soffermandosi su ciò che si verifica nella mente di un uomo dopo l’abbandono del partner, percorrendo anche la sofferta storia dell’emancipazione della donna nel corso dei secoli che, da madre e donna fedele pronta a sottostare all’uomo-padrone , si è modificata radicalmente, divenendo soggetto autonomo e indipendente.
Primo capitoloElena
Buonasera.
- Buonasera, si accomodi, prego.
Sono puntuale?
- In che senso?
Nel senso del tempo.
- Cosa vuol dire? Mi sta chiedendo se è questo il tempo?
No, semplicemente se sono in orario.
- Certo, si accomodi! Non resti lì impalato come una statua. Allora?
Si tratta di un pensiero che mi perseguita e mi angoscia. È ricomparso stamattina mentre pensavo alla mia compagna di vita, o meglio alla mia ex-compagna di vita, ai motivi per cui il nostro rapporto è finito. Sa, se si è vissuti per anni con certe convinzioni e poi queste si modificano, crolla tutto, anche quello che credevamo indelebile inizia a dar segno di cedimento.
È comparso dapprima come un ricordo sfocato, come un fantasma improvvisamente venuto fuori dalla nebbia, poi ho visto qualcosa in lontananza e l’immagine si è concretizzata nel luogo e nel tempo.
- Quale? Vada avanti, mi dica. Riguarda una donna?
Si trattava di un invito a cena, uno di quelli che son soliti fare gli amici, le famiglie dei compagni di classe. Ci ritrovammo tra famiglie; due militari, due casalinghe, due amici, in più una dolcissima ragazza, sorella del mio compagno di liceo.
Occupammo lati diversi della stanza il cui arredo aveva l’odore di mia nonna, il sapore del mistero e la semplicità dei
12 tempi. Una cassapanca, una tavola lunghissima, due quadri alle pareti che ritraevano un paesaggio marino, scogli, reti abbandonate, il mare in tempesta. Tutto sapeva di tempi lontani, di suppellettili forse offerte da amici in occasione del loro trasloco, vecchi regali di nozze... L’unica nota di dolcezza era un vassoio al centro-tavola che mi ricordava nel colore una scatola di latta che a casa di mia nonna osservavo furtivamente quando entravo sperando si dirigesse proprio là pronta ad offrirmi un dolcetto tenero e digeribile, carico del suo affetto. Da un lato i maschi, a chiacchierare dei loro argomenti (servizio militare, scuola...), dall’altro le donne che si occupavano delle faccende domestiche e della preparazione della tavola.
Allora non potevo sapere che la separazione fisica è indice di ruoli ben distinti, che le strutture di una società si concretizzano nei luoghi, nella posizione assunta, nei posti occupati. Allora ai miei occhi quella suddivisione era più che normale; ad ognuno i suoi ruoli, pensavo. La sorpresa fu che Elena mi invitò a contribuire alle faccende di casa, con l’unica motivazione che si mangia tutti, pertanto anche i maschi preparano la tavola. Non siamo le vostre serve! esclamò decisa, ma a me quella frase parve dettata da un capriccio femminile più che da una convinzione ideologica. Dovevo in ogni modo evitare quella ragazza se non volevo sconvolgere il modus vivendi di un’intera generazione dove il maschio corteggiava la donna, le prometteva il matrimonio, lei, dal canto suo, si faceva garantire che mai prima delle nozze avrebbe perso la verginità, valore intorno a cui ruotava un intero sistema culturale. Arrivati alle nozze, ognuno al suo posto: la donna in casa, l’uomo fuori a lavoro, la donna lontana da sguardi indiscreti, l’uomo accanto a lei la sera a letto in cui si concludeva la giornata e iniziava la vita di coppia.
Inoltre ero sempre stato colpito dalla forte contraddizione che emergeva all’interno dei ruoli: la donna regina della casa,
ma relegata in essa, l’uomo padrone (poi padre, poi padre padrone) ma cavalier servente in famiglia. Qualcosa strideva in quella forma mentis che, tramandata nei secoli, era arrivata fino a me e mi aveva fatto stupire in quella casa dove Elena mi proponeva di diventare dell’altro sesso, seppur per una serata. In ogni caso la famiglia per me era questa.
