ROMANZO FINALISTA AL CONCORSO R COME ROMANCE 2019
A Giulia piace lavorare, ma non le piace il suo lavoro, ama suo marito Pietro, ma non sono d’accordo su niente, neanche sulla raccolta differenziata. Dopo l’ennesima angheria da parte di quella sadica del suo capo, Giulia lascia il lavoro e anche Pietro se ne va di casa. Potrebbe andare peggio?
Primo capitolo
CAPITOLO 1 - MI PIACE LAVORARE
Alle otto e quaranta di lunedì non si era ancora svegliata del tutto.
Giulia entrò in ufficio, aprì le finestre per cambiare l’aria e accese il bollitore. Non riusciva a partire senza una tazza di tè nero, bollente e senza zucchero. Seduta alla scrivania, avviò il computer e, in attesa che si aprisse Windows, sorseggiò il tè.
Giulia aprì Google calendar, diede uno sguardo al suo piano editoriale poi diede uno sguardo a Facebook: quarantanove notifiche e sei messaggi.
Aprì anche l’homepage dell’agenzia Ansa per leggere le ultime notizie. Infine aprì la casella di posta elettronica principale e sospirò: trentacinque mail in arrivo solo nella principale.
Di tutte queste cose che aveva aperto, Giulia chiuse soltanto la finestra dell’ufficio, che dava su una strada trafficata il cui rumore saliva già fastidioso. Guardò il fondo della tazza dove galleggiavano due foglioline di tè. Oggi la stagista non sarebbe venuta perché impegnata in un workshop di formazione sulla sicurezza sul lavoro, così l’aspettava una lunga mattina solitaria.
Giulia cominciò ad aggiornare la prima delle cinque pagine web. Avvertì un lieve senso di nausea, forse dovuto al tè nero bevuto a digiuno, appena prima di aprire la prima delle nove pagine Facebook che gestiva come Social Media Manager. In giornata avrebbe dovuto programmare almeno quaranta post e formulare dieci sponsorizzazioni, tra eventi e prodotti.
Aveva ripreso in mano la tazza con l’intenzione di prepararsi un altro po’ di tè, quando Patrizia, detta Patty, fece irruzione nell’ufficio, senza annunciarsi e senza bussare, com’era sua abitudine.
Indossava un paio di pantaloni larghi tagliati quattro dita sopra la caviglia con scarpe stringate bicolore, stampato sul volto un mezzo sorriso, ben poco rassicurante.
«Allora, sei pronta?»
Giulia sentì le guance avvampare, mentre i suoi neuroni annaspavano alla ricerca della risposta giusta.
«Pronta, sì, no. Per… cosa?» si informò, rivolgendo a Patty uno sguardo supplicante.
«Qual è la cosa che dobbiamo fare stamattina?» le domandò la sua Chief Executive Account, mentre portava le mani sui fianchi e rivolgeva gli occhi al cielo, in una versione commerciale del martirio di San Sebastiano.
«Non… non me lo ricordo» balbettò Giulia, maledicendosi per non avere ordinato il solito espresso doppio al bar sotto casa, perché voleva incominciare la settimana salutista proprio da quel lunedì.
«Abbiamo la presentazione in Auditorium. Ma davvero non ti ricordi?!» la incalzò Patrizia, alzando il tono della voce di un’ottava, segno inequivocabile di irritazione montante.
Giulia era sempre più nervosa, mentre le notifiche su Facebook aumentavano e il pensiero di tutta quella mole di lavoro da sbrigare in giornata la opprimeva.
Distolse lo sguardo dalle grosse caviglie nude che quella donna esibiva e ricominciò a battere sui tasti del pc.
«Sinceramente me l’ero dimenticata, la presentazione in Auditorium.»
Giulia aveva pronunciato le ultime parole con un tono seccato, per sottolineare la vastità del disinteresse che provava per le necessità del suo capo.
Patrizia strinse le labbra, sottili e dipinte di un rosso mattone che non le donava. La sua quinta di reggiseno avanzò minacciosa.
«Ma come? - sbottò, e ormai il tono di voce era diventato stridulo. - Avevi promesso di aiutarmi ad assegnare i posti!»
Si trattava della presentazione di un servizio di tutoraggio dedicato agli studenti delle scuole superiori, che intendeva aiutare i ragazzi a organizzare i compiti a casa. Patrizia era terrorizzata dai minorenni, o meglio dalla possibilità che facessero atti di vandalismo, tipo bere coca cola, ruttare e mangiare patatine in sala.
