VINCITORE
DEL TALENT SHOW LETTERARIO
SCRIPTOR 2021
Cosa faresti se fossi un aspirante scrittore e ti trovassi a un bivio?
Sulla sinistra, la fama letteraria per un’accusa di omicidio; sulla destra, la prova della tua innocenza insieme all’inevitabile oblio artistico. Solo un punto interrogativo a far da sfondo e una decisione da prendere prima che il destino faccia la sua mossa.
Il protagonista di Mosca in bocca è un saccente alcolizzato di nome Kuntz. A conti fatti, dice lui, c’è chi vende l’anima al diavolo e chi si accontenta di buttarla nel cesso ogni volta che si prende una sbronza.
Kuntz ha un’ex moglie (Eva) e uno stralunato agente di nome Bishop che gli ronza intorno. Compare poi Velma (non una gran bellezza) che dice di essersi innamorata di un libro che Kuntz ha scritto alcuni anni prima. Le cose però si complicano quando Tony, l’ex suocero del nostro scrittore alcolizzato, muore in circostanze misteriose.
Torniamo ora alla domanda iniziale e al bivio di partenza: meglio la fama letteraria o l’eterno oblio artistico?
#1
TUM… TUM
Mi piego in avanti, riavvolgo il nastro e butto fuori tutto il whisky che ho ingollato nelle ultime due ore.
La cosa peggiore di quando tiri su l’anima è quella di non riuscire a rimetterla a posto. A conti fatti, c’è chi vende l’anima al diavolo e chi, come nel mio caso, si accontenta di buttarla nel cesso.
Tiro l’acqua, storco la testa e zavorro i polmoni col poco ossigeno che mi circonda e che non allontana di una virgola la nebbia che m’imbratta gli occhi.
TUM… TUM
Ho una gran voglia di tirare il collo allo spurgo che continua a battere sulla porta della latrina in cui mi sono rinchiuso, ma non ho la forza di muovere un dito.
Strizzo gli occhi e leggo le scritte che sfregiano le piastrelle. Vorrei leccare quelle lettere e sputare frasi d’autore sulle pagine del mio taccuino. La scrittura è l’unico appiglio che mi tiene a galla quando sto per affondare. Il problema è che non sempre sono in grado di scrivere e il più delle volte mi abbandono all’alcol fino a toccare il fondo.
TUM… TUM
— Gesù Santo, non vedi che è occupato! — sbotto e la mia voce mi rimbomba nella scatola che ho al posto del cranio.
— Datti una mossa, capo!
Mi guardo la punta delle scarpe schizzate di vomito.
— Non posso uscire.
— Dai, apri la porta e fatti dare il cambio. Ho due litri di birra in circolo e devo svuotare la vescica.
— Non capisci… sono uno scrittore e sono in piena fase creativa.
— Merda! Almeno sei uno famoso?
Tiro su col naso. Ecco la voce del popolo in cerca di celebrità.
— Non sono quel genere di persona… sono disoccupato e frequento brutta gente.
— Allora spiegami come fai a scrivere chiuso in un cesso puzzolente come questo.
— È molto importante non farlo né per i soldi né per l’immortalità. E se non succede niente, aspetti ancora un po’.
La risata del tizio è come un pugno che mi tappa la bocca dello stomaco.
— Ammettilo, sei uno sfigato del cazzo che tira in lungo solo per darmi il tormento.
Per tutta risposta, tiro per la seconda volta la cordicella dello sciacquone e continuo a meditare davanti a uno scranno lurido e malsano. Poi, prendo il taccuino dalla tasca posteriore dei pantaloni e concludo un racconto grottesco iniziato qualche giorno prima.
SNIFFERÒ SULLE VOSTRE TOMBE
Loomis si scolla la canottiera dal petto e sistema la padella piena d’olio sul fornello. Accende la fiammella del gas con lo Zippo e si volta a guardare l’uomo alle sue spalle.
— Di’, conosci la storia del signor Barraco?
— Mi venisse un colpo se so di che cianci.
Loomis schiude le labbra e mostra una fila di denti gialli di nicotina.
— Allora incolla quel tuo culone flaccido alla poltrona e fammi raccontare.
— Lo faccio, lo faccio, ma prima lasciami sniffare questa polvere.
— Che roba è?
— Sono le ceneri di un povero cristo morto d’infarto; quando ha tirato le zampe, aveva così tanta droga in corpo che lo sballo è assicurato.
Loomis aggrotta la fronte, si pulisce le mani in uno strofinaccio lercio e lascia al trippone il tempo di farsi i comodi suoi. Intanto, riempie la padella di fette di melanzana e aspetta che l’olio cominci a sfrigolare. Poi, torna a dare aria alle parole.
