Ancora oggi, in molti paesi del mondo le donne non possono andare in bicicletta. Perché? Forse perché la bici è simbolo e insieme strumento concreto di libertà e liberazione: è un mezzo poco controllabile (e quindi sottilmente eversivo), è un prolungamento del corpo (e dunque potenzialmente scandalosa), è economica (e dunque troppo democratica).
Sono tante le donne nella storia che hanno “voluto la bicicletta” per pedalare fiere per le vie del mondo. Perché la vita – come diceva Albert Einstein – «è come andare in bicicletta: se vuoi stare in equilibrio devi muoverti»; e se la vita è stare in equilibrio, se vuoi muoverti devi andare in bicicletta. Non funziona il paragone? Non importa. Siamo qui per raccontarvi delle storie, non per spiegare la vita. Sono storie di bici e storie di donne, che spesso hanno cercato la libertà pedalando. Perché?
Forse perché la bici è democratica, è poetica, è per tutti.
La bici è libertà.
Donatella Allegro, bolognese, ha conseguito una laurea in Lettere Moderne e nel 2008 si è diplomata attrice presso l’Accademia Nazionale di Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma. Nel 2014 ha conseguito una laurea magistrale in Discipline dello Spettacolo dal vivo. Dal 2012 gran parte del suo lavoro teatrale è dedicato ai progetti di Claudio Longhi per Emilia Romagna Teatro Fondazione.
Ha interpretato Adelaide nel film di Carlo Santi “La finestra di Alice” (2013).
Lavora come attrice, come regista teatrale e come insegnante.
Una giovane donna pedala, forse con troppa furia. Indossa abiti femminili, ma cavalca una bicicletta da uomo. Sulle spalle ha uno zaino che parrebbe quasi da montagna, ma è talmente scolorito che è difficile dirlo. Pedala forte, e le sue labbra si muovono. Forse canta.
Una donna più anziana si immette sulla stessa strada. Tra le gambe, protette solo dalle calze velate, è la canna curvata caratteristica delle biciclette da donna; sotto la gonna scura e dritta si può scorgere il sellino foderato con un sacchetto, per quando pioverà. Ma non piove, non ancora. E difatti pedala con calma, la nostra signora, misurando la strada con un passo uniforme e rassicurante che è frutto di anni, forse decenni, di traversate in bicicletta. Non ha niente sulle spalle, ma il cestino è molto pieno. Se non ci fossero quegli elastici colorati a trattenere le borse, volerebbero mandarini e medicine ovunque.
Più affaticata è lei che torna dall’ufficio: il tailleur è perfetto, ma i capelli sono quelli di fine giornata. Le borse pendono un po’ ovunque: dalle braccia (e ogni tanto cadono, e tornano su grazie a un gesto rapido della mano che si stacca dal manubrio), dal portapacchi, dove sono state legate in fretta. Si ferma un attimo: era il cellulare che vibrava? Troppo tardi, richiamerà da casa. E ricomincia a pedalare.
Le tre età della vita in bicicletta, in ordine sparso.
Poi arriva lei, la ciclista perfetta. Sembra una cicloturista di passaggio in città, così ben equipaggiata: telaio leggero e moderno, elmetto protettivo, occhiali a fascia contro il vento, sacche laterali riempite e chiuse con cura. Ma a osservarla bene, si noterebbe che i pantaloni sono “quelli buoni” e che guarda un po’ troppo spesso l’orologio. Lo zainetto, poi, è troppo grande per una gara e troppo piccolo per un viaggio: ci sta giusto la “schiscetta”. Se avessimo il tempo di chiederglielo, la nostra ciclista ci direbbe che fa sessanta chilometri al giorno solo per andare a lavorare.
E poi, seduta al margine della strada, su un muretto che sembra messo lì apposta per lei, è seduta un’altra donna, accanto alla sua e-bike carica come per un viaggio. Ha l’aria sicura, e insieme curiosa. Dalle tasche laterali ampie e moderne sfila... un tablet. Scrive. A chi? E lei chi è? Ha un nome e un cognome, ma non è questo il momento di farli.