Con la Costituzione del ’48 gli italiani sono diventati cittadini, e non più sudditi del re. Cosa ha significato questo per la cultura della cittadinanza?
Agli inizi ci fu un sovrano che, «con lealtà di Re e con affetto di padre», concesse ai suoi amatissimi sudditi una Costituzione: era il 4 marzo 1848 e quella costituzione, emanata da Carlo Alberto di Savoia, divenne, qualche anno dopo, la carta fondamentale del Regno d’Italia. Il nuovo Stato, culmine del Risorgimento, riconosceva il diritto di voto all’1,9 per cento della popolazione, cioè ai soli maschi abbienti. Un secolo dopo, il 1° gennaio 1948, la Costituzione repubblicana ha proclamato che «la sovranità appartiene al popolo» (articolo 1), introdotto il suffragio universale di donne e uomini e stabilito che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (articolo 3). Oggi c’è chi quella Costituzione vuole modificare. Tra questi poli si muove il testo di Domenico Gallo: una storia istituzionale del Paese, la cui stella polare è la convinzione che la storia non sia una vetrina di sovrani, governanti e generali ma un faticoso percorso di uomini e donne alla ricerca di dignità e diritti.
In allegato un dvd con materiali e documenti utili.