Chiara e Alessio, lei una giovane studentessa di Bergamo, lui, più grande, di Modena, si conoscono durante una vacanza studio a Parigi. Per qualche tempo, finché le è possibile, lei gli tiene nascosto che a settembre, di quell’anno, si sarebbe trasferita a Bologna per studiare. Seguiranno altri piccoli misteri.
Una storia dolce che si snoda tra equilibri fragili, ricca di sfumature invisibili, apparentemente poco rumorose, per chi ama leggere.
Un libro ben scritto, con molti riferimenti all’arte e alla vita culturale tipica bolognese, ma non solo, che resterà impresso nel cuore.
Segnalazione Particolare della Giuria Premio Casentino.
Finalisata Premio Pannunzio, città di Torino.
V Premio, Premio città di Sarzana
I
Parte prima
Ogni autunno ha la sua magia e ogni città ha il suo autunno, cosicché i colori e i paesaggi si rinnovano nell’animo di ogni uomo, che si modella ad essi come fossero simboli inconsci del perpetuarsi del tempo. Nel mutare delle stagioni cogliamo il senso del passaggio obbligato, del divenire: che è crescita, trasformazione e morte, ma, allo stesso tempo, forza e consolidamento di ciò che siamo. Impossibile scindere dai ricordi le stagioni, coi loro colori ed i loro profumi. Ciò che ci caratterizza e ciò che siamo è un continuo divenire, in equilibrio col mondo in cui viviamo. Una foglia, una pozzanghera potrebbero rievocare ricordi antichi di vent’anni, e come è facile spiegarlo: “Mi ricordo, una volta, quand’ero piccina c’era un cielo così scuro, sai”. Il resto è magia che attrae chi è con te, se ha interesse ad ascoltarti, perché anche in lui esistono altrettanti cieli scuri, o viali alberati, o tardi pomeriggi in cui ci si affrettava verso casa.
E nella luce autunnale che in quel pomeriggio si spandeva lucida e densa sull’asfalto e sui muri delle case, Chiara a tratti percepiva le stesse malinconiche emozioni di quand’era bambina, di un autunno pur così diverso nei luoghi in cui era nata e cresciuta. Ricordi mischiati, in fondo confusi, coi cinque anni trascorsi in quella città. “Bologna va guardata volti verso l’alto, se la si vuol apprezzare nelle finezze”, sostengono i bolognesi. Ma forse lo dicono per celare quel senso d’oppressione che talvolta insorge anche in loro, percorrendo all’infinito i suoi stretti vicoli e i lunghi portici dalla trama unica e ineguagliabile.
Chiara era all’ultimo anno e ormai di Bologna non ne poteva più. Sola e disillusa come mai si sarebbe aspettata nei primi anni di studio, quando tutto le appariva nuovo e coinvolgente, adesso a quelle tortuose architetture preferiva gli spazi liberi che, qua e là, le apparivano improvvisi. Negli spazi liberi si ritrovava più che nei ricordi, in essi pregustava l’inizio della nuova vita che da qualche parte l’attendeva, anche se non sapeva dove; sicuramente avrebbe fatto in modo di andarsene lontano il più possibile da quella città, dai suoi inverni, dai suoi cortili e dai suoi sogni infranti.
Da quando aveva terminato gli esami Chiara si svegliava ogni mattina pervasa da una sensazione sconosciuta, quasi di liberazione, come se ogni nuovo giorno che incominciava le dovesse riservare novità speciali, e questa sensazione le traspariva in volto e le illuminava lo sguardo a tal punto che, guardandosi allo specchio, lei stessa se ne accorgeva e sorrideva. La toilette, la colazione, ogni routine giornaliera aveva perso i suoi meccanicismi e lei le compieva, traendone ulteriore piacere, con risoluta calma. E poco importava se, in realtà, non le capitava nulla più di quel semplice presentimento; le bastava alzarsi con tranquillità, aprire le imposte e osservare come fosse il tempo, per poi passare in bagno e da là alla cucina dove preparava la colazione anche per Alessandra, la coinquilina di qualche anno più giovane di lei, e per questo forse poco mattiniera, dalla quale era stata scelta per condividere l’appartamento preso in affitto; e ogni volta si ritrovava alla finestra, con una tazza colma di buon tè in mano, a rimirare il tempo e a pensare, con lo sguardo rivolto alla rosa rampicante del cortile, la quale, con le prime frescure di quei giorni, aveva ripreso a fiorire con nuovi boccioli di color rosa tenue.
Tuttavia, come si sa, ogni premonizione, per poco che valga, contiene sempre un che di veritiero; e quanto più forte certi stati si rendono manifesti alla coscienza, con tanta più probabilità qualcosa di straordinario avverrà realmente. Non saprei dire se ciò che accadde a Chiara quella sera, che in fondo è la trama di questa storia, sia possibile definirlo straordinario, ma in ogni cuore del mondo esiste un segreto, ed allo stesso modo di una foglia o di una pozzanghera, anche una semplice vicenda, realmente accaduta, potrebbe rievocare un cielo scuro, un viale alberato o un tardo pomeriggio in cui ci si affrettava verso casa: al nostro amore perduto.
Era un venerdì pomeriggio quando Chiara uscì abbastanza presto dalla biblioteca di Via Galliera per recarsi al mercato, sperando di trovare un regalo adatto per Alessandra, che proprio quel giorno compiva gli anni ed aveva organizzato un buffet, invitando i suoi amici, in un locale pubblico situato in prossimità delle due Torri.
In realtà, a causa del suo carattere schivo e riservato, o forse, più semplicemente, stanca di quel tipo di ritrovi, Chiara avrebbe preferito festeggiare l’amica nell’intimità di casa, o averlo già fatto la mattina stessa, nel momento della giornata in cui si sentiva più serena, piuttosto di ritrovarsi in compagnia di sconosciuti, probabilmente tutti più giovani di lei: ma Alessandra aveva talmente insistito che, alla fine, non se l’era sentita di declinare il suo invito.
Giunta in prossimità di Via dei Mille, vedendo in lontananza Piazza VIII Agosto gremita di persone, le venne da sorridere all’idea di unirsi a quel flusso di passanti, in quanto non era solita frequentare i luoghi troppo affollati; ma, all’apparire dei primi banchi, la sua attenzione fu presto rapita dalle merci esposte sulle bancarelle e i suoi movimenti si coordinarono perfettamente alla restante moltitudine; allora, mentre con lo sguardo mirava attenta certe collanine, istintivamente si faceva un poco da parte per lasciar passare la signora carica di sporte che le sopraggiungeva in tutta fretta da dietro, diminuiva il passo quando intravedeva qualcosa d’interessante, oppure tendeva ad aumentarlo nelle zone per lei meno interessanti; ogni qualvolta il flusso generale lo permetteva o si diradava, scostava la mano da una cesta se qualcuno la contrastava, spiegava un golfino, sfiorava con il dorso della mano la pelle di una borsetta, e in quel gran movimento pareva una ragazzina felice mentre procedeva indifferente agli sguardi mollicci di certi individui, i quali cercavano di frugare dentro ai suoi occhi chissà che cosa, o agli espliciti inviti a lei diretti ad alta voce dai venditori, per quel licet da buffoni che talvolta si permettono purtroppo verso chi, senza provocazione, maggiormente li attrae. E Chiara era davvero bella; cresciuta in un paesino di periferia, situato nel parco del fiume Oglio, tra gente cordiale e onesta, aveva mantenuto i caratteri genuini che contraddistinguono le persone semplici e sincere.