Un demone contabile, un cane che forse è un ispettore delle tasse, un burocrate con una gamba di marzapane, un cassonetto che perseguita un netturbino, un vampiro che produce pannelli solari. Che sia comico o tragico, che sia grottesco o spaventoso, l'importante è che il Bestiario sia Stravagante:perché in ogni storia dell'orrore che si rispetti è il mostro il vero protagonista.
"Il mio amico immaginario ha un solo amico. Io.
Anch’io per la verità ho un solo amico, vale a dire lui, con la differenza
che io non ho molta scelta dal momento che non esisto.
Sono il suo amico immaginario.
Penso spesso che se mi fosse concesso di scegliere non starei certo appresso
a una nullità come lui.
Il che peraltro non può che essere un riflesso della scarsa stima che quell’uomo ha di sé stesso."
Dieci giorni al barbacane
Un ufficiale di complemento venne a prelevarmi dalle mie stanze polverose senza alcun preavviso.
Non feci domande, mi limitai a seguirlo con crescente curiosità.
Attraverso cunicoli a me sconosciuti mi condusse oltre le mura, fino alla guardiola ricavata nel barbacane.
Non ero mai uscito dalla Città del Crepuscolo, fino a quel giorno.
Il barbacane era situato a pochi passi dal suo portone d’accesso e le feritoie guardavano verso la soglia.
– Domani le porte della Città verranno aperte. Comincerà ad arrivare gente, il suo compito è contarli – mi disse l’ufficiale.
– Perché? – chiesi.
– Per sapere quando saranno arrivati tutti – si limitò a rispondere.
Guardai verso la pianura che si stendeva deserta e a perdita d’occhio, mi sembrava impossibile che da lì potesse mai giungere qualcuno.
Il secondo giorno cominciarono ad arrivare. Erano mendicanti e straccioni di molte razze diverse. Camminarono attraverso le fauci spalancate della città col loro passo lento e cadenzato, senza mai fermarsi o voltarsi. Alla sera l’ufficiale apparve a una feritoia e mi chiese quanti ne fossero giunti.
Io aprii il grande libro in cui avevo annotato ogni arrivo. Ne erano giunti 87.
– Domani riprenda il conteggio da dove l’ha lasciato – mi ingiunse.
Il terzo giorno erano molti di più. Qualcuno ben vestito, altri selvaggi. Ognuno sembrava viaggiare solo, nessuno curarsi degli altri. Ne contai 1110. Attesi il millecentoundicesimo fino a notte inoltrata, ma non venne. Arrivavano solo di giorno, compresi.
La notte vegliai nel barbacane chiedendomi quale fosse il significato di tutto ciò, senza essere in grado di darmi una risposta. Osservai a lungo le mura della città alla luce della luna. Erano così alte che sembravano sparire nelle nuvole.
Il quarto giorno giunsero come una marea. Uomini di ogni rango, razza ed epoca. Ittiti e astronauti. A fine giornata si era creata una specie di strada a causa dello strascichio dei loro piedi. Mi chiedevo da dove venissero, non sembrava esserci un luogo abbastanza vicino da essere raggiungibile a piedi. Vedevo apparire i primi all’alba lontano. Gli ultimi varcavano la soglia della città quando il sole scompariva all’orizzonte tra la bruma.
Il quinto e il sesto giorno la marea continuò ininterrotta. Dalla mattina alla sera, a ogni istante entravano in città sette dozzine alla volta. Ogni minimo granello della mia concentrazione era assorbito dal conteggio. All’inizio, non sapendo cosa mi aspettasse, segnavo sul libro mastro ogni singolo arrivo, ora li appuntavo a migliaia per volta. Ogni sera, dopo l’ultimo raggio di sole, l’ufficiale mi chiedeva rapporto. Io snocciolavo le mie cifre da perfetto contabile.
Il settimo giorno mi fu chiaro che la marea aveva smesso di montare ed era cominciata la risacca. L’ottavo giorno non ne giunsero nemmeno duemila.
Eravamo a 20 miliardi 452 milioni 798 mila 114.
– Ci siamo quasi – disse l’ufficiale controllando su un registro.
Il nono giorno giunsero 129 anime. Quasi tutte al mattino, nessuna nelle ultime tre ore prima del tramonto.
– 20 miliardi 452 milioni 798 mila 243 – lessi la sera all’ufficiale.
– Ne manca uno – disse lui.
Il decimo giorno che passai al barbacane il sole non sorse. Già per questo mi parve ovvio che non sarebbe venuto nessuno. Molte ore dopo, un tempo che in quella notte perenne mi parve infinitamente lungo, mi fu chiesto di dar conto per l’ultima volta.
Io ripetei il medesimo numero del giorno precedente.
– Ne manca ancora uno – commentò l’ufficiale con arguzia. – Ci deve essere stato un errore nel suo calcolo.
– Ne dubito – risposi con voce gutturale.
– È per forza così. Devo dare ordine di chiudere il portone.
Così fece. Dentro la Città del Crepuscolo si accesero le fiamme infernali. Ora mi era tutto chiaro. Il mondo era finito e l’eterno supplizio dell’umanità cominciato. A nulla valeva, per gli inflessibili burocrati dell’inferno, che al conteggio delle anime una ne mancasse all’appello. Un errore. Doveva esserci stato un errore nel conteggio. Come se un’anima potesse evaporare perdendosi nel nulla o ancora più assurdamente passare sotto i miei occhi inosservata.
No, non c’era alcun errore. Banalmente, e all’apice della loro stupidità, avevano lasciato fuori me.
Uscii dal barbacane e mi soffermai a guardare il cielo ormai privo di astri.
Poi dispiegai le mie ali membranose e balzai nell’etere, ad ammirare il silenzio supremo del mondo ormai vuoto.