— Ascolta: l’altro giorno, questo tizio si sveglia di buon mattino, apre gli occhi e non vede più un cazzo di niente, buio completo. Buon Dio, la cosa non torna visto che fino alla sera prima aveva una vista d’aquila. A ogni modo, chiede aiuto al vicino e finisce al Pronto Soccorso. Il dottorino di turno lo visita dalla testa ai piedi, ma non trova nessuna causa per quell’improvvisa cecità, e così lo rimanda a casa. Disperato, il signor Barraco raggiunge a tentoni l’unico bar che c’è in paese e si abbandona a un pianto disperato. Un messo comunale, capitato lì per caso, gli si avvicina e gli chiede se non si sia dimenticato di pagare la bolletta della luce. Al signor Barraco viene quasi da ridere. Poi, però, si ricorda dell’ordinanza del Sindaco entrata in vigore il giorno prima e allora si fa accompagnare all’Ufficio Pagamenti, salda il debito e torna a vedere.
Loomis scuote la testa e sghignazza di gusto.
— Cose da non credere! Ma tu pensa che cazzo si sono inventati in quel posto per obbligarti a pagare le tasse.
Neanche il tempo di sputar fuori l’ultima sillaba che attacca a tossire fin quasi a scoppiare.
L’uomo in poltrona si mette comodo e lo fissa con un ghigno sadico attaccato alla bocca.
— Scommetto che non hai pagato la nuova tassa sull’ossigeno — sentenzia mentre si massaggia il ventre che gli spinge in fuori i bottoni della camicia. E subito aggiunge: — Cazzo, sarà un vero spasso vederti schiattare. E garantito al limone che snifferò tutte le tue ceneri.
TUM… TUM
— Vedo che sei un tipo che non molla.
— Ti ho detto che devo pisciare. Muovi il culo e fammi entrare, mi sta per scoppiare la vescica.
— Per la cronaca: ho appena finito di scrivere un racconto.
— Interessante, significa che sei pronto per farti da parte?
— Non proprio, ma sono a buon punto.
— Mi basta che schiudi la porta, al resto penso io.
— Meglio se provi a farla nel lavandino. Il vantaggio è che ti puoi specchiare.
— Dai, leggimi quello che hai scritto e facciamola finita.
— Serviti da solo.
Spingo il taccuino sotto la porta e resto in attesa.
— Niente male — pontifica poco dopo.
— Come dici?
— Ci sai fare con le parole.
— Stronzate, vuoi solo farmi uscire per i tuoi sporchi affari.
— Allora raccontarmi la tua storia. Se mi tieni impegnato non penso alla vescica.
— Non ho molto da dire.
— Almeno provaci.
— Mio padre era un truffatore e mia madre è sempre stata un’anima inquieta, fine della storia.
— Bene, adesso fammi pisciare.
Tolgo il gancio dal fermo, schiudo la porta della latrina e metto a fuoco un tizio dinoccolato con chierica, sorriso storto e un paio di lenti unte appese al naso.
— Accomodati e non far caso al disordine, la filippina si è presa la giornata libera.
— Meglio tardi che mai — borbotta il quattrocchi prima di mettere mano alla patta. — Ehi, aspettami lì dove sei, innaffio il water e torniamo di sopra a berci qualcosa. Offro io.
— Scordatelo, cocco, non accetto inviti dagli sconosciuti.
— Be’, mi hai fatto leggere il tuo racconto e mi hai parlato della tua vita… diciamo che non sono proprio il primo che passa.
— Allora mettiamola così: preferisco bere da solo. Amo la solitudine e detesto la compagnia.
— Come vuoi, ma la cosa non ti fa onore.
— Me ne farò una ragione.
Salgo le scale, mi aggrappo al corrimano e infilo un gradino dietro l’altro come un Lazzaro che esce dalla grotta per andare a morire in un angolo appartato.
Mi tengo lontano dai beveraggi del barman e dai sorrisini ammiccanti delle cameriere in gonnella e maglietta attillata. Torno all’aria aperta, sollevo il mento e inquadro una manciata di puntini traballanti appesi al velluto del cielo. Faccio il pieno d’ossigeno e cerco la fermata del tram.
Non la trovo. Qualcuno deve averla spostata solo per rendermi le cose più difficili.
Allora entro in un vicolo cieco e dormo il sonno dei giusti sopra un ritaglio di giornale, fingendo di essere uno scrittore di successo e non uno spurgo qualsiasi finito in mezzo a una strada.