Un padre, Andrea. Una figlia, Elisa, 16 anni: tante cose da dirsi, poca capacità di farlo.
Elisa vive la sua adolescenza davanti allo specchio, ponendosi mille domande su chi sia realmente e quanto sia cambiata nel tempo. C’è una figura sullo sfondo, Marco, l’amico di sempre che da qualche mese l’ha abbandonata, lasciando in lei un vuoto incolmabile.
E infine Andrea, un tempo principe azzurro e ora adulto distante, incapace di comprendere l’universo di una figlia che cambia giorno dopo giorno.
Poi, la svolta.
Una cartellina rossa, con all’interno lettere scritte dal padre all’età di diciotto anni, aprirà improvvisamente un confronto decisivo tra Andrea ed Elisa, permettendo a entrambi di trovare una strada da percorrere di nuovo insieme. Il mondo dei genitori e quello dei figli non è così distante come appare…
DALL’AUTORE di BIANCA NEVE
Nel 2017 l’Autore ha incontrato oltre 25 mila ragazzi delle scuole italiane
Andrea De Carlo (Modena, 1998).
All’età di tredici anni muove i suoi primi passi nel mondo del giornalismo, scrivendo articoli per un piccolo sito sportivo. A distanza di un anno comincia a occuparsi di calcio attraverso la collaborazione con testate online di livello nazionale. Nell’aprile del 2015 diventa collaboratore del quotidiano Gazzetta di Modena, per il quale si occupa di tematiche relative al disagio giovanile. Ha preso parte alla stesura del libro Il Campionato degli Italiani. È intervenuto occasionalmente sulle emittenti radiofoniche Radio Bruno e Modena Radio City, si è occupato di comunicazione all’interno del Modena Calcio e dell’evento Golden Foot Award 2016.Autore del romanzo Bianca Neve sulle droghe e i giovani, ha incontrato oltre 25000 studenti italiani. Ideatore e coordinatore delle raccolte We Are Modena e Ricordando Auschwitz, Domani è il suo secondo romanzo.
CAPITOLO UNO
A piccoli passi mi avvicino all’anta dell’armadio.
Lì dietro c’è lo specchio.
La voglio aprire.
La apro.
No… no, non la apro.
Mi fermo. Chiudo gli occhi. Respiro. Ancora. Riapro gli occhi.
NO.
Li richiudo. Respiro.
Non sono pronta.
Invece sì, sono pronta.
Uhm, no, non sono pronta. Non sono pronta.
Sono pronta.
Sei sicura, Elisa? Voglio dire, proprio sicura, di quelle sicurezze… sicure, certe, senza esitazioni, né rimpianti, né rimorsi?
No, non lo sei. Affatto. Ma devi. Vero?
E che sarà mai, alla fine? Guardarsi allo specchio, vedersi.
Sei tu, ti conosci, sei quella che c’è di fronte a te, niente di più, niente di meno.
E che sarà mai? Guardarsi, analizzarsi.
E che sarà mai? Guardarsi, criticarsi.
Guardarsi, non piacersi, guardarsi, odiarsi.
Guardarsi, piangere.
Guardarsi, volerla fare finita, una volta per tutte. Un salto e ti togli il pensiero.
Sì, forse è meglio.
Apri la finestra, conti fino a tre e ti passa la paura.
Sono pronta? No, non sono pronta.
Sono pronta.
Oddio, Elisa, ripeti con me: sono pronta, sono pronta.
Okay, in fondo è solo uno stupidissimo specchio in una dannatissima stanza di una fottutissima sedicenne.
La apro, dai. La apro.
La apro e vedo… questo.
Una fallita, una sfigata.
