Romanzo ambientato a Roma nella primavera del 1944. Racconta le indagini per scoprire il colpevole dell’omicidio di un ballerino omosessuale mentre Roma è sotto l’occupazione nazista.
Primo capitoloSangue al Teatro Quirino
15 maggio 1944
Voci ideali e care
di quanti morirono o di quanti sono
per noi persi come morti
(K. Kavafis)
La macchinetta napoletana pazientemente fa colare l'acqua attraverso la capsula e la polvere di caffè, vero caffè e non schifoso surrogato, procurato a Ciccio Apolloni da Georg Hassler, Hauptmann della Wehrmacht, suo cliente abituale del reparto maschile del Salone di Pierre a Via Veneto.
Ciccio riempie la tazzina e si affaccia alla finestra che dà su Via delle Vergini, sono le otto del mattino, ma la strada è deserta, effetto del coprifuoco e dei rastrellamenti selvaggi dopo l'attentato di Via Rasella, la gente si è chiusa in casa, ha paura di finire a Via Tasso anche solo un per documento scaduto o dimenticato a casa.
Sorseggia lentamente il caffè e nelle pause intona la cavatina del Barbiere di Siviglia con la sua bella voce da baritono: “Ah, che bel vivere, che bel piacere, che bel piacere per un barbiere di qualità, di qualità!”.
Dall'interno la moglie Angelina con la voce rauca da troppe pessime Milit, interrompe la sua esibizione canora: “Cosa cazzo hai da cantare di prima mattina?”.
Ciccio con tono paziente, non ha proprio voglia di litigare: “Nulla, mi rilasso, ora devo uscire. Devo fare barba e capelli a Helmut Freist, nel pomeriggio c'è il debutto della compagnia di avanspettacolo, ieri sera era troppo tardi per uscire, anche solo per attraversare la strada ed andare al Teatro Quirino. Ho visto aperta la finestrina della soffitta dove dorme. Ci vado ora, prendo anche qualche bustina di roba, sperando che l'abbia. Ieri i clienti da Pierre mi hanno dato i tormenti. Da quando sono iniziati i rastrellamenti si è fermato tutto e non si batte un chiodo”.
Dall'interno un grugnito e: “Datti una mossa e porta la roba. Anche a me le madame del salone stanno rompendo. Intanto mi preparo ed andiamo insieme a bottega. Non abbiamo più soldi e non ho proprio voglia di fare la fila per ore per comprare cipolle, broccoli, zucca e quei cinquanta grammi di pane a testa, fatto di segale, ceci e segatura.
Per giunta i borsari nera a Tor di Nona hanno alzati i prezzi e non fanno credito. Anche io ora alzo il prezzo delle bustine di Madame Blanche, si vogliono sballare le signore e pagassero”.
Ciccio non ascolta da tempo le lamentazioni di Angelina, è inutile risponderle farebbe anche peggio, fin quando le reggono le corde vocali massacrate dalle sigarette.
Ciccio indossa il suo abito da lavoro, un camice bianco lungo fino alle caviglie, quasi una tonaca da prete, incluso il collo alla coreana ed una lunga fila di bottoni. Pierre ci tiene tanto alla divisa.
Prende la borsa degli attrezzi e scende di corsa le scale.
Attraversa la strada e apre l'ingresso di servizio su Via Minghetti, non è mai chiuso a chiave, tanto in teatro non c'è nulla da rubare, le poltrone di velluto sono state portate in un luogo sicuro, sostituite da lunghe panche di legno.
Per quello che il pubblico paga bastano ed avanzano. L'importante è che gli spettatori si distraggono per un paio d'ore, solo mattine e pomeridiane, niente spettacolo serale per colpa del coprifuoco.
Imbocca la stretta scala posteriore che porta alla soffitta e che affaccia sul tetto apribile del teatro.
Tanti locali adibiti a deposito e di uno di essi Helmut ne ha fatto il suo alloggio con il tacito assenso di Romolo Proietti il portiere di tutto lo stabile in cambio di alcuni servizietti particolari di Helmut e di qualche bustina di roba.
Ciccio affannando arriva fino in cima, la soffitta è deserta, il tetto del teatro è aperto.
Ciccio costeggia il bordo protetto da una bassa cancellata, senza guardare in basso, soffre di vertigini, non vuole precipitare giù nella platea, arriva fino al margine posteriore del teatro che confina con lo stabile contiguo, separato da un muretto basso.
La porta del locale è socchiusa, Ciccio la spinge ed entra, è in penombra, quel misero alloggio prende luce da due finestrini aperti sul tetto spiovente.
