Rumori in sequenza
La sequenza Giada ormai la conosceva a memoria. Prima il rumore tipico del motore della sua auto, una Audi a1 della quale si prendeva cura come fosse un familiare; in contemporanea si sentiva il trascinamento stridulo della basculante del garage che si apriva e, subito dopo, lo sportello dell’auto che si chiudeva in modo deciso. Infine, di nuovo lo stridore ferroso del garage.
Questa prima parte era effettivamente più o meno sempre la stessa in termini di intensità, il resto no. Il resto anticipava a Giada il grado di dolore che avrebbe potuto incontrare ogni sera. Prepararsi non era comunque possibile, aveva imparato che non c’era alcun modo per attutire o migliorare la situazione. Ormai accadeva da mesi sempre allo stesso modo.
Anche quella sera i passi non li sentì, non erano percepibili, ma il modo in cui in lui sbatté il cancello le risuonò fino dentro la parte più profonda dell’anima e le rimbombò nella testa percuotendo di brividi tutto il suo esile corpo di donna. Non fece nemmeno in tempo a girare la chiave nella porta che il suo modo di rivolgersi al lei stava già riempiendo la stanza.
“Dove sei? È pronta le cena? Mi aspettano al bar!” ringhiò come se si stesse rivolgendo ad un animale. Giada con la testa bassa, si affrettò a controllare il tempo rimanente per la cottura della minestra. Era tesa, sapeva che anche solo pochi minuti potevano fare molta differenza quando la situazione era quella.
“Mancano solo tre minuti, scusami… Giorgio stasera non voleva addormentarsi ed ho fatto..” disse con un filo di voce. Non riuscì neanche a finire a frase, sovrastata dalla risposta di lui.
“Allora proprio non lo vuoi capire!” inveì già dal bagno dal quale stava uscendo dopo essersi lavato le mani. Il suo passo era pesante e travolgente, uno scricchiolio di cocci lo fermò solo un’istante: aveva pestato qualcosa nel corridoio. Guardò in basso e passò avanti noncurante.
“Stai a casa tutto il giorno, non hai un cazzo da fare! Quando torno la cena deve essere pronta! Non ci sono scuse! Fai proprio schifo come donna! Nemmeno gli occhiali di Giorgio hai messo a posto, guardaaa!” Gridava, ancora con l’asciugamano in mano.
Non c’era niente che avrebbe potuto calmarlo, ma il suo istinto di sopravvivenza la tradì ancora una volta: “Scusa, non capiterà p..” ancora le sue parole furono interrotte ma stavolta da un pugno che la sorprese alle spalle, dritta nella schiena sotto la scapola destra. Il colpo, sordo, potente le tolse il respiro. D’istinto si piegò in avanti per riprendere fiato appoggiandosi sul bordo della cucina.
“Muoviti cretina!! ti ho detto che mi aspettano!” le urlò lui tuonando. Giada faceva fatica a respirare. Ancora piegata su stessa si avvicinò al tavolo, tremando, fece per appoggiare la pentola, ma lui, senza nemmeno guardare cosa fosse, gliela rovesciò contro sprezzante. La minestra bollente le ricoprì il braccio sinistro e il dolore fu talmente intenso da farle girare la testa. Per qualche secondo vide nero ma riuscì a rimanere in piedi. Era come se la pelle le si stesse accartocciando, sentì aumentare il dolore sulla cicatrice lunga e stretta del taglio di due settimane prima. Sembrava che il sangue fosse in ebollizione e sentendosi svenire si sedette a terra.
“Mi hai fatto passare l’appetito stronza! Sei contenta? Meglio se me ne vado, vedi di pulire tutto!” Si alzò con rabbia e quasi calpestandola se ne andò.
Il dolore atroce stava prendendo il sopravvento. Giada fece appena in tempo a vedere la scopa, appoggiata al mobile dell’ingresso, cadere a terra per il tonfo con cui lui sbatté la porta, prima di svenire.