Afrofuturismo femminista
Afro-ismo è un testo appassionato e militante, un dialogo serrato fra due sorelle afroamericane che nasce sul web e diventa un libro in cui teoria e prassi si intrecciano. Animalità, animalizzazione, razzismo e supremazia bianca sono alcuni dei temi su cui si articola una proposta politica radicale all’insegna del veganismo nero. Attraverso l’analisi di elementi della cultura pop – video, blog, social network – e l’utilizzo di concetti provenienti dagli animal studies e dagli studi decoloniali, Aph e Syl Ko rivendicano con forza la necessità di sovvertire il dualismo umano/animale, riarticolare la nostra relazione con gli animali e, attraverso ciò, riconsiderare il modo in cui trattiamo la vita intera, arrivando a smantellare il razzismo.
In questo quadro, l’afrofuturismo, che dà una radicale priorità all’immaginazione di chi è oppresso – in una società che si sforza perennemente di distrarci in modo da non darci il tempo di pensare e creare – è la chiave per iniziare un processo di rinnovamento, non più prigionieri dei pensieri della classe dominante.
Un libro di avanguardia rivolto alla generazione millennial. Quella che utilizza il web e i social media per far sentire la propria voce e stringere alleanze politiche significative, come antidoto all’isolamento sociale di chi vive condizioni di oppressione e marginalità, nonostante le manipolazioni delle élite economiche bianche.
Primo capitoloNota delle autrici
Aph Ko
I semi di Afro-ismo furono piantati molto tempo fa, ma fino al
2015 non sono stata in grado di coltivare quel germoglio che
cercava di crescere. Afro-ismo è nato come sito web, che ho deciso
di aprire perché stanca di scrivere articoli per i siti di altre
persone. Ho scritto su svariati blog per oltre cinque anni e, per
tutto quel tempo, avrei voluto creare il mio spazio digitale. Un
tempo pensavo di dover usare i siti altrui come veicolo per
condividere i miei pensieri, ma ho iniziato a stufarmi dei ragionamenti
a compartimenti stagni che caratterizzavano i blog
più importanti. Volevo uno spazio dinamico, che affrontasse i
profondi intrecci dell’oppressione e, allo stesso tempo, offrisse
la possibilità di avvicinarsi alla liberazione evitando di privilegiare
la popolarità di una pagina web o compromettere l’analisi
per ottenere una visibilità passeggera. Io, una persona di
colore con una sensibilità decoloniale,1 non mi sentivo realmente
parte di alcun movimento: sapevo quindi di dovermi
ritagliare il mio spazio.
1 Il termine “decoloniale” ha diverse definizioni; tuttavia, lo considero
un “de-linking epistemico” o una “disobbedienza epistemica”, secondo
la definizione di Aníbal Quijano e Walter Mignolo. Scrive Mignolo: «La
decolonialità è quindi l’energia che non consente il funzionamento della
logica della colonialità, né crede alle fiabe della retorica della modernità
[…] il pensiero (d)ecoloniale è, quindi, un pensiero che si scollega e si
apre […] alle possibilità nascoste […] dalla razionalità moderna che è
inquadrata nelle categorie del greco, del latino e delle sei lingue europee
imperiali moderne» (“Epistemic Disobedience and the Decolonial Option:
A Manifesto”, Transmodernity: Journal of Peripheral Cultural Production
of the Luso-Hispanic World, 1(2), 2011, pp. 44-66).
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Ho chiamato mia sorella maggiore Syl in cerca di incoraggiamento.
Ricordo in maniera vivida quant’ero nervosa, perché
non sentivo in me la forza di creare lo spazio che desideravo,
anche perché sapevo che sarebbe stato percepito come controverso.
E ciò che è controverso porta con sé la responsabilità:
non ero sicura di avere l’energia emotiva per gestire questo bagaglio
digitale. Grazie a Syl ho portato avanti il mio progetto.
L’ho chiamato Aphro-ism perché suona come “aforisma”, una
verità, con il valore aggiunto di contenere già il mio nome. Ho
enfatizzato particolarmente il suffisso “ismo” nel titolo perché
il sito sarebbe stato dedicato all’interpretazione degli “ismi”
nella cultura popolare.