Accende la luce e sul fondo, seduto su una poltroncina ruotante di velluto verde con un alto schienale, davanti ad un tavolino sormontato da uno specchio, è seduto Helmut, la testa è poggiata allo schienale in un angolo innaturale.
Ciccio pensa che si è fatto di coca e sta dormendo, si avvicina e ruota la poltrona.
Helmut ha la gola tagliata da un orecchio all'altro ed il sangue ha tinto di rosso la poltrona ed è scorso fino a terra, nella pozza, un rasoio.
Ciccio rimane lucido, prima di denunciare la cosa, lo deve fare, magari qualcuno lo ha visto salire, cerca la roba. Helmut la mattina prima gli ha assicurato che sarebbe arrivata in giornata. Sul tavolino una cassetta metallica, la cassaforte di Helmut, è aperta, è completamente vuota. Se c'è stata la consegna qualcuno l'ha svuotata, forse quello che ha sgozzato Helmut. Ed è successo da parecchio, Helmut è completamente dissanguato.
Prima di andare via controlla se si è sporcato di sangue, solo le scarpe. Le toglie e le pulisce con la tovaglietta che usa per fare la barba, poi la getta nel cavedio del palazzo contiguo, usato abitualmente come discarica. Prima di andare via si fa il giro della soffitta per cercare qualcosa di valore di Helmut, non trova nulla, neanche una lira e ne aveva il ballerino di fasci di banconote, gli incassi dello spaccio erano abbondanti.
Si vede che l'assassino ha fatto piazza pulita di tutto.
Fa di corsa le scale, Angelina lo aspetta all'angolo con Via delle Muratte, le si avvicina: “Qualcuno ha sgozzato Helmut e forse ha fatto piazza pulita della roba. Vado ad avvertire la polizia, magari Proietti mi ha visto entrare.
C'è sempre una camionetta ferma davanti a Vicolo del Forno per scroccare qualcosa dal fornaio”.
E Ciccio non si sbaglia, si avvicina all'agente che ha in mano un cartoccio, c'è una pagnotta di pane extra tesseramento: “C'è un morto sgozzato nella soffitta del Quirino si chiamava Helmut Freist, faceva il ballerino, abitava li, era un mio cliente, sono salito per fargli capelli e barba e l'ho scoperto, pace all'anima sua.
Mi chiamo Apolloni Francesco, ma mi conoscono tutti come Ciccio, abito a Via delle Vergini, proprio di fronte al teatro, al terzo piano e lavoro da Pierre a Via Veneto. Ho fatto il mio dovere di cittadino, ma ora devo andare a lavorare, se faccio tardi il padrone mi multa”.
Dopo un ossequioso saluto Ciccio e Angelina dopo uno sguardo triste alla muta e senza acqua Fontana di Trevi, ricoperta alla meglio da sacchi e da tavole, si avviano lungo Via della Stamperia verso Via del Tritone.
Una coppia male assortita: Ciccio allampanato, magro, con la testa a punta sormontata da stopposi capelli biondi, il viso con i lineamenti delicati quasi femminei, interrotto al centro da un vistoso naso a patata.
Angelina è bassa, tonda, i capelli neri, ricci, lunghi quasi fino alle spalle, con fianchi larghi e con un vistoso posteriore che ondeggia mentre corre per stare al passo con il marito.
Alla stranezza dell'aspetto male assortito si aggiungono i due vistosi camici: bianco e lungo fino alle caviglie quello di Ciccio; quello di Angelina rosa, corto ben al di sopra delle ginocchia con le cellulitiche cosce che tracimano dal bordo inferiore dello stretto camice.
L'agente a bordo annota il tutto e chiama con la radio la centrale operativa, ci pensino loro ad avvertire la polizia mortuaria, il medico legale e se lo trovano il magistrato per far rimuovere il cadavere. Poi si avviano verso il teatro per presidiare la scena del delitto.
Davanti all'ingresso del teatro si è radunato un capannello di curiosi, si vede che Ciccio il parrucchiere frettoloso ha diffuso la notizia.
Appena vede le uniformi si fa largo tra la folla un tizio vestito di tutto punto come se dovesse essere ricevuto a corte che, con tono arrogante, si rivolge alle guardie: “Sono il commendatore Pastruno, l'impresario dello spettacolo che andrà in scena nel pomeriggio, non ammetto rinvii, fate sgomberare la soffitta di quel cadavere, non voglio scuse, è solo un ballerino frocio che posso tranquillamente sostituire, chiamate i vostri superiori, che si dessero una mossa. O devo chiamare il questore Caruso, mio carissimo amico?”.
I due rientrano nella camionetta e richiamano la centrale che assicura che tutto l'ambaradan della rimozione cadaveri è per strada. Si vede che il commendatore ha già rotto le palle al carissimo amico.