Una fallita, sfigata e anche ingrassata adesso. Uno non vuole pensar male, ma perché i maschi se ne stanno alla larga? Perché da qualche mese a questa parte non faccio che rifugiarmi nel gelato? Anzi, in chili su chili su chili su chili di gelato, di tutti i gusti, consumati rigorosamente davanti a un film cucchiaiata su cucchiaiata durante il weekend. Poi arrivi a scuola il lunedì e le amiche cominciano con le battutine idiote. Ah e cosa c’è tra l’altro il lunedì alle prime due ore? Palestra, ovviamente: magnifico, giusto per aumentare i sensi di colpa quel tantino che basta per farti scoppiare. Quando non sei a casa son proprio le compagne di classe a trasformarsi in quel maledetto specchio…
Già: davanti allo specchio, da mattina a sera, quello che vedi, cara la mia Elisa, è solo il riflesso di quanto faccia schifo il mondo e di quanto faccia schifo tu.
La mamma dice continuamente: “Stai sempre a guardarti allo specchio!”, e papà non sa nemmeno che ce l’hai, tu, uno specchio. Nessuno dei due immagina che è proprio quella l’arma più pericolosa che hai.
Poi certi giorni capita che apri l’anta dell’armadio, ti guardi, e vedi semplicemente… niente, il nulla. Cioè, osservi come sei fatta e ti senti oscena, ma oltre a questo ti senti proprio una nullità, il più piccolo essere sulla Terra, della cui esistenza non è a conoscenza nemmeno chi ti ha generata.
Uno pensa che guardarsi allo specchio sia una passeggiata, e li capisco quelli che ragionano così. Sono i classici razionali, matematici, la cui vita è stata tutta un “calcoli e progetti”.
Hai presente no? Quelli che nello specchiarsi ci vedono solo un banalissimo procedimento meccanico di articolazione degli arti, la cui capacità di essere portato a termine è di competenza teorica e pratica di ogni essere umano che abbia un’età non inferiore ai ventiquattro mesi. Peccato che a ventiquattro mesi apri un’anta solo per il gusto di aprirla, e che se trovi uno specchio in giro lo usi per fare le linguacce e le smorfie.
Guardarsi non è solo questo, tuttavia, non per me, non più.
Mettiamola in questi termini: specchiarsi è come sostenere l’orale dell’esame di maturità. In realtà non so ancora quanto sia difficile fare l’esame di Stato, ma posso immaginarlo. Entri in una stanza e davanti a te ci sono tutti i tuoi incubi peggiori (o almeno questo mostra il film Notte prima degli esami), che vogliono solamente farti passare la più brutta ora della tua vita. Deve essere difficilissimo. Proprio come specchiarsi.
Anzi, sai cosa? Specchiarsi è pure peggio! Perché quando fai l’esame puoi dedicarti anima e corpo allo studio, in modo da arrivare preparato e diminuire le possibilità di fare figure penose (ansia permettendo). Quando ti guardi allo specchio, invece, ci sei solo tu, e sei proprio tu a essere sempre il giudice più severo di te stesso.
Non ci sono anima o corpo che tengano. Lì, se il corpo non ti piace, finisce il discorso. Punto, stop. E non riparti, non resetti, non studi e non ripeti.
Ogni giorno ti guardi, Elisa, ma hai addosso il peso del giorno precedente, di quando ti sei guardata truccata e non ti sei piaciuta, e di quello prima ancora, in cui per sbaglio sei passata struccata davanti allo specchio di prima mattina e per poco non ti mettevi a piangere. Anzi, ti sei messa a piangere. E allora come fai ad andare avanti? No, dico, come fai? Non conti niente, assolutissimamente niente.
Perché vivi? Perché pensi? Perché respiri?
E poi ti chiedi: siamo tutti così? Intendo così pessimisti, così inadeguati, così poco… adatti alla vita?
Non lo sai.
Ecco, sì, questa risposta credo riassuma ogni cosa che pensi, sempre.
Non. Lo. So.
Ti chiedono: “Tutto bene?”
Non lo so.
“Come ti senti oggi?”
Non lo so.
“Hai una passione?”
Non lo so.
“Sei innamorata?”
Non lo so.
Non sai niente, tu, è inutile che ti continuino a fare domande. Non ti capisci da sola, Elisa, figuriamoci se possono farlo gli altri. Ma non ci provassero nemmeno, che è meglio.