Io e Syl abbiamo sempre avuto un rapporto stretto, di cui
ho fatto tesoro. Quando avevo diciassette anni, Syl mi fece
conoscere i libri radicali di Angela Davis, W.E.B. Du Bois e
George Jackson. Per oltre dieci anni io e Syl ci siamo confrontate
intellettualmente, scambiandoci e-mail su femminismo,
antirazzismo e diritti degli animali. Alcuni dei più significativi
cambiamenti nelle mie opinioni politiche hanno avuto luogo a
seguito di intense conversazioni fra noi. Naturalmente le ho
chiesto se fosse interessata a scrivere sul mio nuovo spazio digitale:
ha accettato di contribuire e siamo partite da quello che
conoscevamo. Abbiamo usato i nostri diversi percorsi di studi
su media, donne, filosofia e teoria critica della razza per creare
brevi saggi che sfidassero i modi di pensare dominanti nel
campo della giustizia sociale. Non ci siamo limitate a un solo
argomento, li abbiamo esplorati tutti. Non avevamo idea che
il nostro sito sarebbe stato consultato da così tante persone,
anzi, scherzavamo proprio sul fatto che nessuno si sarebbe mai
interessato a un lavoro strano e insolito.
In meno di sette mesi abbiamo iniziato a notare un traffico
notevole sul nostro sito e abbiamo ricevuto la nomination al
Bloggy Award 2016 della rivista VegNews, fatto abbastanza
importante se si considera che i nostri controversi scritti hanno
attraversato i confini così ben tracciati intorno all’attivi19
smo, diviso in compartimenti stagni. Ci hanno scritto da ogni
parte del mondo, e non solo attivisti e attiviste, quanto il nostro
lavoro li avesse influenzati, e ancora oggi leggere questi
messaggi ci colpisce e commuove ogni volta.
Syl e io abbiamo scritto, senza filtri, i nostri pensieri su
questioni quali veganismo, antirazzismo, femminismo e cultura
popolare sul sito web. Lo abbiamo fatto per sette-otto mesi
prima di capire fino a che punto rappresentasse una risorsa,
soprattutto in forma di libro. Ricordo di essere stata contattata
da diversi vegan neri e non bianchi, i quali cercavano un libro
che discutesse dei problemi che Syl e io abbiamo affrontato sul
sito. La letteratura può rivoluzionare un movimento, e avevo
l’impressione che non ci fossero molti libri che affrontassero in
modo accessibile argomenti complessi come la teoria decoloniale,
l’animalità, l’antirazzismo, la politica del movimento.
Noi volevamo colmare questa lacuna.
Man mano che la vita diventava più movimentata e i vari
progetti prendevano forma, ci siamo rese conto che non riuscivamo
a tenere il passo con le esigenze del sito, o almeno
non come volevamo. Eravamo consapevoli del valore del materiale,
e abbiamo dunque deciso di trasformarlo in un libro.
Siamo partite dai nostri saggi più popolari (aggiungendone
altri, nuovi e inediti), li abbiamo modificati e li abbiamo inseriti
in questa raccolta. Alcuni affrontano esplicitamente il tema
del veganismo, altri esplorano la cultura popolare e il femminismo,
ma non mancano una serie di argomenti che riflettono
i nostri interessi e le nostre passioni.
Da un punto di vista politico, volevamo anche mettere in
discussione le modalità con cui ci è permesso di scrivere su
temi contemporanei controversi. A volte scrivere su un blog
sembra privo di significato: per restare al passo con gli avvenimenti
devi scrivere velocemente, il che può compromettere
la profondità di analisi. Volevamo rallentare e concentrarci a
fondo sui nostri pensieri. Volevamo esplorare prospettive diverse,
riflettere sugli scritti altrui e metterci alla prova. Non è
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possibile fare tutto questo su un blog, dove tutto è così veloce.
E poiché stavamo affrontando argomenti controversi in modo
inedito, desideravamo onorare tale complessità evitando di
pubblicare immediatamente tutto online.
