Panchine sono i luoghi dell’anima, sono un faccia a faccia con ciò che è stato e in definitiva con noi stessi. Sono i luoghi ombrosi dei ricordi, ribelli alle leggi del tempo, sempre pronti a ricordarci che abbiamo un passato e non solo un futuro. Sono le panchine dove ci siamo fermati, quei posti del cuore che rappresentano l’inizio della nostra storia, l’alba della vita, a cui prima o poi tutti facciamo ritorno, fisicamente e mentalmente.
Così questo romanzo, grazie all’intreccio di vite dei suoi tre protagonisti, sa scatenare un grande gioco di sguardi e visioni, per giocare a nascondino con l’anima e azionare il tasto della riflessione. Un gioco che diventa una sfida con noi stessi per tornare in quei luoghi in cui ci siamo sentiti con la mente libera, pronti a sperimentare il turbamento del pensiero.
Ciò significa vedere la nostra panchina, allarmarci per la paura di trovarla occupata, eppure scoprire che una parte di noi è ancora lì da quando siamo andati via, ad aspettarci da sempre per ricordarci che quella seduta è nostra, nonostante tutto. È il nostro luogo primordiale, lontano nel tempo, che diventa il simbolo di un labirintico viaggio in noi stessi, smarriti nella nostalgia e guidati dal profumo del vento, in cerca delle cose più vere che ci sono rimaste dentro.