Una giovane turista viene trovata morta nella pineta di Volano. Sul suo corpo solo un graffio che ricorda quello di un piccolo felino.
Il capitano Manuel Costa, trasferito a dirigere la Stazione dei Carabinieri di Comacchio dopo essere stato ferito in azione, è chiamato a risolvere il caso, che si rivela più complicato del previsto. Non solo l’assassino non ha lasciato nessuna traccia, ma nel sangue della vittima viene trovato un veleno piuttosto inusuale: la neurotossina del pesce palla.
A mano a mano che le indagini procedono, emergerà un legame con un duplice omicidio irrisolto avvenuto cinque anni prima e nomi di insospettabili: un ricco imprenditore morto per overdose, una misteriosa donna bionda, un senzatetto e un sacerdote senza scrupoli.
Un giallo senza esclusione di colpi nell’estate della movida della Riviera Adriatica.
Prologo
«Pronto, Comando dei Carabinieri di Comacchio…»
La voce dall’altro capo del filo era tra il concitato e lo sconvolto. L’appuntato Balboni si fece ripetere due volte il motivo della chiamata. Mentre il suo interlocutore parlava, lanciò uno sguardo all’orologio appeso al muro: le 15.30. Le 15.30 del 17 luglio. Fuori c’erano più di 35 gradi. Un pessimo giorno per morire. Sospirò.
«Va bene, arriviamo subito.»
Riagganciò. Poi, velocemente, compose l’interno del suo superiore, il capitano Manuel Costa.
«Pare abbiano ritrovato il cadavere di una giovane donna nella pineta del Lido di Volano.»
Costa si fece dare dal collega qualche dettaglio in più. Balboni ripeté quello che ricordava dalla telefonata ricevuta poco prima. Prese qualche appunto veloce, poi chiamò nel suo ufficio il tenente Martini, il brigadiere Maestri e il maresciallo Baraldi.
«Ci hanno segnalato la presenza di un cadavere nella pineta del Lido di Volano. Andiamo a vedere di che cosa si tratta.»
Chiese ai colleghi di precederlo. Li avrebbe raggiunti dopo pochi minuti, giusto il tempo di archiviare il file a cui stava lavorando al computer. Prima di chiudere il terminale, si soffermò sul salvaschermo. Era una foto che lo ritraeva con alcuni colleghi quando faceva parte del GIS, il nucleo delle Forze Speciali dell’Arma dei Carabinieri. Ripensò a quel giorno, a quel maledetto giorno in cui, durante un conflitto a fuoco, era rimasto gravemente ferito. Nella sua mente ritornarono il dolore, quella dannata sensazione di impotenza… poi, il buio. Era rimasto una settimana tra la vita e la morte. Coma indotto, lo chiamavano. Poi, piano piano, era riemerso dagli inferi. Dopo una lunga riabilitazione, aveva ripreso a camminare e a lavorare. Come souvenir di quel giorno fatale, gli era rimasta una leggera zoppia, che gli aveva impedito, tuttavia, di essere impiegato di nuovo in ruoli di azione. Da Palermo, era stato quindi trasferito a Comacchio a dirigere il locale Comando dei Carabinieri. Forse, pensavano di fargli un favore. A lui, invece, quel ruolo di “capostazione” stava decisamente stretto. Scacciò i ricordi e i pensieri. Non serviva a nulla rinvangare il passato. Quel che era successo non si poteva cancellare. Ora, in una cittadina tranquilla e afosa, dove non succedeva mai niente, a parte qualche furto o atto di vandalismo, c’era un cadavere. Raggiunse i colleghi e partirono alla volta della pineta di Volano a sirene spiegate.
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L’ambulanza era già sul posto, probabilmente chiamata da qualche turista. Il personale sanitario si aggirava attorno al corpo, che giaceva al lato della strada sterrata che collegava il Lido di Volano con il Lido delle Nazioni, all’altezza del villaggio turistico “La Pineta”.
Il capitano Costa si fece strada tra la folla di curiosi, che si era aggiunta a quel mix di stress rappresentato dall’afa e dalle zanzare.
«Avete toccato niente?», domandò.
«Ci siamo limitati a un’ispezione visiva, nell’attesa del vostro arrivo», rispose il medico.
«Bene», si limitò a rispondere Costa.
Fece transennare la zona, poi, insieme a Martini, si avvicinò alla ragazza, che giaceva seminascosta nell’erba alta. Sembrava che dormisse all’ombra dei pini marittimi. Indossava un costume da bagno con un pareo legato alla vita. Accanto a lei, c’era un paio di infradito rosa e una borsa da mare trasparente, nella quale si intravedevano un telo da bagno e una bottiglietta di olio solare. Non sembrava ci fossero né cellulare né documenti. Il capitano Costa spostò di nuovo il suo sguardo sul corpo. Apparentemente, non c’era traccia di sangue né di percosse. Un particolare attirò la sua attenzione: all’altezza del seno c’erano quattro graffi ravvicinati.
Un improvviso fruscio lo distolse dalle sue prime congetture. Un grosso gatto bianco sfrecciò tra le gambe di Martini, che stava perlustrando i dintorni alla ricerca di qualche indizio che potesse suggerire le circostanze della morte della povera ragazza.
«Se ne stava rannicchiato in quel cespuglio», si giustificò il tenente. «Quando l’ho smosso mi ha soffiato come una furia e se l’è data a gambe.»
Costa lo guardò in tralice, poi i suoi occhi si posarono di nuovo su quei graffi.
«Permesso, fate passare…»
Il dottor Cinti, il medico legale, arrivò trafelato. Indossò i guanti di lattice e la mascherina e si chinò sulla giovane per una prima ispezione del cadavere.
«Ora presunta della morte?», domandò Costa dopo aver dato il tempo al medico di fare le sue prime valutazioni.
«Tra le 11 e le 14… età... sui venticinque, trent’anni al massimo.»
«Un’idea sulla causa del decesso?»
Cinti scosse la testa.
«Non me la sento di pronunciarmi prima di avere effettuato l’autopsia.»
«Va bene. Sollecito subito il Pubblico Ministero Mancini per avere l’autorizzazione a procedere.»
Poco dopo arrivarono i necrofori che si occuparono di raccogliere la poveretta e portare il suo corpo all’Istituto di Medicina Legale.
Costa si attaccò di nuovo al telefono.
«Voglio i ragazzi del nucleo investigativo nel mio ufficio. Io e Martini stiamo tornando in caserma. Nel frattempo, mandate qualcuno a piantonare la zona. Non voglio nessun curioso qui. Dobbiamo essere assolutamente sicuri che quella ragazza sia morta per un malore.»