E poi, quando ti vedono stralunata, ti chiedono: “Hai bisogno di aiuto?”
Che dovresti dire?
Sì, no, boh. Non lo so.
Sai cosa mi fa rabbia? Mi fa rabbia il fatto che in realtà, perlomeno all’apparenza, non hai nessun motivo per stare male, per sentirti… inadeguata.
Eppure ti senti così. Sempre.
Vuoi parlare dei lati positivi della tua vita?
Bene, parliamone! E stai certa che trovo cose che non vanno pure lì.
Sofia e Martina.
Sofia e Martina sono le mie due migliori amiche e in realtà, quando le nomino entrambe e in coppia, mi viene subito da ridere: sono un sacco diverse! E forse è per questo che mi hanno colpita fin da subito…
Sofia proviene da una famiglia ricca, ma non ricca nel senso che sta bene, io intendo ricca ricca.
Ricordo la prima volta che sono entrata in casa sua: giardino immenso con piscina al centro, le sdraio disposte tutto intorno, tavoli sparsi per tutto il manto erboso e sei splendidi cani che scorrazzavano allegri. Quella volta mi sono corsi incontro ancor prima che Sofia potesse dire loro di evitare cerimonie. Una volta entrata in casa, comunque, è stato lampante che quella che sembrava una villa era una vera e propria reggia.
Il piano terra, quello che Sofia chiama l’ingresso della casa, è enorme: equivale più meno alla mia idea di un campo da calcio. Ho sempre evitato di dirglielo, probabilmente per lei queste sono sciocchezze e d’altronde è sempre questione di punti di vista. Sempre.
In ogni caso, quel pomeriggio è stato illuminante per capire le nostre differenze: Sofia raccontava delle sue vacanze dell’estate appena passata e io… be’, aveva visitato posti che io facevo e faccio tuttora fatica anche solo a sognare. Mi diceva – fiera – di essere stata due settimane a Saint Tropez dallo zio, dieci giorni a Los Angeles e dodici a Shanghai, visto che suo padre è spesso lì per lavoro.
Sofia, inoltre, ama i cavalli; fa equitazione praticamente da sempre, visto che suo nonno possiede un maneggio nella zona e le ha regalato un pony per il suo primo compleanno.
Ecco, questa è Sofia, mentre Martina… prendete tutto ciò che riguarda la prima (la reggia, i cavalli, Saint Tropez…) e scaravoltatelo.
Martina ha sempre vissuto in case modeste, non è mai andata all’estero e adora fare due sole cose nella vita: leggere e ascoltare musica metal.
Legge di tutto. Fantasy, horror, gialli, romanzi rosa... ogni cosa che le ricorda la forma di un libro, lei la apre e comincia a sfogliare.
Leggere, dice lei, l’ha salvata in tante occasioni.
“Quando i miei litigavano - mi ha detto un giorno - facevano delle urla sovrumane, e passavano ore e ore a dirsene di tutti i colori. Io ero piccola, incapace di reagire, e l’unica cosa che avevo a disposizione per scappare, fuggire, isolarmi... erano i libri. I libri e la musica.”
Già, la musica. Nonostante a me non piaccia affatto il genere che ascolta, sono spesso rimasta stupita da quanto ne sappia e da quanti gruppi conosca. Quelle poche volte che ho avuto la possibilità di entrare in casa sua, sono sempre rimasta incantata davanti alla quantità di cd accumulati nel tempo, “metà dei quali è rubata” - dice lei - custoditi con cura in modo da far capire a tutti quanto e cosa rappresentino per lei.
Okay, Elisa: Martina e Sofia… ora che ho parlato di loro, dei lati positivi della tua vita, cosa abbiamo risolto? Nulla, non è cambiato niente.
Adesso a cos’altro dovrei pensare per farti aprire quella maledetta anta? Dovrei dire cosa penso della scuola?
Guarda, tesoro, meglio che non ne parli. Se inizio succede il finimondo, e lo sai bene.
Fa schifo la scuola, che mento a fare? Sto parlando a te che sei me, se prendo in giro te prendo in giro me e non risolviamo un cazzo.
