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Edizioni Il Fiorino

Neviana Calzolari
Il colera a Modena nel 1855 - Condizioni di vita e cultura popolare nella Modena di metà Ottocento

Il colera a Modena nel 1855 - Condizioni di vita e cultura popolare nella Modena di metà Ottocento
Prezzo Fiera 12,00
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Lo studio storico di eventi eccezionali come le epidemie nelle società preindustriali: in questo caso quella di colera a Modena nel 1855, consente di avere uno spaccato straordinariamente chiaro delle dinamiche sociali e culturali che caratterizzavano i rapporti tra le classi sociali stesse in quel determinato periodo, laddove, al contrario, di tali rapporti abbiamo un quadro estremamente opaco se rivolgiamo la nostra attenzione ai tempi "ordinari” (cioè non segnati da calamità). A partire da un quadro preliminare sulle conoscenze mediche dell’epoca, si tratteranno in modo particolare: le condizioni di vita della popolazione modenese povera di metà Ottocento; le dimensioni che l’epidemia ebbe nel comune con le sue differenziazioni tra città e circondario; le reazioni popolari ai provvedimenti e la cultura popolare alla quale tali reazioni si ispiravano. Ne esce il quadro di una cultura popolare ancora straordinariamente vitale, complessa e ambivalente in quanto ribelle e conservatrice al tempo stesso.

Primo capitolo

IL COLERA

 

 

1.1. Un nemico ignoto e invincibile

 

1.1.1. Eziologia del morbo e ipotesi dell’epoca sulle modalità di trasmissione.

 

Il colera è una malattia infettiva causata da un batterio detto vibrio cholerae o, per la sua forma, bacillo virgola, che in Italia fu scoperto da Pacini nel 1854 attraverso l’analisi al microscopio delle feci dei colerosi. In effetti il contagio avviene per via orale con la ingestione di acqua o di sostanze infettate dai vibrioni emessi nell’ambiente attraverso le feci dei colerosi che costituiscono la principale fonte di infezione diretta e indiretta.

La scoperta di Pacini comunque passò sostanzialmente inosservata o,in ogni caso,non fu sufficientemente considerata e approfondita ad un livello tale da consentire dei vantaggi a livello profilattico e di cura della malattia.

I progressi in campo terapeutico si conseguirono quando, grazie ai passi avanti nelle tecniche di coltura dei batteri e nella microbiologia, Koch nel 1883 riuscì a studiare il comportamento del vibrione colerico riproducendo sperimentalmente la malattia.

Sta di fatto che nel 1855 l’eziologia del colera non era ancora nota così come, complementarmente, vi era incertezza all’interno della classe medica sulla modalità di trasmissione del morbo; a tale riguardo vennero formulate due ipotesi: una che concepiva il colera come malattia contagiosa e l’altra che lo concepiva come malattia epidemica.

L’ipotesi contagionista dell’epoca sosteneva che il colera si trasmettesse attraverso il passaggio da un organismo infetto a un organismo sano di una entità, di un corpo sui generis (e dunque attraverso il contatto diretto con un malato). Essa venne cosi ad informare sostanzialmente i provvedimenti presi in tempo di epidemia dalle autorità del ducato estense, quali i cordoni sanitari,i lazzaretti, le contumacie, che dovevano essere atti a circoscrivere, isolandoli,i possibili diffusori del contagio.

A differenza dell’ipotesi contagionista l’ipotesi epidemista sosteneva che il morbo non si trasmetteva da individuo a individuo (o da organismo ad organismo) ma dall’ambiente all’individuo, per cui gli agenti eziologici venivano individuati di volta in volta nella qualità dell’atmosfera, nelle condizioni igieniche delle abitazioni, nelle esalazioni miasmatiche e putrescenti,in particolari condizioni cosmo-telluriche, negli alimenti, e cosi via, fino a ritenere che anche il clima atmosferico incidesse sulla diffusione del colera.

