GIACOMO COLETTI
IL CASO KURSK

IL CASO KURSK
Prezzo Fiera 14,40
Prezzo fiera 14,40 IL CANTO DELLE SIRENE

“Il caso Kursk” nasce dall’interesse generato dai tragici fatti relativi all’affondamento del sottomarino nucleare russo Kursk, avvenuto nell’agosto 2000 nel mare di Barents nel circolo polare artico. Questo libro è frutto di una accurata ricerca e di colloqui con diretti protagonisti della vicenda, che impegnò in una lotta serrata i vertici politici e gli apparati di intelligence di Russia, Stati Uniti e Gran Bretagna.

Primo capitolo

Londra.
Il traffico del sabato nella capitale britannica non aveva niente da invidiare alle altre metropoli del mondo. Però Londra aveva una cosa che invidiavano tutte le altre capitali.
In quel caos di pedoni, macchine, ciclisti, bus e moto, c’era un civile rispetto. I pedoni aspettavano il loro turno, le macchine rispettavano le file e tutto si muoveva come scandito da un grande orologio. Il Big Ben. I turisti si potevano identificare a prima vista: erano gli unici che si sentivano autorizzati a infrangere qualunque regola della strada, forse per quell’arroganza che si autogiustificava con le ferie meritate e la frenesia della scoperta. La città viveva e brulicava incurante di tutto ciò che succedeva dentro ai palazzi che delimitavano le vie, o nonostante tutto. Così stava pensando un uomo dalla carnagione olivastra che dall’ampia vetrata fissava la vita di fuori. Poi dopo un sospiro, voltandosi, di nuovo la sua mente tornò al lavoro che incombeva. “Che ore sono?” chiese con chiaro accento americano, rivolgendosi al gruppo di persone che sembrava parlarsi l’una sull’altra. “Quasi le sette e mezza, signore” rispose una voce. Silenzio. “Abbiamo ancora molto da fare” disse lui, spostandosi dalla finestra che dominava Londra e raggiungendo il gruppo di lavoro. Il grande tavolo della sala riunioni era gremito di carte e l’americano, in quel momento, avrebbe voluto essere uno dei tanti turisti ignari che si muovevano per la città. Era la sera del 25 marzo 2000, e il mondo si preparava ad assistere, inconsapevolmente ancora, a uno dei più grandi cambiamenti della storia. La Russia stava per affrontare le sue prime elezioni dopo i sette anni del governo di Boris Eltsin e tutti gli occhi dello spionaggio mondiale, meno inconsapevolmente, ne aspettavano i risultati per fare le analisi dei nuovi assetti geopolitici. Al Vauxhall Cross Building, un moderno palazzo squadrato dalle geometrie nette su un’ansa del Tamigi, sede del Secret Intelligence Service britannico, il Servizio Segreto per le Informazioni o SIS, poco distante dal Parlamento, nel pieno centro di Londra, una riunione segreta stava avendo luogo tra il direttore dei servizi segreti inglesi e il direttore della CIA. I due uomini erano al lavoro ormai da diverse ore, circondati come di consueto da uno stuolo di assistenti, esponenti delle diverse branche di analisi.
George Tenet, direttore dell’intelligence americana, sembrò essersi ripreso dopo aver fissato sconsolato il panorama londinese e, guardando negli occhi Richard Dearlove, suo pari grado inglese, chiese a tutti di lasciare la stanza per un colloquio privato. Una volta soli, vi fu qualche secondo di silenzio, fino a quando Dearlove ruppe gli indugi.
“È una situazione delicata” disse l’inglese.
“No!” rispose Tenet risoluto. “È un dannato casino!”
Il direttore Tenet aveva la gola secca per la tensione e la pressione alta, così ingurgitò avidamente un bicchiere d’acqua e, dopo aver messo in bocca velocemente due pastiglie per calmare i dolori della sua ulcera, riprese il suo sfogo.
“I russi sono in grado di mettere a capo dello stato quel Putin... ma come si fa a dare a un tipo simile così tanto potere? Senza contare che ho ben altri problemi al momento, con quelli di Al Qaeda o come diavolo si fanno chiamare.”
Dearlove ascoltava e condivideva le preoccupazioni, ma il suo innato aplomb gli impediva di lasciarsi andare a commenti troppo forti. Anche lui si trovava ad affrontare il problema del terrorismo islamico, ma non voleva farsi travolgere dal mondo che doveva affrontare ogni giorno in ufficio. Intanto muoveva lo sguardo sugli incartamenti che ricoprivano il tavolo. Nonostante i computer, Richard non riusciva a fare a meno del contatto con la carta, e solo gli amici più intimi sapevano che la sua passione era collezionare libri antichi, l’unica cosa per cui avrebbe fatto follie. E ne aveva fatte già, come la volta che aveva speso ventimila sterline per la prima edizione seicentesca dell’opera omnia delle Scienze Naturali di Ulisse Aldrovandi, tredici volumi in fogli di pergamena e intarsi dorati sul dorso.
“Era una spia durante la guerra fredda!” sbottò l’americano.
