Continua la saga di Gheler l'esploratore
II – L’isola di Eben
Mentre nelle terre del sud l'impero di Nuria organizza un massiccio e definitivo attacco sul Sialden, in quelle del nord i quattro esploratori, indirettamente, si preparano a contrastare il popolo dei senza-legame.
Dopo la morte del drago Onimea, Gheler e Adne, così come anche Elden e Adeleo, si dirigono verso Vandelia, punto d'incontro di tutti i clan di mutaforma delle selve, in cerca di risposte. La notizia dell'imminente guerra costringe i quattro a dividersi nuovamente. Mentre Elden e Adeleo proveranno a convincere gli Elielan delle paludi a scendere in guerra a difesa degli Etne, Gheler e Adne marceranno nel profondo nord in cerca dell'albero di Moga e della freccia di Asvelt, per spezzare il legame di vita e di morte che gli Etne hanno verso quella risorsa tanto bramata dai Nuriani, ma liberando indirettamente una potente e misteriosa minaccia del passato.
In secondo piano, Gheler narrerà del suo passato a Adne per soddisfare finalmente le sue numerose curiosità. Chi è veramente Gheler l'esploratore? Come fa la sua seconda forma a essere quella di un drago? Perché Onimea incendiò la foresta di Bale? Chi era la persona che aveva amato e perduto?
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Un amore proibito
(Dal diario di Yade)
Stavo aspettando che il mio Olfer tornasse dalla caccia quando alle mie orecchie giunsero le grida di una donna. Mi affrettai a uscire dalla grotta, curioso, quando la vidi. Aveva lunghi capelli rossicci che si agitavano per via della precipitosa corsa, abiti argentei macchiati di sangue e qualcosa tra le braccia avvolto in un panno. «Aiuto!» urlò ancora, e subito comparvero alle sue spalle tre uomini armati di lance e spade che le correvano dietro. Quando mi raggiunse si accasciò ai miei piedi, piangendo. Mi stava supplicando, e la cosa mi sorprese. Sono un Orghen e quelli della mia razza, almeno nelle loro stupide leggende, uccidono Nuriani e Etne senza alcuna distinzione e, spesso, solo per dimostrare la nostra superiorità. Sembrava quasi aver letto in me qualcosa di cui poteva fidarsi, qualcosa che le diceva: lui può proteggerti.
Gli uomini si fermarono all’improvviso, spaventati dal mio aspetto, titubando con le armi strette in pugno, indecisi se attaccarmi o meno.
«Aiutatemi» piagnucolò ancora la donna.
«Vogliamo solo la ragazza» disse il più vecchio, quello con la barba più bianca e folta.
«Non volevamo invadere il vostro territorio» continuò quello più giovane, tremando.
«Lasciatela, tornate da dove siete venuti» minacciai, ma l’uomo che fino a poco prima non aveva detto nemmeno una parola si avvicinò di qualche passo, la lancia alta sopra la testa.
«Andiamo ragazzi, siamo in tre, lui è uno» e, terminata la frase d’incoraggiamento, lanciò l’arma contro di me. La afferrai al volo, fermandola a un capello dal mio petto e frantumandola tra le dita.
«Non sono solo uno» la mia risposta li lasciò perplessi per qualche secondo quando infine il mio Olfer, tornato dalla caccia, si gettò sul più giovane strappandogli la mano con un solo morso. Superai la donna e, con un pugno dall’alto verso il basso, spaccai il collo all’uomo che aveva scagliato la lancia. «Via!» tuonai ancora, e dopo quella dimostrazione di forza i due sopravvissuti gettarono le armi e scomparvero oltre l’orizzonte pieni di paura, con il sangue del giovane a far loro da scia.
«Vi ringrazio» sussurrò la donna, svenendo. Riuscii appena in tempo ad afferrarla per non farla cadere tra la roccia, mentre il panno che stringeva tra le mani si apriva tra i pianti e i calci spaventati di un bambino.
La portai immediatamente nella mia dimora, facendola sdraiare sul terriccio dove di solito dormivo. Frugai nello zaino che aveva alle spalle, cacciando una piccola scorta di cibo, delle borracce, un acciarino e una lunga coperta che immediatamente mi affrettai a poggiare sul suo corpo freddo.
«Gheler...» disse mentre si destava. «Dov’è mio figlio?»
«È ancora tra le vostre braccia» risposi inzuppando un panno con dell’acqua per pulirle le ferite.
«Dovete piantare il seme che stringe nel pugno, non può più aspettare» sussurrò gemendo.
«Siete Etne?» la donna annuì, abbozzando un maldestro sorriso. «Perché quegli uomini vi davano la caccia?»
«Perché...» e tossì, sputando sangue. «Perché mi ero innamorata di un senza legame, Gheler si chiamava. Era un soldato dell’avamposto ed io una prigioniera, figlia del re di Bale, ma nonostante ciò l’amore tra noi riuscì comunque a sbocciare. Mi ha mascherata e mi ha nascosta nell’avamposto tradendo di conseguenza il suo popolo, quando poi è successa una cosa che ci ha costretti a pianificare la fuga, e cioè il suo arrivo» e indicò con lo sguardo il bambino che stringeva tra le braccia, tossendo nuovamente. «Ma alla fine siamo stati scoperti. Gheler si è sacrificato per... per aiutarmi nella fuga» e scoppiò in lacrime, mentre il panno con il quale avevo provato a chiuderle la ferita si colorava sempre più di rosso. «Il seme, fate crescere il suo Ledah» e con le ultime forze che le rimanevano sollevò il bambino verso di me. Io lo afferrai, sempre più confuso.
«Come vi chiamate?» le chiesi, ma la donna non rispose.