Proprio a questo ultimo riguardo il delegato del ministero dell’interno per i ducati di Massa e Carrara fa presente al titolare del suo dicastero, il conte Luigi Giacobazzi, come si possano annoverare tra i fattori che potrebbero favorire la diffusione del colera anche particolari condizioni climatiche presenti nella regione appenninica durante l’estate del 1855, e cioè il tempo “inclinato o alla pioggia, o a venti di mezzo giorno”, che “possano poi degenerare in peggio dando al male proporzioni anche più allarmanti”. A Fivizzano “le continuate variazioni atmosferiche e le frequenti diaree premonitorie dominanti nella generalità di quegli abitanti danno fondati timori di un più grave sviluppo del male”.

Sebbene le due ipotesi (contagionista ed epidemista) fossero inconciliabili dai punti di vista del tipo di agenti eziologici presupposti, degli orientamenti culturali che le sottendevano e delle conseguenze di ordine economico-sociale derivanti dai provvedimenti di natura opposta che si sarebbero dovuti trarre da esse (in quanto per l’ipotesi contagionista era prioritario l’isolamento di cose o persone infette con la conseguente necessità di sospendere o ridurre determinate attività economiche e, in ogni caso, ridurre nella misura massima possibile le occasioni di contatto sociale, mentre per l’orientamento epidemista era prioritario un miglioramento delle condizioni igieniche e ambientali), nella realtà la divisione tra esse non era così netta.

Molti medici italiani del tempo oscillarono verso l’una o l’altra ipotesi senza assumere una posizione ben precisa, denotando una evidente e giustificata confusione mentale dato che l’eziologia era ancora ignota. Le stesse autorità governative oscillarono tra queste due ipotesi e i loro provvedimenti erano uno specchio fedele della loro incertezza di fondo; certamente le autorità privilegiarono per lo più l’ipotesi contagionista con tutto quello che comportava a livello di misure contumaciali, ma è anche vero che in tempo di epidemia si cercavano di attuare provvedimenti tesi, ad es., a migliorare la nettezza delle strade (di solito lordate da ogni sorta di immondezza) e, in generale, di alleviare le condizioni miserabili di vita delle classi sociali subalterne (quando tali condizioni minacciavano la salute delle classi agiate).

Emblematiche di questa incertezza di fondo sulle modalità di trasmissione e della commistione tra l’ipotesi contagionista e l’ipotesi epidemista sono le considerazioni fatte da un professore modenese, Giovanni Bianchi, incaricato dal Consiglio comunale di sanità di redigere un rapporto sulle cause che potevano avere inciso sullo sviluppo maggiore del colera nella contrada della città detta Rua della Pioppa (il rapporto ha data 27/8/1855):

“Come cagione esterna ed influenza notissima a generare il cholera pestilenziale vogliono moltissimi riguardarsi i miasmi e gas deleteri che sviluppansi alla superficie del suolo o dell’acqua, e che versandosi nell’aria, la inquinano a danno dell’umana salute, collo scaturire segnatamente da scomponimenti e fermentazioni di vario genere delle materie organiche, vegetali, ed animali”.

A sostegno dell’ipotesi epidemista il prof. Bianchi ricorda come il colera si fosse originariamente sviluppato e manifestato per la prima volta sulle rive del Gange  “presso alle acque stagnanti in què luoghi, e zeppe di organiche materie putrescenti, generatrici di pestiferi miasmi ... Ora questa medesima causa ed influenza tellurica sul Cholera l’abbiamo purtroppo anche nelle nostre città ed in ispecie nella ... Rua della Pioppa”;  per il prof. Bianchi essa si manifesta attraverso quelle “Lattrine e Fogne di umani escrementi che, aperte ne’ cortili interni di più case, mandano esalazioni pessime alle finestre de’ lati posteriori delle rispettive case, a pregiudizio più o men grave della Sanità degli Inquilini”.

A questo punto però, viene evidenziata la parzialità della spiegazione epidemista nel constatare che il colera si è comunque manifestato nelle più diverse condizioni climatico-telluriche: “ben lungi e fuori de’ raggi delle esalazioni miasmatiche terrestri. E in ordine alle lattrine, aperte ne’ cortili interni delle case ed emananti pessimi effluvj ... quell’influenza già non basta a rappresentare e costituire la causa prossima della maggior frequenza de’ casi di Cholera nella Pioppa dappoichè la stessa influenza morbifica si è troppo antica e generale nella nostra patria”, e poichè il colera ha colpito anche persone le cui condizioni abitative erano discretamente agiate e non ha colpito tutta la popolazione vivente nei quartieri più poveri e miserabili.