Sebbene scrivere su un blog abbia rappresentato per me
uno sfogo per anni, ho iniziato a provare disagio nei confronti
del mondo online: mi rendevo conto che utilizzare un blog
per affrontare problemi terribilmente complessi può non essere
un’idea vincente. Il mondo online è pieno di sfruttamento,
manipolazione e molestie, in particolare per chi appartiene alle
minoranze. Quando l’attenzione al mio lavoro è aumentata,
anche i feedback negativi sono aumentati, perché le mie parole
venivano estrapolate dal contesto, e una o due frasi di
un’intervista diventate virali non rispecchiavano fedelmente la
mia politica o le mie teorie. Poiché la gente ha un’idea limitata
di cosa sia il “veganismo” o il “razzismo” (grazie alla cultura
mediatica tradizionale e unidimensionale), sapevo di partire
già svantaggiata, come chiunque cerchi di riarticolare le relazioni
tra razzismo e oppressione animale non-umana. Le nozioni
preconcette che circondano tali argomenti di solito prevalevano
sulle mie parole scritte.
In altri termini, chi non si confrontava regolarmente con la
letteratura incentrata sul razzismo considerato attraverso la
lente dell’animalità, non aveva gli strumenti necessari per
comprendere il nostro lavoro. C’era chi, nei principali siti
web, criticava i miei articoli, relegando le mie parole alla sfera
di quell’attivismo che si limita a confrontare l’oppressione nera
con l’oppressione animale, senza capire che la maggior parte
del mio lavoro denuncia proprio questa pratica. Per esempio,
nel novembre 2016, la Black Entertainment Television (BET)
ha pubblicato un articolo su di me intitolato “La femminista
nera disprezzata per aver paragonato il consumo di carne alla
supremazia bianca”. Questo mi ha fatto capire che, in generale,
la maggior parte della gente reagisce in maniera ostile al
mio lavoro per via della narrazione preesistente sull’oppres21
sione animale. Siccome alcune persone bianche hanno paragonato
l’oppressione nera con l’oppressione degli animali nonumani,
molti hanno immediatamente pensato che stessi facendo
lo stesso solo perché parlavo di supremazia bianca e
animalità. Sapevo che per esercitare un controllo sul messaggio
che volevo trasmettere, e per mettere in secondo piano le
campagne incentrate sulla bianchezza – cioè le campagne che
vengono subito in mente quando si parla di nerezza e animalità
–, era necessario scrivere un libro in cui fornire le dovute
sfumature e restituire il contesto in cui erano emersi i miei testi.
In altre parole, ero stufa di rimetterci per colpa delle poche
persone bianche che boicottano ogni discorso.
Mi sono presa una pausa dal blog e ho riflettuto sui passi
da compiere per riprendere il controllo della narrazione. Volevo
staccare il cervello e concentrarmi per un breve periodo sui
miei pensieri, così da presentarli in maniera sensata: sono problemi
importanti e meritano di essere affrontati tenendo conto
della loro complessità.
Volevo anche creare qualcosa di tangibile, qualcosa da tenere
in mano e con cui sentire un legame, specie in una società
emotivamente sconnessa come la nostra. Mi piace moltissimo
leggere un libro stimolante standomene seduta a letto
quando mi sento isolata, o quando sento di essere l’unica al
mondo a pensarla in un certo modo. Un buon libro può cambiarti
la vita, e spero sinceramente che questo libro cambi la
vostra, in particolare chi non si sente a proprio agio in nessuno
dei movimenti attuali.
Speriamo che apprezzerete questi saggi, e vi chiediamo di
mantenere la mente aperta mentre li esplorate. Syl e io abbiamo
volutamente scritto in uno stile che riflette la nostra politica:
non scriviamo in un solo modo, i saggi hanno lunghezze
diverse e non ci atteniamo a un solo argomento. La narrazione
non è lineare, e ci piace che non lo sia perché riflette la maniera
in cui dialoghiamo fra noi.
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Alcuni capitoli sono più accademici, altri sono semplicemente
pieni di rabbia. Impieghiamo anche l’umorismo per affrontare
alcuni problemi complessi. Vogliamo che questo libro
venga letto come il diario intellettuale di due sorelle, perché è
così che Syl e io abbiamo utilizzato il sito web Aphro-ism.
