La prima e unica indagine mondiale sulla prostituzione, completa, audace e coraggiosa, che sfata il falso mito del sex work. Perché la prostituzione non è un lavoro, ma un abuso a pagamento.
Il commercio internazionale del sesso è al centro di uno dei dibattiti più accesi a livello mondiale, e non solo fra le femministe e gli attivisti per i diritti umani. Per decenni la sinistra liberale ha oscillato fra il pro-sex work e l’abolizionismo. Ma oggi le donne che hanno vissuto la violenza della prostituzione hanno preso la parola contro la favola di Pretty Woman, la “puttana felice”, dando vita a un movimento globale che sta portando avanti una battaglia a favore del Modello nordico, l’unico modello legislativo che protegge i diritti umani delle persone prostituite.
Allo stesso tempo una potente e ben finanziata lobby pro-prostituzione – che comprende proprietari di bordello, agenzie di escort e compratori di sesso – impone la sua narrazione, che occulta la violenza subita dalle donne e riduce la prostituzione a un “lavoro come un altro” allo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso, trasformando gli sfruttatori in imprenditori e proteggendo il “diritto” dei compratori ad abusare dei corpi delle donne.
Nel corso di due anni Julie Bindel ha raccolto 250 interviste viaggiando instancabilmente fra Europa, Asia, Nord America, Australia, Nuova Zelanda, Africa. Ha visitato bordelli legali, conosciuto papponi, pornografi, sopravvissute alla prostituzione. Ha incontrato femministe abolizioniste, attivisti pro-sex work, poliziotti, uomini di governo, uomini che “vanno a puttane”.
Un’indagine approfondita, appassionata e sofferta che rivela le bugie di una mitologia tesa a truccare gli sporchi interessi di un’attività criminale fra le più redditizie a livello globale.
Introduzione
Nel corso di un potentissimo discorso sul futuro del femminismo, tenuto nel 1995, la scrittrice Andrea Dworkin rivolse un invito al pubblico:
Ricordatevi delle donne prostituite, delle senzatetto, di quelle maltrattate, stuprate, torturate, assassinate, stuprate e poi assassinate, assassinate e poi stuprate […] Voglio che pensiate a quelle che sono state fatte soffrire per il divertimento, l’intrattenimento, per la cosiddetta libertà di espressione di altre persone; a quelle che sono state fatte soffrire a scopo di lucro, per il vantaggio economico di sfruttatori e imprenditori. Voglio che ricordiate il colpevole e vi chiedo di ricordare le vittime: non solo questa sera, ma anche domani e il giorno dopo. Voglio che troviate il modo di includerli – i perpetratori e le vittime – in quello che fate, a come pensate, come agite, cosa vi interessa, cosa significa per voi la vostra vita.1
Il dibattito sul commercio sessuale ha raggiunto un nuovo abisso. A livello globale, ci sono gruppi finanziati per fare pressioni affinché ogni forma di prostituzione sia decriminalizzata. La maggior parte, o quasi, dei principali finanziatori si descrivono come organizzazioni per la difesa dei diritti umani. I cosiddetti attivisti per i “diritti delle/dei sex worker” marciano nelle strade agitando ombrelli rossi (un simbolo del movimento) e gridando slogan sul diritto delle donne e degli uomini di fare ciò che vogliono con il proprio corpo.
Le femministe abolizioniste, molte delle quali sono sopravvissute al mercato del sesso, tentano di contrastare questo discorso dominante e spingono perché vengano introdotte leggi che criminalizzino coloro che pagano per il sesso e al contempo decriminalizzino coloro che lo vendono.
Nessuna questione è più controversa di quella che si sta dibattendo tra femministe, liberali e difensori dei diritti umani a proposito del commercio sessuale. Le femministe radicali sostengono tendenzialmente che la prostituzione sia a un tempo causa e conseguenza della supremazia maschile, e che se le donne e gli uomini fossero uguali la prostituzione non esisterebbe: significa che, se vogliamo che le donne e gli uomini raggiungano mai l’uguaglianza, la prostituzione non deve esistere. Dall’altra parte, per i liberali, che credono nell’essenziale libertà di comprare e vendere sesso, o per i sostenitori dei diritti umani, che considerano l’accesso al sesso un diritto umano, l’abolizione non è assolutamente un’opzione. Dato che il commercio sessuale è ormai comunemente accettato, l’idea di porvi fine è diventata ancora più difficile da immaginare.