Non mi piace la scuola. Proprio non mi piace. Ma non sto parlando di scuola intesa come luogo, di quello non m’importa. Anzi, ci sta anche andarci; lì hai la tua sedia comoda, un posto al caldo, il banco su cui poggiare la testa e la macchinetta del caffè. Oddio, si potrebbe anche posticipare un po’ l’ingresso, tipo verso le nove, nove e mezza, ma questi sono dettagli...
Dicevo, tutto sommato non si sta male là dentro. E infatti non mi fa stare male il luogo, mi fanno star male le persone. Come sempre.
Vero, Elisa? Entri in classe e c’è quella che ti guarda male, ti siedi e vedi quell’altra che spettegola. Poggi lo zaino ai piedi del banco, rialzi lo sguardo e sulla destra ti sorride Guido, che ci prova sempre e non ci riesce mai. Inizia la lezione e la metà dei prof sono schizzati. Sì, giuro! Per esempio: la Tedeschi, di matematica, si è lasciata col marito da due settimane. Non si dà pace e ovviamente chi sono le vittime di tutti questi pastrocchi amorosi? Noi studenti.
Scalabrini di scienze è un altro che proprio non ci sta con la testa, è meccanico in ogni suo gesto, che ripete con precisione chirurgica ogni volta che entra in classe: arriva, mette sul banco la sua valigetta, si siede, quindi scruta tutti rapidamente lanciando occhiate maligne a destra e a sinistra, poi poggia lo sguardo sulla valigetta, la apre davanti a sé, la richiude, la toglie dalla scrivania e pronuncia la sua solita frase, un evergreen, ormai.
Quest’anno, vi boccio tutti.
Ottimo, ci manca solo quello.
All’intervallo non esco mai dalla classe da tre mesi a questa parte.
Non ce la faccio, proprio non riesco. Quando suona la campana delle undici rimango pietrificata. Sofia e Martina ci provano a schiodarmi dalla sedia eh! Giuro, non è colpa loro, povere… sono io che voglio starmene lì, seduta e inerte. La ferita è ancora apertissima e se lo vedo… no, non riesco neanche a immaginare come reagirei.
È che mi manca okay? Mi manca un casino. Mi manca più di ogni altra cosa, e infatti è proprio da tre mesi a questa parte che mi sento così vuota, così… niente.
Prima non ero certo tutta questa gioia fatta persona, ma avevo lui e tanto bastava: era lui la mia allegria. Lui e nessun altro.
Poi è chiaro, un classico, e te ne accorgi troppo tardi e… ‘fanculo: ce l’avevo lì, per me! Mi avrebbe dato il mondo e ora il mondo lo sta dando a un’altra.
E sai perché, Elisa? Perché io quel mondo gliel’ho rifiutato, da sempre. A questo proposito ho letto recentemente una poesia vecchia vecchia di un certo Gio Evan, e l’ultima strofa te la voglio proprio recitare.
E lo so
che mentre fai l’amore con lui
preghi che io non stia facendo
la stessa cosa
ma io sto facendo molto di meglio
mia cara
sto facendo molto di meglio
io la sto facendo ridere
Questo sapeva fare lui meglio di ogni altro essere umano: farmi ridere. E quel sorriso non c’è più, ora. È solo un fottuto ricordo che fa un male cane al solo lontanissimo pensiero…
Senti, Elisa, io non so perché ti stia dicendo tutte queste cose, ma tienitele per te, per favore. Sono discorsi miei, fanno male, per cui custodiscili a modo. Grazie.
La mia vita è piena di alti e bassi. Amici okay, amore schifo, scuola più o meno okay, quotidianità schifo.
Sono figlia unica, non ho cani, non ho gatti, non ho niente: siamo solo io, mio padre e mia madre.
La verità senza filtri e senza censure?
Io i miei non li capisco. Non solo non li capisco, non li sopporto.
Non li capisco, non li sopporto e mi fanno incazzare come una iena.