Abbiamo scritto molti dei nostri saggi dopo ore di conversazione
al telefono, ore passate a discutere delle questioni politiche
del momento. Abbiamo lasciato le date originali sotto al
titolo di ogni capitolo per poter rintracciare la pubblicazione
di quei pensieri sul sito. Lo abbiamo fatto per dar modo di seguire
la nostra crescita politica e intellettuale nel corso del
tempo. Potreste rilevare anche alcune contraddizioni tra i primi
saggi e quelli successivi, cosa che per noi non è necessariamente
negativa. Troppo spesso, oggi, premiamo e celebriamo
le persone che non cambiano mai idea. Siamo addestrati a vedere
il cambiamento come un segno di debolezza: questa è
un’idea che vogliamo mettere in discussione. Noi celebriamo
la crescita, e volevamo che anche questo aspetto facesse parte
del libro.
Ho deciso di chiamare questo libro Afro-ismo. Cultura pop,
femminismo e veganismo nero proprio perché tuttora mi interrogo
su ciascuna di queste parole e i relativi spazi culturali. Ho
un rapporto complicato con la cultura pop, il femminismo e il
veganismo nero. Nel libro li interroghiamo perché stiamo ancora
lottando su questi temi.
La realtà è che io e Syl siamo semplicemente due persone
che cercano di dare un senso a ciò che le circonda nel modo
migliore che conoscono. Non siamo esperte, e non siamo qui
a dirvi come dovreste vedere il mondo. Questa raccolta di saggi
mostra come stiamo cercando di elaborare le nostre frustrazioni
e la nostra confusione, le nostre idee e le nostre speranze,
i nostri suggerimenti per un mondo migliore, un mondo più
empatico. Neanche questo è il punto di arrivo dei nostri pensieri.
Sono sicura che, a forza di leggere e discutere, estenderemo
l’ambito delle nostre discussioni e continueremo persino
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a cambiare idea, perché l’attivismo si basa sulla crescita e l’apprendimento,
sul non restare mai fermi troppo a lungo nello
stesso spazio concettuale.
Syl e io ci confrontiamo da oltre un decennio su questi
concetti critici, e questo libro è un assaggio delle nostre conversazioni.
Speriamo che vi piaccia.
Syl Ko
Molte persone si metterebbero a ridere se dicessi che mangiare
carne, uova e latticini o andare allo zoo è razzista, poiché razza
e razzismo sono stati definiti come fenomeni legati esclusivamente
al colore della pelle, al corpo o all’origine geografica. La
razza comprende molto più di quanto affermi la nostra limitata
narrazione. Il concetto di razza è ampio. È vago. Si libra al
di sopra di ogni aspetto della nostra vita, condizionandolo, che
se ne siamo consapevoli o meno. Non sono solo le persone e i
gruppi a essere razzializzati, lo sono i territori, così come tutti
gli esseri che abitano l’ambiente, il sapere, la lingua, il tempo e
lo spazio stesso. Questa affermazione potrebbe apparire esagerata.
Alcuni potrebbero dire: “Per te ogni cosa ha a che fare
con la razza”. Non proprio. Quello che sto dicendo è che è la
razza ad aver a che fare con ogni cosa.
Sebbene sia stata ossessionata dalla “questione animale” sin
da quando ho memoria, attraversando tutte le fasi che un’attivista
animalista si trova ad affrontare, non mi è mai passato
per la testa che la questione animale potesse essere esaminata
attraverso la lente della razza fino a quando ho riletto il discorso
di Aimé Césaire sul colonialismo. Faticavo ad accettare la
sua idea che il Negro fosse “un’invenzione dell’Europa”. Ovviamente
il colonialismo europeo non ha materialmente creato
gli esseri umani dalla pelle scura definendoli negri, per poi collocarli
in tutto il continente africano. Césaire si riferiva piuttosto
a un’invenzione concettuale imposta alle africane e agli
africani (e ai loro discendenti), un’invenzione utile a gestire i
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diversi modi in cui gli europei avrebbero dovuto pensarli, e il
modo in cui gli africani avrebbero dovuto pensarsi. Non importava
che eccellessero nei medesimi campi (razionali e non)
degli europei, o che possedessero gli stessi attributi, le stesse
abilità o qualità. L’appartenenza alla categoria “negro” è sufficiente
a incastrare le persone nere in uno status sociale inferiore
da cui è impossibile sfuggire fintanto che categorie come
queste continueranno a prosperare.