Le leggi sulla prostituzione
Attualmente, un certo numero di paesi nel mondo sono in una fase transitoria in termini di legislazione e politica sul commercio del sesso. Diversi paesi, tra cui Irlanda, Irlanda del Nord, Francia, Norvegia, Svezia e Islanda, hanno introdotto una legge che criminalizza chi acquista sesso e decriminalizza chi lo vende. Le abolizioniste, tra cui molte sopravvissute al commercio sessuale, chiedono di introdurre questo modello a livello globale. D’altro canto, i lobbisti pro-prostituzione reclamano leggi simili a quella in vigore in Nuova Zelanda.
Nel luglio del 2016 la Commissione per gli affari interni del Parlamento britannico ha pubblicato una relazione provvisoria sulla prostituzione che guardava con favore alla decriminalizzazione del commercio sessuale. La relazione diceva anche chiaramente che i membri della commissione, presieduta da Keith Vaz (il quale tre mesi dopo, grazie a un giornale locale, si è scoperto essere un compratore di sesso), non avevano alcuna intenzione di suggerire una legge che criminalizzasse chi paga per il sesso. La Commissione ha dichiarato di non essere “del tutto convinta che la legge abolizionista sia efficace nel ridurre, anziché semplicemente spostare, la domanda di prostituzione o nell’aiutare la polizia a contrastare il crimine e lo sfruttamento associati al commercio sessuale”.
Il modo in cui i governi regolano il commercio sessuale manda un messaggio forte sulla serietà con cui si affronta la questione dello sfruttamento sessuale e, più in generale, della violenza contro le donne. I due modelli
Regolamentazione/decriminalizzazione
La lobby pro-prostituzione ha adottato il termine “decriminalizzazione” e smesso di usare “regolamentazione” all’inizio degli anni Duemila. È in questo periodo che la Nuova Zelanda introduce – con una maggioranza ottenuta per un voto – la legge sulla riforma della prostituzione (Prostitution Reform Act), decriminalizzando il commercio sessuale (2003); esattamente nello stesso anno si riconosce ufficialmente che il sistema regolamentato nei Paesi Bassi è stato un disastro assoluto.
Una delle risposte sempre più in voga alla domanda su cosa fare riguardo alla prostituzione è decriminalizzare l’intero mercato e rimuovere tutte le leggi specifiche relative al commercio sessuale. Si sostiene anche che la prostituzione dovrebbe essere considerata come qualsiasi altro lavoro. In base a questo sistema, i profitti di terzi derivati dal commercio sessuale dovrebbero essere consentiti liberamente, orientamento questo promosso dal programma congiunto delle Nazioni Unite su HIV/AIDS, Open Society e Amnesty International.
La differenza tra decriminalizzazione e regolamentazione è che, nel primo contesto, la prostituzione viene trattata come qualsiasi altra attività commerciale e soggetta alle stesse regole. A sua volta, la regolamentazione implica che lo stato “riconosce la prostituzione come un’attività legale”, ma richiede la concessione di licenze per la prostituzione nei bordelli e mantiene le norme penali contro le altre forme di esercizio al di fuori di quei contesti, come la prostituzione in strada.
Ciò che hanno in comune la completa decriminalizzazione e la regolamentazione è che nessuno dei due sistemi può avere come risultato una riduzione o la fine del commercio sessuale, mentre entrambi scolpiscono nella pietra l’idea che la prostituzione sia inevitabile e che esisteranno sempre sia l’offerta sia la domanda. Inoltre, entrambi rendono legali lo sfruttamento, la gestione di bordelli e l’acquisto di sesso.
Il Modello nordico
La legge è stata introdotta per la prima volta in Svezia nel 1999. Si tratta di un insieme di norme e politiche che criminalizzano la domanda di sesso commerciale e decriminalizzano chi vende sesso. Il Modello nordico ha due principali obiettivi: frenare la domanda di prostituzione e promuovere l’uguaglianza tra donne e uomini.
