Disponibile dal 7 giugno 2017
Patrizia Torrisi è testimone oculare di un omicidio, ma nessuno le crede, soprattutto la polizia.
Qualcuno però sa che Patrizia è sincera: purtroppo per lei, è l'assassino. Il quale cerca più volte di ucciderla, simulando altrettanti incidenti.
Costretta a improvvisarsi detective per trovare una prova che convinca la polizia della sua buona fede, la donna trova un alleato nell'ambiguo e affascinante Ricky Micheli, un giovane giornalista.
Mentre l'assassino colpisce ancora, eliminando personaggi che non sembrano aver legami fra loro, Patrizia scoprirà a sue spese che il pericolo è molto più vicino e insospettabile di quanto appaia.
Un giallo ispirato a personaggi, situazione e atmosfere del cinema thrilling di Dario Argento, dove la suspense cresce insieme all’ansia della protagonista, che diventa angoscia e paura prima di approdare al terrore, quando risolverà il mistero dopo una serie di colpi di scena.
Enrico Luceri (1960) è un autore di gialli classici. Fra le sue pubblicazioni, i romanzi Solo dopo il crepuscolo (Damster, 2016), scritto insieme a Sabina Marchesi, Le colpe dei figli (Mondadori, 2015), Buio come una cantina chiusa (Mondadori, 2013),
Le strade di sera (Hobby&Work, 2012), Il mio volto è uno specchio (Mondadori, 2008, Premio Tedeschi).
Insieme a Giulio Leoni e Massimo Pietroselli ha creato la serie di romanzi M-Files. Inoltre il saggio La porta sul giallo (Prospettiva, 2010), scritto insieme a Sabina Marchesi, e diversi articoli pubblicati in appendice ai Classici del Giallo Mondadori fra il 2009 e il 2013.
Suoi racconti sono presenti nelle antologie di AA.VV. Delitti in giallo (Mondadori, 2015), Delitto capitale (Hobby&Work, 2012) e Nero Lazio (PerroneLab, 2010).
Fra le edizioni digitali, Ancora domenica (Delos, 2017), Uno, due, stringi le mie mani tra le tue (FlimFlam, 2016), e Fata Morgana (Delos, 2015), quest'ultimo scritto insieme ad Andrea Franco. Sempre in ebook, il saggio in cinque volumi Il cinema dallo schermo che sanguina, sulla filmografia giallo thrilling italiana.
IL PRIMO GIORNO: LUNEDÌ
1.
– La verità è che sei un’egoista, per te conta solo questa maledetta agenzia! – gridò l’uomo e con un ampio gesto del braccio indicò le pareti del locale.
Stavolta la donna seduta dietro la scrivania non riuscì a trattenersi e si alzò di scatto, battendo un pugno sul piano di legno:
– Questa maledetta agenzia mi è costata anni di sacrifici e non ti permetto d’insultarla. Mentre tu giocavi a biliardo con i tuoi amici, o scommettevi con loro sulla macchina più veloce, io sgobbavo tutti i santi giorni, compresi i fine settimana, per creare questo! – Anche lei abbracciò la stanza con un movimento circolare della mano.
– Finalmente hai sputato fuori il rospo, Patrizia! – L’uomo si passò le dita fra i folti capelli castani, che andavano diradandosi sulle tempie, e fece un passo verso di lei. – A te questa cosa non è mai andata giù: non è colpa mia se sono il figlio di chi ha fondato la maggiore impresa edile della provincia, e che l’ha diretta fino al suo ultimo giorno di vita.
– E non ti sei mai chiesto perché? – chiese prontamente Patrizia. – Già, era troppo comodo correre in auto, tirare tardi giocando a carte o saltare da una festa all’altra fino alle ore piccole, piuttosto che domandarsi perché tuo padre non ti lasciava fare nemmeno una fotocopia!
– Per lavorare c’è sempre tempo, cazzo! Infatti...
– Infatti da quando è morto tuo padre non sai dove mettere le mani e la ditta perde colpi.
– Non è colpa mia se la giunta comunale ha bloccato il piano regolatore del nuovo quartiere, avevo puntato tutto sulla città giardino e...
– E hai perso il piatto, proprio come al poker.
– Lo sai che sei proprio una stronza?
