GIAN NICOLA PITTALIS
I SEGRETI DELLA DIPLOMAZIA VENEZIANA

I SEGRETI DELLA DIPLOMAZIA VENEZIANA
Prezzo Fiera 9,60
Prezzo fiera 9,60 ACCORDI E TRATTATI INTERNAZIONALI DAGLI ARCHIVI DELLA SERENISSIMA

Venezia è con la Spagna la patria della diplomazia moderna. Occorreva un’ottima rete diplomatica per garantire commercio e potere. E Venezia per secoli è stata maestra di contatti, cultura e spionaggio. Una storia lunga di ambasciatori, trattati, dispacci, ritratti di sovrani grandi e piccoli, di pontefici non sempre santi. Una storia di uomini spediti nelle corti più lontane, tra re e sultani che non sempre rispettavano le regole. Da Giovanni Dario che firmò la pace col terribile Maometto II e poi legò il suo nome al palazzo maledetto, a Marco Antonio Barbaro che trattò con tutta Europa e fu amico dei più grandi artisti del suo tempo, dal Veronese a Palladio, a Ermolao Barbaro il Giovane che scrisse un trattato sul perfetto ambasciatore e che, mandato a Roma, piacque tanto alla Chiesa che rischiò di essere eletto pontefice. Antonio Foscarini, in pochi mesi dal più grande traditore della Repubblica è trasformato nel più fedele ambasciatore della Serenissima. Condannato, ucciso e poi riabilitato. Venezia riafferma se stessa anche attraverso un clamoroso errore giudiziario. Non riuscirà a ripetersi con Girolamo Lippomano, bailo a Costantinopoli, accusato di tradimento, ma senza prove. Ritorna per scagionarsi, lo trovano in fondo al mare davanti al Lido. Suicidio, dicono le cronache. Ucciso e gettato in mare, dice la gente. E Leonardo Donà, l’ambasciatore che seppe farsi Doge e osò opporsi al Papa dell’Interdetto per ribadire l’autonomia di Venezia davanti alla Chiesa. E Alvise Querini, l’ultimo ambasciatore nella Parigi della Rivoluzione e del Terrore. Avvertì la Serenissima del pericolo della partizione napoleonica, ma era troppo tardi: la città si era già consegnata senza combattere ai nuovi vincitori.

Testo ricco di immagini a colori

Primo capitolo

SOMMARIO

INTRODUZIONE 
I
GIOVANNI DARIO 
L’uomo che firmò la pace con Maometto II
II
MARCO ANTONIO BARBARO 
“Meio un magro acordo che ‘na grassa sentensa”
III
ANTONIO FOSCARINI 
Il grande traditore che divenne eroe
IV
LEONARDO DONA’ 
L’ambasciatore che seppe farsi Doge
V ERMOLAO BARBARO IL GIOVANE 
L’ambasciatore che piace al Papa
VI
GIROLAMO LIPPOMANO 
In fondo alla Laguna c’è un morto
VII
ALVISE QUERINI STAMPALIA 
L’ultimo ambasciatore