“È stato anche direttore del KGB” rispose con tono positivo Dearlove, per bilanciare l’irriverenza del collega.
“Era alle dipendenze di Eltsin.”
“Siamo tutti alle dipendenze di qualcuno.”
Il colloquio era serrato e Tenet prese le parole del britannico come un invito a calmarsi, così cominciò a contare mentalmente come di solito faceva per far sbollire la rabbia. Erano due persone completamente diverse, ma avevano molto rispetto l’uno dell’altro.
L’americano era un uomo fisicamente ben piazzato, appesantito dall’età, ma formato dagli anni giovanili in cui praticava la lotta greco-romana, dai capelli leggermente brizzolati e sempre in ordine. L’abito di buon taglio lo faceva apparire uomo di classe, ma la famiglia era di umili origini ed era evidente che avesse dovuto lottare per arrivare in alto. Il vestito era quasi una redenzione per lui, un manifesto della sua posizione e, dopo molti anni di servizio, era finalmente approdato alla direzione della CIA. La carnagione olivastra gli aveva creato non pochi problemi, perché molti lo scambiavano per un messicano. Anche una volta entrato nell’intelligence, alcuni colleghi lo schernivano, senza rendersi conto che in quel modo accrescevano la sua forza di volontà nel raggiungere il suo obiettivo. Quei pochi colleghi che erano riusciti a passare le fasi di selezione dei servizi si erano dovuti rimangiare l’atteggiamento di superiorità, corrosi dall’invidia per la rapida scalata di Tenet. Era il capo indiscusso e temuto di tutta l’agenzia e, nonostante provenisse dall’ambiente politico, aveva dimostrato le sue innate capacità di comando e di leadership.
Dearlove era molto diverso. Provenendo da una famiglia che gli aveva permesso di studiare al Queen’s College di Cambridge, per lui l’approdo ai servizi segreti era stato quasi immediato. Le sue capacità di analisi e previsione erano state notate dalla struttura dell’MI6, che aveva saputo come impiegarle, inviandolo nelle zone più calde e rischiose del pianeta come attaché diplomatico. Nel 1968, due anni dopo il suo arruolamento, era a Nairobi, poi era stato mandato a Praga, a Parigi e a Ginevra, durante tutto il periodo della guerra fredda. Nel 1991 era diventato capo della sede a Washington, ricoprendo il ruolo di referente dell’MI6 in America, ma due anni dopo era stato richiamato in patria diventando il nuovo direttore del personale. Un ruolo però che Richard aveva considerato secondario, ma che aveva svolto con dedizione e abnegazione assolute. Era il preludio a una promozione ben più importante. Nel 1994 era diventato direttore delle operazioni, a un passo dalla direzione dell’intero SIS, passando per il comando del reparto analisi degli affari russi, poi della direzione di tutto il dipartimento analisi e successivamente della direzione del controspionaggio o MI5. Nel 1999, infine, gli era stato affidato il comando generale di tutto l’intelligence britannico. E per primo aveva rifiutato l’appellativo di C, nome in codice con cui si identificava il capo del servizio segreto britannico. Molti, anche all’interno della comunità dell’intelligence, riconducevano quella lettera al diminutivo di “Controllo”, mentre si trattava semplicemente dell’iniziale del cognome del primo direttore del servizio di sicurezza, Sir George Mansfield Smith-Cumming nel 1909.
Avevano solo otto anni di differenza Tenet e Dearlove, ma la calvizie incipiente e il pallore di chi non aveva quasi mai esposto la pelle al sole, facevano apparire Richard ancora più in là con l’età rispetto a George. Il padre era stato un autentico eroe nazionale, quale vogatore del team olimpico che aveva partecipato ai giochi del 1948, e lui, pallido o no, si sentiva in dovere di portare alto il nome dei Dearlove, anche se in un ambito completamente diverso.
I due direttori rimasero per qualche attimo in silenzio, scrutando distrattamente gli appunti e i documenti, poi Tenet si fece pensieroso e iniziò a cercare tra i vari fascicoli.
“Eppure mi ricordo di averlo visto prima” disse a mezza voce.
Dearlove stava leggendo le carte che aveva in mano, senza curarsi di ciò che faceva l’ospite, fino a quando le mezze parole di George e il suo spostare tutte le scartoffie del tavolo non lo fecero spazientire e si voltò verso il collega.
“Ma cosa stai cercando?”
Senza distogliere gli occhi dai documenti che sfogliava, Tenet ritrovò il tono battagliero.
“Qualche mese fa abbiamo richiesto un’analisi incrociata sui possibili successori di Eltsin.”
“Sì, ricordo bene” rispose Richard, “i nostri analisti hanno ristretto il numero dei papabili a quattro persone” continuò con una punta di orgoglio.

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