Patrizia tacque e scrollò il capo. Girò attorno alla scrivania e si avvicinò a uno specchio appeso alla parete, accanto a un poster incorniciato che riproduceva un quadro di De Chirico. Sospirò e fissò la propria immagine riflessa: vide una donna di quarant’anni che ne dimostrava tranquillamente cinque di meno, con i lunghi capelli biondi, un viso regolare e forse un po’ anonimo, ma nel complesso di aspetto gradevole.
Indossava un paio di pantaloni grezzi e una giacca di tweed sopra una camicetta color avorio. Si chiese se avrebbe avuto la costanza di continuare la dieta che si era imposta per perdere i chili di troppo. Alzò le spalle e si voltò verso il suo interlocutore, che nel frattempo aveva infilato una sigaretta fra le labbra e la guardava con aria di sfida.
– Forse lo sono davvero, Giorgio, se ho creduto che la nostra storia potesse funzionare – ammise a bassa voce.
Lui sbuffò, sfilò la sigaretta spenta dalla bocca e la cacciò in tasca, scuotendo rabbiosamente la testa.
– Fra alti e bassi sono quasi sei anni che stiamo insieme. Abbiamo perso anche troppo tempo.
– Non ripartire con la filastrocca dei figli, perché sarebbe fiato sprecato! – sbottò Giorgio. – Negli ultimi dieci anni, e non sei, perché è da tanto che ci conosciamo, hai trascorso più tempo qui che a casa tua. Questa è casa tua – ribadì, pestando un piede sul pavimento. – Vorresti far nascere, allattare e svezzare dei figli in un’agenzia immobiliare? – concluse sarcastico.
– Tu ce l’hai con il mio lavoro perché io mi sono realizzata e...
– E io non facevo nemmeno le fotocopie a mio padre... Sì, l’hai già detto.
– Giorgio, questa discussione sta diventando sempre più antipatica. E abbassa la voce, non siamo in un cantiere!
– Hai paura che le tue impiegate mi sentano? – Indicò con il pollice la porta chiusa. – Ma io voglio che mi sentano! E che sappiano chi è davvero la titolare dell’agenzia – gridò Giorgio, alzando ancora di più il tono della voce.
– O abbassi la voce o...
– O mi fai sbattere fuori dalle tue impiegate? – Mentre litigavano, accalorandosi sempre più, si erano avvicinati l’uno all’altra, senza rendersene conto.
Adesso la coppia era quasi a contatto, tanto da potersi guardare negli occhi. Patrizia abbassò lo sguardo e disse con voce triste:
– Ti ricordi quando i nostri amici dicevano di noi che gli estremi si attraggono? E io che ci ho creduto, anzi ci ho voluto credere, anche quando le cose hanno cominciato a peggiorare.
Giorgio allungò esitante una mano verso Patrizia ma subito dopo abbassò le spalle e si allontanò di un passo.
– Che stupida, credevo che tutto si sarebbe aggiustato, un giorno. In fondo a letto funzionavamo benissimo, no? – Lui alzò la testa e la guardò ma si limitò ad annuire in silenzio.
– Tu sei prudente, determinata, ostinata e... insomma, hai un carattere forte – disse Giorgio, dopo qualche istante. – Io invece sono impulsivo, disordinato e inaffidabile... insomma, sono il contrario di te.
– Già – mugolò Patrizia. – Le abbiamo provate tutte: prima a convivere, poi ognuno a casa sua, e dopo ci siamo lasciati e rimessi insieme. Abbiamo litigato e siamo stati mesi senza parlarci. Abbiamo passato intere notti a discutere e a cercare di capire cosa fare per salvare la nostra storia. In una parola: le abbiamo provate tutte.
– Inutilmente – sussurrò Giorgio. – Stavamo solo rimandando il momento in cui capire che era finita per sempre.
– Eravamo in buona fede tutti e due – mormorò lei, e per la prima volta l’uomo percepì nella sua voce qualcosa di simile alla dolcezza. – In fondo cercavamo di salvare un legame che fra alti e bassi andava avanti da sei anni.
– Quasi dieci – corresse lui, rassegnato.