«Quelli più bassi davanti, gli alti dietro» riassunse Giulia, sempre più irritata. Patrizia incassò, ma non aveva intenzione di mollare l’osso. La presentazione doveva iniziare alle undici in punto e Patrizia, come responsabile progetti dell’agenzia di comunicazione Affamati e folli, per cui entrambe lavoravano, aveva il compito di gestire gli inviti e organizzare le piante dei posti a sedere. Un compito che era al di sopra delle sue possibilità, con ogni evidenza.
Giulia era murata di lavoro e non aveva intenzione di spostarsi dalla propria postazione per tenere la mano a Patrizia e accompagnare un manipolo di adolescenti ai propri posti in platea.
«Così, ti sei dimenticata» ricomiciò Patty.
«Non mi stupisce affatto» aggiunse, dopo una pausa, i due occhi porcini piantati in quelli di Giulia.
«Ah, ti devo dire un’altra cosa: è successa una tragedia.»
Il cervello di Giulia registrò la parola tragedia e tradusse con: catastrofe, cataclisma, ecatombe.
«Mi ha telefonato la titolare di Chiccalandia due per lamentarsi che nell’evento di mercoledì prossimo su Facebook hai indicato l’orario sbagliato, 16 invece che 16 e 15.»
«Correggo subito - si affrettò a dire Giulia, pur di levarsela di torno - ma non mi sembra affatto una trage...»
Giulia non riuscì a concludere la frase, perché Patrizia, la travolse con uno tsunami di improperi.
«Insomma! Io mi aspetto che TU non faccia CONTINUAMENTE stupidi errori! Non mi posso occupare IO di tutto. Se non sono nemmeno in grado di delegare una SEMPLICE incombenza, cosa dovrei concludere? Pensi che possa fare io OGNI COSA?»
Detto questo, portò finalmente il culo fuori dalla porta, lasciando dietro di sè una scia di Black Opium e acidità da stendere un elefante.
Giulia respirò di gola ancora per qualche secondo, poi si alzò dalla scrivania, guardò il cielo grigio sui tetti davanti alla sua finestra, e decise di farsi un espresso, doppio, nero e senza zucchero.
Mentre lasciava scendere in gola il liquido caldissimo e amaro, Giulia rimuginava sulla conversazione appena finita, persa in un nodo di emozioni che andavano dalla vergogna, alla frustrazione alla rabbia omicida.
Quando le sue amiche o le persone appena conosciute le dicevano: “Che bel lavoro il tuo!” Giulia si scherniva.
La verità era che lo odiava.
Molti pensavano che quello del Social Media Manager fosse un mestiere molto creativo, ma per Giulia non c’era niente di creativo nel confezionare banali post commerciali su Facebook, inviti a inaugurazioni di locali tutti uguali, esortazioni a comprare questo o quell’oggetto o a scaricare una nuova, imperdibile App. Per non parlare dell’organizzazione di eventi, che di solito erano presentazioni di nuovi prodotti o servizi dai nomi improbabili.
No, non era affatto un’occupazione entusiasmante, almeno per lei. Si sentiva più soddisfatta di sé quando aggiungeva una nuova spezia nelle polpette vegane o quando trovava il tempo di curare il suo piccolo giardino. Da poco aveva piantato una verbena nana e una nuova varietà di Clematis rampicante aspettava di essere svasato.
Giulia non ricordava nemmeno come fosse finita in quell’ufficio, con quella mansione. Era entrata in azienda per occuparsi della parte creativa, per scrivere i testi dei cataloghi commerciali, i listini prezzi, gli inviti ai vernissage, i comunicati stampa.
A volte si occupava anche della filiera di alcuni prodotti, proponendo il pay off e addirittura scegliendo il nome di una nuova linea. Quello non era male, anche se quasi sempre i clienti bocciavano le sue proposte, ritenute troppo estreme. Ma coi social non si trovava a suo agio, oppure il problema era il nuovo Chief Executive: Patrizia detta Patty.
Da mesi la terapista di Giulia la spingeva a trovare una soluzione alla questione del lavoro, che la stava bloccando.
Giulia non riusciva a smarcarsi dal pressing quotidiano di Patrizia. Quella donna esercitava un potere su di lei, la faceva sentire stupida. Era come se una specie di incantesimo la inchiodasse a un ruolo che non le apparteneva: una Cenerentola con un’unica, grande sorellastra stronza. Giulia era tutt’altro che stupida, anzi, riusciva a sbrigare una grande quantità di incombenze e non temeva la fatica. Era capace di restare concentrata per lunghi periodi e di svolgere compiti diversi contemporaneamente, senza fare confusione.
Purtroppo si stancava, come tutti, e al ritorno a casa non aveva molta energia da parte. Forse anche per questo era andato via di casa.
Forse non era solo colpa di suo marito, se il loro matrimonio era fallito.