Il sistema è stato successivamente adottato da Norvegia, Islanda, Canada, Corea del Sud, Irlanda, Irlanda del Nord e Francia. I governi di Israele, Lettonia e Lituania lo stanno valutando e nel 2014 il Parlamento europeo e l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa hanno approvato le raccomandazioni per implementare questo modello come il modo migliore per affrontare la prostituzione in Europa.
I miti sul commercio sessuale includono l’affermazione che la prostituzione sia necessaria, inevitabile e innocua. Mostrerò prove chiare del fatto che queste convinzioni, diffuse dal movimento per i “diritti delle sex worker”, si basano su un neoliberismo fuorviante e su una mitologia fallace.
La ricerca
Durante la mia ricerca ho condotto circa 250 interviste in 40 paesi, città e stati. Ho parlato con sopravvissute alla prostituzione, con attivisti per i “diritti delle sex worker”, papponi, compratori di sesso, proprietari di bordelli, attivisti per l’AIDS, lesbiche, gay, associazioni di bisessuali e transgender, agenti di polizia e femministe contrarie alla prostituzione. Ho intervistato persone comuni che sapevano poco o niente del commercio sessuale. Tutte avevano un’opinione ferma e convinta.
Sono andata in luoghi in cui il mio punto di vista era decisamente in minoranza. A Vienna, a una conferenza universitaria sulla politica e le leggi sulla prostituzione, intitolata “Il problema della prostituzione”, ero una dei soli quattro relatori – su 185 – convinti che fosse davvero un problema. Gli altri 181 ritenevano che tutti gli aspetti del commercio sessuale dovessero essere decriminalizzati.
A Leeds, nel Regno Unito, trascorro una gelida serata vicino alla “zona gestita” dove Daria Pionko, una giovane prostituita di 21 anni, è stata ferita a morte; mentre il libro va in stampa, un uomo di 24 anni, che si ritiene fosse il suo magnaccia, è in attesa di processo per l’omicidio. Ho parlato con residenti, agenti di polizia, altri giornalisti e le donne stesse: nessuno risponde “sì” quando chiedo se la zonizzazione ridurrà il pericolo per chi opera al suo interno.
Visito i bordelli legali e autorizzati negli Stati Uniti, in Germania e nei Paesi Bassi. Ai Porn Awards di Los Angeles incontro Siouxsie Q, fondatrice di “The WhoreCast: Sharing the Stories, Art and Voices of American Sex Workers” [La voce della puttana: storie, arte e voci delle sex worker americane] e il mattino dopo, in un caffè a Hollywood, parlo con un uomo ex vittima di tratta sessuale.
A Vancouver, in Canada, faccio un giro a Downtown East Side, un quartiere poverissimo, in compagnia di Courtney, una giovane donna nativa che lavora per un centro di accoglienza per vittime di stupro. Centinaia di donne e ragazze native sono scomparse da questa zona. Alcune sono state uccise dal serial killer Robert Pickton, che ha dato i resti delle vittime in pasto ai maiali della sua fattoria.
Nel Gujarat, in India, mi spingo fino a un villaggio che sussiste grazie alla prostituzione e incontro un uomo che prostituisce la propria moglie, la sorella, la zia e la madre.
A Dubai, negli Emirati Arabi, scopro che quello che dovrebbe essere un rifugio per donne vittime di tratta è, a mio avviso, un centro di detenzione gestito dal governo in cui le donne restano fino a quando possono essere rimpatriate nei paesi d’origine.
In Svezia, dove i corpi delle donne non sono in vendita, assaggio il salmone marinato insieme a Carina, un’attivista per i “diritti delle sex worker”, la quale si dice talmente sconvolta dalle posizioni delle abolizioniste femministe da affermare: “Non potrei nemmeno pronunciare quella parola, ‘femminista’”.
In Turchia, a Istanbul, parlo con gli uomini in fila fuori da uno dei bordelli della città prima di essere mandata via dalla sicurezza perché “qui sono ammessi solo gli uomini”.
Alla centrale di polizia di Bergen, in Norvegia, si trova la prima unità costituita di “uscita dalla prostituzione”. La mia guida è l’agente Jarle Bjørke, che va nelle scuole e chiede agli studenti se sia “un diritto umano comprare il corpo di qualcun altro”. La Norvegia ha reso illegale l’acquisto di sesso nel 2009, come sia stato possibile per Bjørke è semplice da capire: è una questione di cittadini che “sanno distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è”.