La donna sospirò e si voltò verso la scrivania, fingendo di cercare qualcosa fra le carte sparpagliate sul ripiano. Allora Giorgio si avvicinò alle sue spalle e le parlò a bassa voce:
– Vogliamo piantarla di litigare come due bambini e discutere con calma?
– Come hai fatto fino a ora? – Patrizia si girò verso di lui, e furono ancora una volta molto vicini.
– Domani a pranzo, dopo averci dormito sopra?
– Ognuno a casa sua.
– Certo – approvò lui, dopo qualche istante.
– Vediamo se indovino: in quel ristorante fuori città, dove andavamo quando eravamo in crisi e tu cercavi di farti perdonare, e mi facevi trovare un regalo sul tavolo e… – insinuò lei, ironicamente.
– Se vuoi, oppure da un’altra parte.
La donna distolse lo sguardo e fissò pensierosa un quadro appeso alla parete. Sembrava incerta sul da farsi, sospesa fra il timore di veder svanire l’ennesima illusione e quello di chiudere per sempre una storia durata sei anni. O erano davvero quasi dieci? Giorgio intuì che Patrizia era sul punto di accettare e rimase immobile e silenzioso.
La segretaria si alzò dalla sedia e si avvicinò alla porta chiusa. Tese l’orecchio ma non udì nulla. Le urla e gli insulti erano cessati all’improvviso, come erano cominciati.
Alzò le spalle e tornò a sedersi dietro la sua scrivania.
– Secondo te che stanno facendo? – chiese la collega, senza distogliere il viso dal monitor del computer. Le sue dita agili sembrano solo sfiorare la tastiera.
– Boh! – La segretaria alzò gli occhi verso il soffitto, esasperata.
– Forse hanno fatto pace. – La donna strizzò gli occhi e avvicinò il viso al computer. Sospirò soddisfatta, e guardò l’orologio.
– È tardissimo, e devo ancora fare la spesa. – Spinse un tasto e il monitor divenne buio. Si alzò, afferrò la borsetta che aveva posato accanto alla scrivania e mimò un bacio alla segretaria.
– Ciao, Renata.
L’altra donna le rispose con un cenno distratto della mano e rimase qualche istante a fissare la porta a vetri che dondolava. Lo squillo improvviso del telefono la fece sobbalzare. Quando allungò una mano verso il ricevitore, Renata si accorse con disappunto che tremava leggermente.
– Agenzia immobiliare Torrisi. Ah, buonasera, signora. Sì, è ancora in agenzia, ma al momento è impegnata in una… – Cercò la parola adatta, mordendosi un labbro – …riunione. Attenda in linea, passo la comunicazione al più presto.
Renata si alzò e si avvicinò alla porta dell’ufficio di Patrizia. Ancora silenzio. Senza esitare, bussò un paio di volte e quando udì un mormorio abbassò la maniglia e si sporse sulla soglia.
Patrizia era in piedi accanto alla scrivania e leggeva assorta dei fogli spillati, mentre Giorgio fumava una sigaretta sfogliando distrattamente una rivista di arredamento. A Renata sembrò che la coppia le avesse rivolto un’occhiata ostile.
– Patrizia, c’è la signora Giuliani a telefono. Dice che ti vuole parlare subito, che stamattina c’è stato un equivoco e…
– Insomma ci ha ripensato?
La segretaria si strinse nelle spalle e piegò le labbra in una smorfia perplessa.
– Va bene. – Patrizia indicò il telefono con un cenno del mento.
Giorgio aveva assistito al dialogo con aria assente, perso dietro le volute di fumo. Appoggiò la schiena al muro, la sigaretta appesa a un angolo della bocca e le braccia incrociate sul petto.
Renata afferrò il ricevitore, premette un pulsante e avvisò la cliente che le passava la titolare. Quando sentì la voce di Patrizia, spinse un altro tasto dell’apparecchio e riagganciò. Aveva lasciato la porta socchiusa e da quella prospettiva distingueva il profilo contrariato di Giorgio.
– Sì, signora. – Patrizia cercò di assumere un tono conciliante. – Ho capito che secondo lei si è trattato di un equivoco, ma poteva farsi venire gli scrupoli prima di arrivare al giorno del compromesso. No, vede… – Tacque quando la sua interlocutrice la interruppe con un fiume di parole concitate. – Se temeva che l’immobile fosse gravato da qualche ipoteca poteva chiederci di verificarlo, e noi lo avremmo fatto per tempo.
