Tra il bene e il male esiste uno spazio: la “terra di mezzo” che rovescia la geografia delle nostre certezze. Quel vuoto eppure pieno, bianco come una pagina e nero come ogni lettera de Il cane può morire. Questo è lo spazio della verità. Questa è la sfumatura capace di definire. Questo è il territorio di confine che separa un ragazzo per bene da un altro se stesso: senz’anima, né sguardo, né calore, né spirito. Niente.
Un uomo cattivo. Un uomo perso. Ma è l’ora di finirla con i facili giudizi di fronte al peccato d’ogni scampolo d’ottusa umanità. Perché questa storia non alza il bastone contro l’intimo animale che c’è in noi, piuttosto parla all’indifferenza, al silenzio di chi non riesce più a scegliere a chi o cosa obbedire. Parla al cuore e al cervello come una droga. Ci insegna che siamo noi stessi una droga. Ma stavolta l’ultima crisi sarà la peggiore di tutte, quando capiremo che – nonostante tutto – sta sempre a noi scegliere da cosa dipendere.