Ecco allora venire in primo piano l’ipotesi contagionista suffragata dal fatto che il colera aveva fatto la sua prima vittima nella provincia modenese, a Formigine, infermando una donna che aveva coabitato con un individuo proveniente da una città: Padova, che era già stata raggiunta dal colera stesso: “il solo uomo si è il veicolo propagatore del Cholera”.

Gradualmente il prof. Bianchi arriva cosi a creare una commistione tra origine contagiosa ed origine epidemica del colera:

“non è inverosimile ... che talvolta il principio choleroso, a partire dagli Individui infermi, coll’intervento di certe condizioni atmosferiche, note od anche finora ignote, rendasi volatile e propagabile, dentro certi limiti, per la via del comune veicolo dell’Aria ... non può ritenersi ... che anche i venti e le correnti diverse dell’Aria possano influire a diffondere la malattia in una direzione piuttostochè in un’altra… allorchè la diffusione del morbo compiasi più particolarmente col mezzo dell’aria, senza che sia men vero che la prima e più costante e più generale Causa estrinseca del male esista negli umani contatti, immediati o mediati, trà gli Infermi, ed i Sani?”

Vi era cosi la confusa consapevolezza sia della natura contagiosa del morbo sia dell’importante ruolo rivestito da condizioni igieniche e di vita degradanti nel predisporre al contagio stesso, anche se si rinviene negli stessi sostenitori di riforme in campo igienico ed edilizio il tentativo, più o meno sotterraneo, di relativizzarne l’incidenza al fine della prevenzione delle epidemie e del loro contenimento. In ciò poteva esserci la consapevolezza che innovazioni in campo igienico e sanitario comportavano, presupponendole, radicali innovazioni di ordine economico e sociale; migliorare le condizioni di vita delle classi subalterne per debellare più facilmente il colera significava mettere in discussione il modo di distribuzione (se non di produzione) delle risorse tra le classi sociali così come questo modo era attuato da strutture politiche, economiche e sociali fortemente sperequatrici in tal senso. Il colera veniva così ad essere segnale delle disuguaglianze esistenti tra le classi sociali per quanto riguarda le condizioni di vita,e se le autorità e i medici vengono sensibilizzati ad occuparsi di riforme in campo igienico, senza però attribuire ad esse una priorità assoluta, ciò avviene perchè vi era nella classe dirigente e colta dello Stato Estense, come aveva già colto Giuseppe Olmi, “il rifiuto a prendere in considerazione le cause strutturali del malessere sociale e ad intervenire su di esse radicalmente in profondità.”

Tale rifiuto non condiziona dunque solo il tipo di provvedimenti presi in concreto dalle autorità, ma anche, sia pure in modo più occulto (adombrato com’è da una oggettiva arretratezza delle cognizioni scientifiche), la controversia epidemia/contagio riguardo la natura del colera all’interno della classe medica del tempo; è, vale a dire, un rifiuto che condiziona la natura e la portata del dibattito scientifico.

Trattando delle ipotesi formulate all’epoca sulla natura del colera non si può non accennare all’interpretazione dell’epidemia in chiave etica e morale formulata anche dalle autorità religiose modenesi che videro nel morbo un castigo, una maledizione divina per gli innumerevoli peccati compiuti dagli uomini e per punire la loro condotta immorale. Sebbene non fosse una ipotesi scientifica, ma una interpretazione religiosa,essa aveva comunque un peso e una rilevanza ben maggiori presso la maggioranza della popolazione che non le considerazioni sull’importanza in termini di profilassi dell’igiene e di una alimentazione più sana; considerazioni in parte assurde e incomprensibili se osservate dal punto di vista della quotidianità vissuta dalle persone povere, disagiate e senza istruzione.

Specifiche

  • Pagine: 108
  • Anno Pubblicazione: 2020
  • Formato: 16x23
  • Isbn: 978-88-7549-876-4
  • Prezzo copertina: 12,00

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