Ho iniziato a pensare alla questione dell’oppressione animale
attraverso questa lente, secondo la quale la categoria dell’animale
è anch’essa un’invenzione coloniale imposta a esseri
umani e animali. Quando ho iniziato a rileggere e riscoprire la
letteratura che appartiene alla notevole tradizione anti/decoloniale,
che indaga sulle nostre nozioni di “umanità” e “umano”,
mi sono resa conto che la categoria dell’animale – una
categoria che non cessa di opprimere gli animali reali – è
all’opera anche nelle oppressioni umane, in particolare dei
gruppi razzializzati. Mi pareva però strano che, nonostante
l’enorme mole di letteratura prodotta all’interno di questo filone
di pensiero – un filone che coglie la natura razzializzata
della categoria umana e l’animalizzazione degli umani come
mezzo per sfruttarli, violarne i corpi o eliminarli – nessuno
prendesse in seria considerazione né gli animali non-umani, né
il modo in cui il progetto di razzializzazione li influenzasse.
I miei contributi al libro affrontano proprio tale questione.
Non pretendo di dire nulla di particolarmente originale, e faccio
del mio meglio per chiarire che il mio contributo è radicato
in una lunghissima tradizione di persone nere e non bianche
su questi temi si sono interrogate, proponendo soluzioni
sia in termini di azione radicale, artistica, studio e pensiero, e
che fin dall’inizio hanno visto in atto il dualismo uomoanimale
nell’oppressione razziale. Ciò che desidero fare, nello
specifico, è applicare questa tradizione di pensiero radicale a
una questione trascurata ma ovvia, quella dell’animale, e vedere
cosa emerge.
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Non voglio dare l’impressione di aver scelto arbitrariamente
Césaire come punto di partenza per iniziare a pensare agli
animali. Usiamo la parola “radicale”, ma anche la letteratura
radicale sulla razza che esamina l’“invenzione” dell’umano –
come quella di Césaire, Frantz Fanon e Sylvia Wynter – non
spiega in che modo l’invenzione parallela dell“animale” rappresenterebbe
un terreno fertile per mettere in discussione gli
atteggiamenti della comunità nera verso gli animali. Come sostengo
in molti miei saggi, trasformare e risignificare l’umano
richiederà sicuramente di trasformare e risignificare l’animale.
Analogamente, negli spazi animalisti si parla molto di “radicalità”,
ma non credo che i sostenitori o i teorici dei diritti
animali si rendano conto di quanto sia radicale l’impresa di
creare uno spazio moralmente rilevante per gli animali. Non
possiamo limitarci a prendere in prestito gli schemi di pensiero
tradizionali per sovvertire l’attuale ordine morale. Non possiamo
limitarci a includere gli animali nella struttura esistente,
una struttura malata. Le attiviste e gli attivisti animalisti sono
disposti a entrare nei laboratori, a prendere a calci i finestrini
delle auto, a irrompere dentro a ristoranti e negozi famosi cantando
e raccontando storie di animali, a restare fuori al freddo
per ore. Le considerano azioni “radicali” per resistere e sfidare
il diffuso (ab)uso di animali. Ma pochi di loro sono abbastanza
radicali da cambiare il proprio modo di pensare. Non basta
prendere atto che gli animali soffrono e meritano di meglio.
Dobbiamo riflettere su quei concetti elaborati proprio allo
scopo di garantire che alcuni esseri umani, animali e altre vite
non-umane rimangano al di fuori delle nostre comunità morali
e sociali. Anche se non si tratta di un’attività dall’alto valore
intellettuale o accademico, è assolutamente necessaria per un
vero cambiamento. Spero che chi si dedica all’attivismo animalista
veda i nostri saggi come un’offerta, uno dei modi possibili
per radicalizzare il movimento.