Intanto col passare degli anni l’istituzione familiare si stava modificando al suo interno: molte donne lavoravano fuori o in part-time o solo al mattino (l’insegnamento dava la possibilità di uscire solo per un arco di tempo ben definito, per poi dedicarsi alla famiglia). Il marito continuava nel suo ruolo-potere di dominus, cui la donna restava soggetta in casa e a letto. Di qui molti aborti clandestini di figli non desiderati, di qui uno stato di scontentezza, di qui il desiderio di fuga da una condizione che la condannava e continuava a stringerla e a costringerla in una morsa di dolore. Qualcosa doveva mutare, era una lava bollente pronta ad esplodere sotto un vulcano che io continuavo a fingere di non vedere.
- Perché “fingere”?
Lei conosce i giochi dell’animo umano? La nostra psiche cela le vere immagini della vita perché ci sembra di star meglio ad occhi chiusi. E ad occhi chiusi affrontai gli studi universitari certo che Elena era un caso raro, una mosca bianca in un mondo stabilito, stabile, sicuro, in cui ai due sessi erano affidati ruoli ben definiti fuori, nel mondo e dentro, nella mia mente che di certo non poteva ribaltarsi nel profondo solo perché una ragazza mi aveva invitato a preparare la tavola. Sarebbe stato come pensare, capovolgendo i termini del problema, che i militari fossero tutti onesti e tutti uomini integerrimi perché mio padre era l’esempio della rettitudine. Si viveva in una società dove i valori erano definiti: tra questi quello della verginità, un bene prezioso non solo per la donna ma anche per l’uomo che quando la prima notte di nozze trovava pura
14 la sua compagna, si sentiva più potente (o più amato?) perché pensava che era il primo, nessuno aveva mai toccato quel fiore tanto che esso era giunto intatto fino a lui che ora poteva ritenersi dominus a tutti gli effetti.
Nella speranza che anch’io avrei potuto cogliere quel fiore e formare una famiglia nel vero senso della parola (vero significava allora per me “uguale alla famiglia di mio nonno e a quella di mio padre”) intrapresi gli studi universitari, ma ben presto notai che a Medicina si erano iscritte anche le donne. Inoltre nelle varie sedi del P.C.I. della mia città venivano organizzati dei collettivi esclusivamente femminili che iniziarono a dibattere i problemi delle donne. Esisteva anche una festa delle donne, si formavano gruppi di lavoro, prendevano piede manifestazioni in cui le donne facevano sentire la loro voce soffocata da secoli; insieme a questa risuonava la mia voce che mi apparteneva senza che io ne fossi cosciente e ribolliva nel mio profondo come la lava pronta ad esplodere. “Noi donne non siamo le vostre serve” – aveva tuonato quella sera.
Quella frase pronunciata con la dolcezza di una quindicenne ora risuonava nella mia mente come l’eco di un pericolo incombente perché significava che l’assetto gerarchizzato della società e della famiglia si stava trasformando e ciò mi avrebbe costretto a guardare dentro e fuori di me in modo diverso, mi avrebbe costretto a considerare altri ruoli, altri valori, a cambiare e ad esplodere insieme alla lava. Da Elena mi tenni molto lontano almeno fisicamente, ma nel mio intimo quelle parole avevano segnato l’inizio di un cammino che mai avrei pensato la piega che avrebbe preso.
L’ anno successivo andai a ballare, era una festa danzante organizzata dal Comando Militare della Brigata locale per le famiglie dei sottufficiali.
Alla sala si accedeva soltanto con il possesso di alcune tessere rilasciate ai familiari dei militari di detta struttura dell’esercito e ad alcuni loro amici.
Ritrovai Elena, carina e garbata, con la dolcezza di allora; per qualche tempo destò anche la mia ammirazione.
Ma un’altra sua espressione potente e misteriosa, che arricchiva e ampliava a macchia d’olio la precedente, mi bloccò: “Mio marito mi dovrà sempre aiutare nelle faccende domestiche, perché noi donne non siamo le vostre serve”.
Riflettei a lungo sul comportamento di Elena di quella sera, durante la quale cenammo tutti insieme, e sui suoi discorsi che ritenni essere probabilmente e soltanto il frutto di una bizzarria caratteriale e che avrebbero potuto causare sicuramente in seguito un motivo di scontro fra noi due, qualora ci fossimo legati sentimentalmente; pertanto rivolsi il mio sguardo ad altre ragazze meno pretenziose, convinto che in futuro il comportamento del mondo femminile, subordinato ai maschi, non sarebbe mai cambiato.