A L’Aia incontro le abolizioniste, libere finalmente di esprimersi contro il commercio sessuale nei Paesi Bassi. Mi dicono che l’ostilità delle cosiddette femministe nei confronti di chiunque criticasse il commercio sessuale ha impedito loro di avere qualunque confronto sull’argomento.
Durante un viaggio in Cambogia ascolto alcune donne prostituite che vivono lungo una linea ferroviaria dismessa a Phnom Penh senza acqua né servizi igienici. Con loro c’è un’esponente del consiglio di Women’s Network for Unity (WNU), una ONG locale finanziata per presentare le donne come “attiviste per i diritti delle sex worker”.
Nell’Irlanda del Nord, indubbiamente la parte più devota del Regno Unito, ascolto il racconto di come la legge abolizionista, presentata da Lord Morrow del Partito unionista democratico, è stata approvata con 81 voti a favore contro 10.
Boston, nel Massachusetts, ospita un vivace movimento abolizionista. A colazione incontro Donna Gavin, una donna dalla parlata veloce, detective e comandante dell’Unità della polizia di Boston che si occupa del traffico di esseri umani, la quale mi dice che i magnaccia che prendono di mira donne giovani e vulnerabili stanno diventando sempre più brutali e sadici.
A Zurigo, la capitale economica della Svizzera, visito la zona dei bordelli legali e intervisto i passanti nei dintorni del bordello drive-in.
Un gruppo di femministe abolizioniste a Seoul, nella Corea del Sud, mi porta a fare un tour del quartiere a luci rosse di Cheongnyangni, dove vedo uomini di tutte le età entrare e uscire dai bordelli-vetrina. Sono le cinque del pomeriggio, forse fanno una scappata per una sveltina all’uscita dal lavoro.
Un autista di tuk-tuk a Phnom Penh mi porta per i luoghi della prostituzione, dove parlo con i turisti sessuali britannici, con le giovani donne che quegli uomini stanno comprando e con gruppi di donne prostituite nel parco, identificabili dalle maschere nere sul viso.
In un sobborgo di Amsterdam trascorro la notte all’Happy House B&B e ceno con Xaviera Hollander, co-autrice di un libro intitolato The Happy Hooker, la puttana felice, basato sulle sue esperienze di prostituita diventata pappona. Durante la cena chiedo a Hollander, una convinta sostenitrice della regolamentazione, se secondo lei è possibile eliminare lo sfruttamento dal commercio sessuale. “La prostituta media, la prostituta più semplice che siede dietro la finestra e fa il suo mestiere”, dice Hollander, “è come una pecora e seguirà gli ordini del suo pappone.”
A Parigi discuto i legami tra la politica queer e la prostituzione, in Norvegia dei problemi nell’applicare la legge abolizionista.
Grazie agli incontri con le sopravvissute abolizioniste a New York, a Los Angeles, nel Minnesota, a Boston, a Monaco, in Svezia, a Montréal, a Vancouver, in Cambogia e nel Regno Unito, riesco a disegnare la mappa di un movimento per la giustizia sociale e a comprendere come si è arrivati a fraintendere il commercio sessuale globale.
Alla Corte Suprema dell’Irlanda del Nord, che ha criminalizzato l’acquisto di sesso nel 2015, ascolto le argomentazioni avanzate durante un riesame giudiziario della legge richiesto da Laura Lee, un’attivista che conduce campagne per la decriminalizzazione totale del commercio sessuale.
I capitoli
Il capitolo 1 esplora le origini e analizza l’ascesa del movimento abolizionista moderno dal 1985 a oggi. Incontriamo attiviste, politici, agenti di polizia e sopravvissute al commercio sessuale che si sono uniti nel tentativo di smantellare il mercato del sesso.
Nel capitolo 2 incontriamo la lobby dei “diritti delle sex worker” e vediamo quali sono le sue origini e le sue figure chiave, con una descrizione delle tesi e delle tattiche nonché degli scopi e delle obiezioni di chi promuove la piena decriminalizzazione del mercato del sesso, nel quale molte di loro sono coinvolte. Incontro Xaviera Hollander, che con la sua autobiografia nel 1971 ha reso popolare l’idea che la prostituzione sia un’attività piacevole.