– Sì, mi ha già spiegato che l’appartamento le interessa e non vuole perdere l’occasione, ma il proprietario si è stancato di questi tira e molla e mi ha detto di… – Fu interrotta ancora una volta e posò la nuca indolenzita sulla poltrona, soffocando un’imprecazione. – Certo, posso provare a fargli cambiare idea. Gli spiegherò che lei conferma la disponibilità all’acquisto, vincolata all’assenza di vincoli ipotecari. La mia agenzia si farà carico di questo controllo e…
Giorgio schiacciò l’ennesima sigaretta nel posacenere, si sgranchì inarcando la schiena con un gemito di sollievo e sbirciò l’orologio con impazienza.
Nel frattempo Renata aveva infilato il cappotto e si era affacciata sulla soglia dell’ufficio. Cercò senza successo d’intercettare lo sguardo di Patrizia per rivolgerle un cenno di saluto.
– Vuole parlarne direttamente con il proprietario? D’accordo, lo chiamerò e fisserò un appuntamento per domani mattina, qui in agenzia. Come dice? – Patrizia si passò una mano fra i lunghi capelli biondi e corrugò la fronte. – Se crede che parlarne al ristorante possa contribuire a smorzare i toni, per me va bene – concluse in tono poco convinto. – Il proprietario stasera non è in casa, lo avviserò domani mattina, ma penso che accetterà senz’altro. Anche lui vuole concludere la compravendita. Allora ci vediamo domani a pranzo alla Taverna dell’Angelo. – Annuì un paio di volte e infine posò il ricevitore sulla forcella come se quel gesto le costasse uno sforzo. – Finalmente!
Renata fece un passo verso la soglia ma si fermò quando si accorse che Giorgio si era avvicinato alla scrivania e fissava Patrizia in silenzio. Era impallidito e aveva posato le mani strette a pugno sul ripiano, sporgendosi verso la donna.
– Così domani sei a pranzo fuori, eh? – sibilò con la voce strozzata di chi trattiene a stento la rabbia.
Lei ricambiò il suo sguardo e ribatté:
– Non c’è niente di drammatico: devo andare assolutamente a pranzo con quella stronza e il padrone di casa, altrimenti mi salta la compravendita. Con te posso andarci in qualsiasi altro momento, tanto... – S’interruppe mordendosi un labbro e distolse il viso, come si fosse resa conto che stava per dire una parola di troppo.
– Tanto il lavoro è più importante di me, vero? – Giorgio batté una mano sul tavolo e si allontanò di qualche passo. Adesso sembrava insolitamente calmo, e Patrizia si sentì improvvisamente triste e stremata. Non seppe cosa replicare e si limitò a scuotere il capo, in silenzio.
– Come vuoi. – L’uomo raccolse il pacchetto di sigarette che aveva posato sul bracciolo di una sedia. Quando si accorse che ce n’era rimasta una sola, se la infilò in bocca e accartocciò il pacchetto, gettandolo con un gesto elastico del polso nel cestino. Accese la sigaretta e cominciò a fumare.
Renata aveva assistito alla scena senza decidersi a interrompere quella sgradevole discussione. Infine oltrepassò la soglia e fece un gesto con la mano:
– A domani, Patrizia.
– Sì, va bene – rispose l’altra donna senza guardarla. Sembrava assorta nei suoi pensieri e raccoglieva con gesti nervosi le carte sparse in disordine sulla scrivania.
– Arrivederci, Giorgio – mormorò la segretaria rivolgendosi all’uomo che fumava in silenzio. Lui non se ne accorse e rimase immobile a fissare la parete dell’ufficio.
Renata si strinse nelle spalle e uscì dall’agenzia, chiudendosi alle spalle la porta a vetri. Il tintinnio della campanella appesa allo stipite ebbe il potere di scuotere la coppia, che un tempo si amava molto più di quanto ognuno di loro avrebbe ammesso.
Giorgio spense l’ultima sigaretta e se andò in fretta. Patrizia rimase a fissare la sua schiena che scompariva nella stanza a fianco senza riuscire a dire nulla. Quando udì lo scampanellio della porta dell’agenzia, nascose il viso fra le mani e cominciò a piangere.
