L’individuazione di bisogni e l’iniziativa finalizzata al loro soddisfacimento creano significato, nel linguaggio come nella vita. Assumendo tale intuizione a fondamento di una critica rigorosa e implacabile all’economia occidentale e di un’indagine teorica che attraversa femminismo e linguistica, semiotica e sociologia, economia e antropologia, in Homo Donans Genevieve Vaughan propone una via – al tempo stesso radicale e “naturale” – di cambiamento sociale che restituisce centralità ed evidenza a un «aspetto fondamentale del nostro essere umani a cui finora abbiamo prestato poca attenzione o che non abbiamo mai chiamato con il suo vero nome»: la pratica del dono.
Da non confondersi con ciò che va sotto il nome di “scambio di doni” e con la munificenza, l’atto unilaterale del donare – legato alla pratica della cura tradizionalmente associata al ruolo sociale delle donne – e la sua capacità di creare relazioni e comunità è portatore di un paradigma antitetico e alternativo al capitalismo patriarcale e ai suoi valori. Homo Donans ci sfida a riconoscerne la cruciale importanza e a farne il fulcro di una pacifica rivoluzione planetaria verso un mondo più giusto, offrendo al tempo stesso la più semplice e affascinante delle risposte all’eterno conflitto fra il parassita e l’ospite.
Introduzione
Argomento di questo libro1 – all’intersezione tra femminismo
e linguistica, economia, semiotica e sociologia – è un aspetto
fondamentale del nostro essere umani a cui finora abbiamo
prestato poca attenzione, o che non abbiamo mai chiamato col
suo vero nome. Non che ciò che va sotto il nome di “scambio
di doni” non sia mai stato studiato, ma non gli è mai stata attribuita
la sua fondamentale collocazione interdisciplinare. In
molti hanno altresì postulato che l’atto unilaterale del donare
non esista. Io invece lo considero allo stesso tempo fondamentale
e ordinario.
Il dono è stato invalidato per una serie di ragioni, che
prenderemo in esame. È strano che una realtà di tale importanza
sia rimasta invisibile, ma forse ciò fornisce anche la misura
di quanto il rivelarla sia di cruciale importanza, non soltanto
ai fini dell’indagine accademica quanto per una questione
politica. Perché siamo mossi al nuocere e all’egocentrismo,
e perché la nostra capacità di compassione si assottiglia sempre
più? La risposta la si può forse trovare nell’eterno conflitto tra
il parassita e l’ospite, tra il paradigma dello scambio e quello
del dono.
Un altro modo di formulare la medesima ipotesi è che
l’atto del donare sia stato privato del suo “metalivello”. Che
sarebbe poi il motivo per cui non attribuiamo un nome specifico
a questo fondamentale aspetto dell’esistenza. Il dono uni-
Il libro è stato pubblicato sul sito www.gift-economy.com nel 2007.
laterale non è equivalente all’amore o al donare incondizionato.
Le condizioni ci sono: per esempio l’individuazione di un bisogno.
L’altra persona, inoltre, non dovrebbe essere ostile;
l’ostilità in effetti potrebbe stare a indicare che si è in presenza
di un bisogno più grande (di indipendenza, forse?) di cui il
donatore potenziale non si rende conto.
L’individuazione di bisogni e di iniziativa finalizzata al loro
soddisfacimento crea significato, sia nel linguaggio che nella
vita. Ho incominciato a occuparmi dell’idea della comunicazione
come dono negli anni Settanta, senza aver letto nessuno
degli autori della MAUSS Revue fino alla fine degli anni Novanta.
Credo di aver letto per la prima volta il testo di Lewis Hyde,
Il dono. Immaginazione e vita erotica della proprietà, nel 1981.
Dico tutto ciò per sottolineare il fatto che le mie idee al riguardo
si sono formate indipendentemente e da presupposti
per lo più al di fuori dagli ambiti accademici, e ho anche tentato
di metterle in pratica in una fondazione femminista per
più di vent’anni.