Il capitolo 3 si concentra su ciò che intendo per “dare un aspetto pulito e rispettabile” al commercio sessuale, il processo, cioè, tramite il quale la lobby pro-prostituzione ha fatto perdere il suo significato al linguaggio, per cui i papponi sono diventati “manager”, le donne prostituite “sex worker” e lo stupro un “rischio del mestiere”.
Nel capitolo 4 vengono esaminate le conseguenze della regolamentazione e della decriminalizzazione del commercio sessuale. Nei viaggi in Australia, Nevada, Germania, Svizzera e Paesi Bassi (tutti paesi con regimi di regolamentazione) approfondisco le conseguenze della regolamentazione per le donne, i compratori di sesso, i papponi, i proprietari di bordelli, la polizia e il pubblico.
Gli acquirenti di sesso vengono messi sotto la lente nel capitolo 5. Nonostante una crescente attenzione nei loro confronti, gli uomini che comprano sesso rimangono ancora in gran parte invisibili nei media, nella ricerca accademica, nell’applicazione della legge e nelle campagne contro i danni nel commercio sessuale. Descrivo le opinioni sia della lobby dei “diritti delle sex worker” sia delle femministe abolizioniste, e parlo con gli uomini che pagano per il sesso e con le donne che questi uomini comprano.
Il capitolo 6 affronta il ruolo dei liberali e delle organizzazioni per i diritti umani che fanno pressione per la totale decriminalizzazione del commercio sessuale. Esamino la ragione per cui, quando si tratta dell’accesso sessuale maschile, le donne sono escluse dal dibattito sui diritti umani.
Il capitolo 7 prende in esame l’industria dell’HIV/AIDS e il suo sostegno alla lobby pro-decriminalizzazione. Dagli anni Ottanta, la fornitura di servizi, la politica, la legislazione e l’opinione pubblica sono state modellate dall’approccio e dal finanziamento della comunità dell’HIV. Spiegherò quali sono i legami tra i vari protagonisti chiave della lobby per i “diritti delle sex worker” e il mondo dell’AIDS e chi sono i principali finanziatori che sostengono la lobby.
Nel capitolo 8 traccio una mappa delle sopravvissute al commercio sessuale e intervisto le donne che fanno campagna per porre fine alla prostituzione. Molte sono formatrici, operatrici sociali, scrittrici e educatrici.
Dovrebbe essere chiaro al lettore che non pretendo di affrontare questo argomento senza un punto di vista. Negli ultimi trentacinque anni ho condotto campagne per porre fine alla violenza maschile nei confronti delle donne e delle ragazze, perché considero la prostituzione un modo di esercitare il controllo su di noi da parte degli uomini. Tuttavia ho imparato molto nel raccogliere materiale e dati per questo libro. È giusto oltreché corretto continuare a imparare gli uni dagli altri, e cambiare e ampliare le nostre opinioni e i nostri convincimenti.
Durante le ricerche per questo libro ho condotto circa 250 interviste con una varietà di persone, compresi i rappresentanti di alcune categorie e organizzazioni. Prima dell’intervista le persone sono state informate che avrei utilizzato le informazioni ottenute citando testualmente le loro parole, sia nel libro sia in qualunque attività promozionale per il libro. All’inizio di ogni intervista ho chiesto il permesso di registrare l’audio dei colloqui, che è stato concesso da tutti gli intervistati. Ho anche chiesto se fossero d’accordo sull’utilizzo dei loro veri nomi e dell’organizzazione rappresentata, ove fosse il caso. In alcuni casi mi è stato detto di usare uno pseudonimo e mi sono accordata con le singole persone sullo pseudonimo da utilizzare.
Tutte le interviste sono state trascritte e archiviate in modo sicuro, e altrettanto è stato fatto con i file audio. In due occasioni mi è stato chiesto dalla persona intervistata di controllare la trascrizione prima di concordare se potessi o meno citare testualmente (un’evenienza almeno in parte dovuta al fatto che l’inglese non era la loro lingua madre e volevano verificare che le loro parole fossero state tradotte correttamente). Ho accettato queste condizioni. Ogni persona intervistata ha acconsentito volentieri a essere citata nel mio libro, comprese quelle profondamente in disaccordo con le mie opinioni e la mia posizione sulla prostituzione e mercato del sesso.