Il 12 settembre 1919 una spedizione di volontari italiani guidata da Gabriele d’Annunzio occupò la città adriatica di Fiume, contesa tra Italia e Jugoslavia.
L’impresa fiumana fu una delle molte crisi di confine che attraversarono l’Europa dopo la Grande guerra e rappresentò uno snodo significativo per la politica italiana.
Durante quell’esperienza fu elaborato un linguaggio patriottico fondato su nuove liturgie collettive e sull’idea di una “rivoluzione nazionale” contro le istituzioni parlamentari.
In pochi mesi nacque una mitologia che fu assorbita dal fascismo e le cui origini sollevano interrogativi a distanza di un secolo.
Perché oggi Fiume dannunziana è ricordata come la culla della politica totalitaria ma anche come una “città di vita” in cui tutto era permesso? Quale ruolo vi avevano i culti della guerra, del passato, della natura e della giovinezza? Come nacquero riti come il discorso del duce e il saluto romano?
Partendo da un’innovativa indagine su fonti e retroscena, il libro di Federico Carlo Simonelli ricostruisce i simboli e le rappresentazioni che permisero a d’Annunzio di trasformare una città dalle molte anime in un mito che ha influenzato a lungo il modo di intendere la politica e la storia dell’Alto Adriatico.