Fino a pochi anni fa non era così eh? Era tutto rosa e fiori prima, sul serio! Papà e mamma sono sempre stati uniti e in verità non è che questo aspetto sia cambiato nel corso del tempo. È solo che prima li vedevo più dalla mia parte, tutto qua. A dirla tutta, avevano occhi solo per me e riuscivano anche a farmi sorprese, rendermi felice… insomma, riuscivano a farmi star bene nel senso pienissimo del termine.
Adesso no, per niente. Non mi capiscono, io glielo dico sempre. Più glielo dico, più fanno cazzate, è incredibile! Sembra una presa in giro.
Soprattutto mio padre… Dio, quanto sono scarsi gli uomini! Ragazzi o adulti, non fa differenza, ha ragione Sofia: scarsi? Ma che scarsi, troppo buona: fanno proprio schifo!
Quelli pensano che, per averci, bastino due paroline buttate così, qualche tesoro di qua, qualche amore di papà di là.
Ma amore di che?
Sono mesi, per non dire anni, che di sua figlia non sa più niente, e crede che basti chiamarmi tesoro a 16 anni per farmi stare bene!
Ma in che mondo vive? Ma a che pensa?
Che si svegliasse, cazzo! Ha una figlia che ha bisogno di lui e lui… zero.
Niente, un bel cazzo di niente.
Prima era bravo, prima gli importava. Ora non si impegna nemmeno, e non lo fa da mesi, tanto da essersi dimenticato totalmente come si faccia. Anche con mia madre la sfida è apertissima: ogni volta non fa che commentarmi quello che mi metto addosso e poi di tanto in tanto se ne salta fuori con “Hey Eli, guarda che bel maglione ti ho comprato” e poggia sul tavolo tutta fiera un coso enorme di lana da suora con colori inabbinabili... ah ma ho deciso che non gliela faccio più passare liscia: ogni acquisto penoso che mi fa, le rubo un trucco dal cassetto, che almeno quelli ce li ha decenti, così vediamo chi resiste di più. Scommetto che in un mese crolla e smette di far compere… o almeno spero.
Ad ogni modo Elisa, chi vuoi prendere in giro? È papà quello che ti manca! Spero sempre che se ne accorga un giorno di questi... se accadesse, se si svegliasse, mi farebbe davvero un gran favore.
E comunque… possibile che tutti e due i maschi più importati della mia vita mi abbiano voltato le spalle? Se ne sono andati via da me, entrambi: scomparsi. E che cos’ho, io, la lebbra? Che la smettessero di fare gli orgogliosi! Che si sbrigassero a tornare da me… ho tanto, tantissimo bisogno di loro.
A cominciare da papà, che sarebbe già un gran bel traguardo, altroché! Poi penseremmo a come conquistare l’altro… magari insieme, come ai vecchi tempi, quando diceva che mi avrebbe protetta da tutto e da tutti e che io ero la sua principessa…
Ironia del destino? Anche lui mi chiamava principessa, e io ogni volta gli dicevo che quel soprannome proprio non mi piaceva. E invece ora cosa voglio più di ogni altra cosa? Essere la principessa di tutti e due. E non posso.
E resto ferma.
E mi arrabbio, e mi mordo le labbra, e mi sfogo con Sofia e Martina, e urlo, e piango, e mangio gelato. Sì! Tanto gelato, quintali di gelato, e resto ferma, mi arrabbio e mi mordo le labbra.
E rimango qui, nel mio muto silenzio che odio da quando sono nata.
Mi guardo allo specchio? Eh, Elisa, ci guardiamo allo specchio?
No, ‘fanculo lo specchio!
Perché? Perché riassumendo chi avrei davanti sarebbe una:
- sedicenne
- inguardabile
- insicura
- oscena
- distratta
- enorme
- disadattata
- indegna
- disagiata
- poco adatta alla vita
- molto adatta al gelato sul divano
- sola
- piena imbottita di roba da studiare
Un buon periodo, no?
Sì, un buon periodo.
Un bellissimo, meraviglioso, periodo.
Del cazzo.