Piangeva piano, sussultando per i singhiozzi, e le lacrime scivolavano sui fogli con la pianta dell’immobile che la signora Giuliani esitava ad acquistare, perché temeva potesse essere gravato da qualche ipoteca, nascosta fra le pieghe di un prezzo insolitamente buono. Patrizia afferrò i fogli, li stracciò con rabbia e li gettò sul pavimento. Caddero lentamente, quasi planando, e lei rimase a fissarli affascinata. Poi si alzò, asciugò le guance con il dorso delle mani e cominciò a raccogliere chiavi, penne e appunti che gettò alla rinfusa nella borsetta.
Si chiese se avrebbe dovuto correre dietro a Giorgio: decise che era meglio di no. Se avesse trovato prima il coraggio di resistere alla sua debolezza, avrebbe evitato tante sofferenze ad ambedue.
Guardò l’orologio e si accorse che le nove di sera erano passate da un pezzo. Afferrò la tracolla della borsetta e uscì dall’agenzia, dopo aver spento l’insegna e le luci nei locali. Infilò la chiave nella fessura accanto alla porta e la saracinesca a maglie calò lentamente. Quando toccò il suolo con un rumore metallico, Patrizia si guardò attorno e si accorse che la via era deserta.
Quel pomeriggio era piovuto e il selciato umido brillava alla luce della luna. Si levò un soffio di vento freddo e lei alzò il collo della giacca di tweed, rabbrividendo. S’incamminò verso la macchina, che aveva parcheggiato come suo solito in una piazzetta poco distante, ma dopo un centinaio di metri si voltò all’improvviso, stringendo la borsetta al petto.
Aveva avuto la sensazione che ci fosse qualcuno alle sue spalle. Qualcuno che la seguiva, anzi la pedinava, perché sembrava aggiustare il passo con il suo: rallentava, accelerava o si fermava proprio come lei.
Con il cuore in gola e gli occhi sbarrati, Patrizia fissò la strada vuota. Batté con rabbia un tacco sul marciapiede e si rimproverò per essersi fatta suggestionare dall’atmosfera tenebrosa di una sera autunnale. Scacciò quel pensiero, stringendosi nelle spalle e riprese il suo cammino solitario.
Nel silenzio poteva distinguere l’eco dei televisori e lo sgocciolìo di una fontana. Erano anni che ogni sera faceva la stessa strada per raggiungere la macchina ma non si era mai accorta che le facciate dei palazzi disegnavano ombre inquietanti e ostili sul selciato.
Stabilì razionalmente che quella sensazione opprimente era dovuta all’ora tarda e allo stress della giornata estenuante, di cui si sorprese a valutare il bilancio. Una compravendita pericolosamente a rischio recuperata con tenacia e pazienza, e un rapporto decennale (o erano solo sei anni?) svanito nel fumo di alcune sigarette e nel tintinnio della porta che si era chiuso alle spalle l’uomo che aveva creduto di amare. Temette che il saldo di quel bilancio che mischiava pericolosamente la sua vita privata con quella professionale fosse spaventosamente fallimentare, ma prima di stabilirlo si accorse di essere giunta alla sua auto.
Aprì la portiera, gettò la borsetta sul sedile del passeggero e sedette al posto di guida. Abbassò istintivamente la sicura e gettò un’occhiata attorno, poi avviò il motore e guidando cautamente cominciò a scendere i tornanti del colle su cui era appollaiata la città. Spinse il pulsante dell’autoradio e riconobbe la voce roca di Riccardo Cocciante: “… Quando finisce un amore così com’è finito il mio senza una ragione né un motivo, senza niente ti senti un nodo nella gola, ti senti un buco nello stomaco ti senti un vuoto nella testa e non capisci niente…”. Proprio la canzone più adatta al mio umore, pensò Patrizia, stizzita. “…e in fondo pensi, ci sarà un motivo e cerchi a tutti i costi una ragione eppure non c’è mai una ragione perché un amore debba finire…”.
Patrizia imprecò, schiacciò nuovamente il tasto dell’autoradio e l’abitacolo tornò silenzioso. Allora il motore della macchina cominciò a perdere colpi.