Questa antologia raccoglie i migliori racconti ispirati alle mitiche notti bolognesi.
Un puzzle composto di piccoli tasselli per raccontare cos’era Bologna, come quel gusto speciale della notte sia riuscito a creare un alone di fascino e curiosità.
Fra le ombre dei portici e i profumi di Bologna si intrecciavano di notte i racconti goliardici, le risate, i successi e le disavventure di chi ha sempre vissuto su un fuso orario diverso e ha reso immortali quelle notti.
Le notti bolognesi del leggendario cantante rock Marzio Vincenzi che negli anni Sessanta passava le notti nelle osterie, tra sbronze, concerti e partite a carte o quelle di Francesco Guccini raccontate nelle sue canzoni fra osterie e il gioco del tarocchino bolognese. Le notti dei tiratardi “i biassanot” che girovagavano per tutta la notte rimandando il più possibile il momento del “cinema Bianchetti” (altra perla del gergo bolognese: vado al cinema Bianchetti per dire vado fra le lenzuola).
UNA NOTTE DI QUELLE NOTTI NO
Rodolfo Andrei
Odio le notti d’inverno. Tristi, fredde e senza senso.
Nuvole d’aria cristallina si plasmano davanti al naso, mentre le parti estreme del corpo rimangono ghiacciate come un bicchierino di limoncello.
A dire il vero odio anche le notti di primavera e anche quelle d’autunno.
Odio tutte le notti.
Ma le notti che odio di più sono quelle d’estate.
Come si fa ad amare qualcosa che ogni volta ti agita, ti scombussola e ti inquieta; creandoti scompiglio dalla cima dei capelli fino alla punta dei piedi?
Appiccicose, soffocanti e interminabili.
Le lenzuola ti fasciano il corpo come una tunica di un antico censore romano.
Tutto intorno vedi solo un mondo stabile, inamovibile e senza respiro.
Solamente l’immancabile zanzara fa da cornice, e da fastidioso sonoro, a questo palcoscenico quasi irreale.
Giro e rigiro mille e più volte il cuscino; come Antonio, il re della pizza, quando lavora il suo impasto magico.
Nel frattempo il ventilatore continua insistentemente a rimestare l’aria della stanza, dando solo un minimo sollievo a un corpo quasi in fiamme.
L’orologio alla parete sembra compiere i suoi giri a ritroso, secondi e minuti si rincorrono a vicenda, tornando poi immancabilmente al punto di partenza, mentre le stanche ore restano a guardare immobili questa frenetica gara.
Una notte bollente che sembra non voglia finire mai.
Notti insonni e colme di pensieri che si rincorrono rumorosamente, mentre con gli occhi sbarrati verso l’ignoto resto immobile a contemplare una taciturna parete.
Quella era una notte di quelle notti no.
Che fare allora? Era lo spinoso dilemma.
Restare seduto sul letto a recitare il mio personale soliloquio a un bianco muro, spettatore assente, in attesa che le prime luci dell’alba scacciassero gli spiriti notturni, oppure uscire e andare in giro per la dormiente città, tornando finalmente spossato alla dimora per un, anche se breve, meritato riposo?
La seconda scelta fu da me abbracciata con forte convinzione.
Senza avere una meta, né un punto d’arrivo, decisi di prendere al volo il primo autobus notturno che passava sotto casa, il 14 o il 21, e fare così un giro in centro e ritornare.
Salito sul bus la compagnia della serata era variopinta e multietnica, anche se un pochino assonnata. Comodamente seduto su uno dei seggiolini vicini all’entrata, notai un giovane homeless che teneva gelosamente tra le proprie mani un brik di vino rosso, avvolto da una pagina del Resto del Carlino di Bologna.
Capelli arruffati, camicia a quadri tinti... molto tinti, e un leggero impermeabile color beige scuro, diventato oramai molto più scuro che beige, occhi grandi e faccia simpatica, pur se non pulitissima.
A testa bassa parlava sottovoce tra sé e sé, e ogni tanto alzava lo sguardo lanciando un grosso e caldo sorriso ai passeggeri seduti più o meno vicini a lui.
Il posto accanto al ragazzo era ben libero; sicuramente le persone pensavano che fosse meglio farsi il tragitto in piedi invece di mescolare colori e odori dei propri vestiti con quelli del giovane senzatetto.
Gli esseri umani salivano e scendevano freneticamente dal mezzo pubblico, quasi a rincorrersi l’un l’altro, senza far caso affatto a quell’individuo appartato nel proprio mondo.
Alla fermata di piazza Malpighi una signora molto distinta e ben vestita con la propria giacchetta color beige... stavolta nel vero senso della parola, salì sull’autobus e, vedendo quel posto libero, si apprestò a prenderne possesso.
Si bloccò immediatamente notando il suo futuro compagno di viaggio.
Dette un’occhiata veloce al ragazzo e, schifata da quell’essere per lei indecoroso, storse la bocca in segno di disgusto e, senza proferire parola alcuna, si voltò dall’altra parte.
A quel punto il giovane vagabondo, avendo ben visto con la coda dell’occhio la scena, senza scomporsi affatto, prima si concesse un’altra sorsata di quel suo ottimo rosso, poi alzò la testa ed esclamò:
«Cara signora se lei non si lavasse... ci sarebbe un bel posto libero a sedere... proprio qui vicino a me!»
Subito dopo, con quella sua solita aria paciosa, il giovane homeless lanciò a noi vicini compagni di viaggio un altro dei suoi caldi sorrisi e, riabbassando la testa, si rituffò nuovamente nel proprio mondo.
Quel sorriso fu ricambiato con piacere da me e da altri passeggeri che avevano notato la buffa scena, e scaldò ancor di più la già tiepida serata.
Poche fermate ancora e il bus mi riportò al punto di partenza.
Di nuovo feci mestamente ritorno alla mia notte no, andavo nuovamente al cinema Bianchetti, ma questa volta con un piccolo, inaspettato e gradevole sorriso nel cuore.