INTRODUZIONE
Venezia è con la Spagna la patria della diplomazia moderna. Occorreva un’ottima rete diplomatica per garantire commercio e potere. E Venezia per secoli è stata maestra di contatti, cultura e spionaggio. È diventata la Serenissimanissima anche grazie all’abilità e alla preparazione dei suoi ambasciatori, agli intrighi e alle spie, ai segreti custoditi o svelati. Ha dominato per secoli, intessendo rapporti di opportunità politica con tutti gli stati italiani e europei e anche oltre. Lo ha fatto fino al momento in cui la storia di quella Venezia si è conclusa. Tutto finisce nel “tremendo zorno del dodese” (12 maggio 1797), che è l’epilogo di un processo storico, la conclusione del viaggio verso la caduta: quel
giorno, per voto del Maggior Consiglio, la Serenissima decide di scomparire dalla storia. Ma non è altro che la presa d’atto di una situazione irreversibile. Ad accompagnare questo viaggio è una storia lunga di ambasciatori, corrieri, dispacci anche cifrati, rapporti economici, ritratti di sovrani grandi e talvolta piccolissimi, di pontefici non sempre santi. Una storia di uomini veneziani spediti nelle corti più lontane, tra re e sultani che non sempre rispettavano le regole. Fare l’ambasciatore era un mestiere difficile, Venezia li allevava nella sua classe dirigente, venivano dall’aristocrazia e dalla borghesia più spregiudicata e ricca. Era una scuola che richiedeva capacità notevoli e capitali altrettanto
notevoli, una tradizione di famiglia. Era un mestiere che portava vantaggi importanti e spesso sfociava nell’elezione alla carica più ambita, quella di Doge. Gli ambasciatori-dogi sono più numerosi di quanto si pensi. C’erano regole severissime da rispettare, spesso si pagava di tasca, non si potevano trattenere i doni ricevuti, bisognava riferire ogni cosa e, alla fine, quasi sempre il privato e il segreto diventavano pubblici. Una legge obbligava gli ambasciatori a riferire oralmente sulla loro missione e su ciò che avevano appreso
all’estero, e un decreto del Senato ingiungeva di far seguire una relazione scritta, ricca di particolari, da presentare al Collegio e registrata dalla Cancelleria ducale. Quasi un genere letterario, un genere originale che dava fama anche oltre confine, ed era importante per capire la politica e la storia dell’Europa e del suo mondo. Gli ambasciatori mettono in mostra nelle loro relazioni un grande spirito d’osservazione, hanno il senso della sintesi, la spregiudicatezza, il senso soprattutto dello Stato. Ognuno mette in mostra il suo retroterra culturale spesso importante. Sono lo specchio più vario e talvolta più alto dell’arte del negoziato, tanto più utile quanto più Venezia decade. Le relazioni degli ambasciatori veneti non sono soltanto “documenti dello Stato” indirizzati rigorosamente alle istituzioni, non sono soltanto dispacci in fila tutti immancabilmente indirizzati al “Serenissimo Prencepe”. Sono al tempo stesso trattati, guide turistiche, saggi. Sono rapporti informativi su re, regine, amanti, figli, personaggi di corte. Talvolta sono veri identikit che rivelano lo stato di salute del sovrano o del pontefice, il carattere i rapporti familiari, la cultura, i passatempi, i giochi, le cattive abitudini. C’è tutto quello che le fonti ufficiali non dicono. Gli ambasciatori mandano dispacci a un ritmo spesso frenetico e ossessivo. Inviati a Venezia per mezzo di corrieri fidati e veloci che viaggiano per terra per evitare i pericoli del mare. Riescono a far arrivare dispacci anche nelle situazioni più sfavorevoli, anche dal carcere, anche poco prima di morire. Venezia deve molto a queste informazioni talvolta scritte in inchiostro simpatico, in linguaggio cifrato, usando cifrari complessi caduti in disuso nel Settecento. Per la “Zifra” Venezia primeggia per ingegno, per protezione di interessi commerciali. C’è un trattato conservato all’Archivio di Stato di Venezia scritto nel 1558 dal segretario Agostino Amadi che contiene, divise in tre parti, le regole per comporre linguaggi cifrati e per la decodificazione. E c’è un incredibile messaggio cifrato fatto pervenire dall’imperatore Carlo V a Venezia durante il dogado di Andrea Gritti. Era in uno spartito musicale: gli strumentisti di corte ne trassero soltanto suoni sgraziati, si incolparono a vicenda. Poi il segretario capì che si trattava di un messaggio cifrato. Abbiamo fatto il nostro viaggio tra gli ambasciatori e i documenti lasciati e affidati all’Archivio di Stato di Venezia che conserva la memoria della storia. Sono stati giorni difficili per consultare i documenti, c’è stata l’alluvione di novembre che ha messo in ginocchio la città e ha fatto scattare l’allarme di una nuova Aqua Granda. L’Archivio è accanto alla basilica dei Frari, in una posizione delicatissima che costeggia il rio dei Frari, l’acqua minaccia documenti insostituibili, bisogna metterli tutti in salvo, portarli sempre più in alto. Sono state settimane complicate, si è aggiunto anche il ramo di un cedro secolare che nel cortile ha sentito il vento e si è piegato sulle finestre. Riprodurre i documenti utilizzati è stato possibile soprattutto grazie alla collaborazione di Michela Dal Borgo archivista di talento grande e di passione ancora più grande. È stato un viaggio divertente e appassionante, la nostra scelta è limitata ai personaggi che più ci hanno incuriosito e abbiamo cercato di raccontarli in modo divulgativo, rigoroso, ma senza la pretesa del saggio storico. Tra le più grandi corti dell’Europa, re e regine, pontefici e cardinali, duchi e imperatori. E c’è il Bailo che risiede a Costantinopoli, personaggio misto: è il rappresentan te diplomatico presso il “Gran Signore” dell’impero ottomano e governatore della colonia veneziana. Una carica ricercata, la giurisdizione sui mercati mette a disposizione guadagni alti, ma il Gran Signore non rispetta l’immunità diplomatica in tempo di guerra. C’è Venezia con le sue ambizioni e la sua grandezza, anche con le sue miserie e i suoi errori che spesso costano la vita. Come quando, sulla base di false accuse, condanna a morte Antonio Foscarini che passa da ambasciatore di talento a grande traditore della Repubblica. Ucciso e appeso a testa in giù tra le due colonne della Piazza e poi riabilitato. Venezia riafferma se stessa anche attraverso un clamoroso errore giudiziario. Non riuscirà a ripetersi con Girolamo Lippomano, bailo a Costantinopoli, accusato di tradimento ma senza prove. Ritorna per scagionarsi, lo trovano in fondo al mare davanti al Lido. Suicidio, dicono le cronache. Ucciso e gettato in mare, dice la gente. Sono sparite le carte.

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