Un’affascinante biografia del Mozart nero, ovvero di Joseph Bologne (1745-1799), passato alla storia come “il Cavaliere di Saint-Georges”. Una monografia totalmente inedita, scritta dal musicista Luca Quinti, un approfondito studio presentato per la prima volta in Italia con la prefazione di Domenico Nordio.
Spadaccino di prim’ordine, violinista di rara abilità, compositore geniale, direttore d’orchestra, generale vittorioso in guerra contro i nemici della Rivoluzione Francese. Ma Joseph Bologne fu anche uno schiavo o, meglio, un mulatto e per questo invidiato, spesso oltraggiato, vittima del razzismo che già all’epoca serpeggiava in Europa e nelle colonie.
CAPITOLO 1
1.1. Guadalupa, “isola sventurata”
Menzionato nelle cronache ufficiali come “mulatto” e, quando fu più fortunato, “l’americano”, la sua storia ebbe inizio in una piccola isola dei Caraibi: Guadalupa.
Nel XVIII secolo l’arcipelago delle Antille, diviso in Grandi e Piccole, venne ripartito fra quattro potenze coloniali. La Spagna possedeva Cuba, Portorico e parte di Santo Domingo. L’Inghilterra regnava in Giamaica, Barbados e altre piccole isole. Ai Paesi Bassi appartenevano Curaçao, Aruba e Saint-Martin, mentre la Francia possedeva la metà occidentale di Santo Domingo, Martinica e Guadalupa.
L’isola di Guadalupa, scoperta da Colombo nel 1493, divenne un possedimento francese a partire dal 1635. Divisa in due isole, separate dal Rivière Salée, la più piccola venne chiamata Grande-Terre, sicuramente per il paesaggio piatto che la contraddistingueva, soprattutto se paragonata all’altra, Basse-Terre, dominata dal vulcano La Soufrière. Nonostante il nome, Basse-Terre appariva montuosa ed era frequentemente battuta dalle piogge. Ricoperta da una fertile savana, la maggior parte delle piantagioni si trovavano attorno a Baillif, a poche miglia dalla capitale, anch’essa chiamata Basse-Terre, e sormontata dal forte Saint-Charles, baluardo contro le scorrerie degli inglesi. Tra le isole dei Caraibi, distanti poche manciate di chilometri l’una dall’altra, vi erano però delle differenze sostanziali, che avevano stabilito il primato di alcune nei confronti di altre.
Guadalupa non aveva una buona fama, infatti venne nominata da uno dei suoi governatori “isola sventurata”: per fare un esempio, un uragano si abbatté sull’isola nel 1740 distruggendo i tre quarti della produzione di canna da zucchero; l’anno successivo l’isola fu funestata da una profonda siccità, che bruciò quel poco che era sopravvissuto e di lì a poco un nuovo uragano colpì l’isola. A ciò si aggiungeva il capillare presidio da parte dei Gesuiti, che contrastavano le attività dei piantatori e, di conseguenza, intralciavano sia il lavoro sia la ricerca di schiavi da destinare alle piantagioni.
Una situazione totalmente opposta era quella presente a Santo Domingo, dove i Gesuiti erano malvisti e quindi non si azzardavano a mettere piede neppure per periodi limitati. A Santo Domingo tutto cresceva con straordinaria facilità: zucchero, cotone, indaco e cacao trovavano qui un terreno ideale su cui svilupparsi, al punto che le piante di indaco e di cotone fiorivano quasi spontaneamente, senza cura particolare, in alcuni casi addirittura attecchendo nelle fenditure della roccia. Qualità e quantità dei prodotti facevano sì che si potessero garantire due o tre esportazioni all’anno. Ma tutto questo era possibile grazie all’apporto continuo di migliaia di schiavi.
Nonostante le minori possibilità di Guadalupa, è proprio qui che ebbe inizio la storia della famiglia di quello che sarebbe divenuto il Chevalier de Saint-Georges.
1.2. Le origini della famiglia
Nel ricostruire il quadro familiare del Chevalier de Saint-Georges il dato biografico si ammanta di mistero. Due sono le principali incognite: l’esatta trascrizione del cognome e l’identità del padre.
Sulla trascrizione del cognome esistono diverse versioni che implicano a loro volta alcune scelte significative sulla paternità di Joseph Bologne, vero nome del Chevalier. Se nella fase della maturità venne sempre chiamato con l’appellativo di Saint-Georges, il cognome del padre compariva ora come Bologne, Boulogne o Boullongne.
Il biografo Alan Guédé ha ipotizzato che la corretta grafia dovesse essere Boullongne facendo risalire le origini della famiglia al ceppo famigliare dei Tavernier-Boullongne, distinti per censo dai Bologne. Dei primi facevano parte due fratelli, Guillaume-Pierre (1710-?) e Philippe-Guillaume (1712-1789), esattori delle imposte, divenuti poi segretari nel 1721. Ar- ricchitisi grazie alle intermediazioni negli approvvigionamenti militari per conto del duca d’Orléans, nel 1738 si trovarono in possesso di una discreta somma che si suddivisero equamente. Philippe-Guillaume decise di restare a Parigi, mentre Guillaume-Pierre, scelse di godersi il suo denaro all’estero, in un’attività dai sicuri profitti: le piantagioni nel continente americano. La scelta ricadde su Guadalupa. La proprietà ben presto iniziò a prosperare, proprio ai confini di quella di Samuel Bologne e di suo nipote Georges, appartenenti al ramo meno ricco della famiglia: secondo Guédé le vicende dei Boullongne e dei Bologne cominciarono ad intrecciarsi, al punto da riconoscere in Guillaume-Pierre Tavernier de Boullongne il vero padre del Chevalier di Saint-Georges.
Proprio considerando come esatta la grafia «Boulogne», alcuni storici come Walter Smith hanno indicato il padre in Jean-Nicholas de Boulogne, portavoce del re al Parlamento di Metz: tale teoria è da escludersi dato che non mise mai piede fuori dall’Europa. Tra le ipotesi più fantasiose c’è quella di Gaston Bourgeois che lo ha collegato invece ai Boullongne di Beauvaisis, di cui faceva parte il famosissimo pittore conosciuto come il Giambologna. A complicare le cose si aggiunge il fatto che anche le cronache contemporanee spesso facevano confusione nel ricordare la sua parentela: la conferma è che il padre di Joseph venne indicato come il governatore di Guadalupa ed Esattore generale delle finanze di Luigi XV.
Secondo lo storico Gabriel Banat, invece, il nome della famiglia era senza alcun dubbio «Bologne», dato che così viene riportato nella maggior parte dei documenti che fanno riferimento al Chevalier de Saint-Georges.
I Bologne erano a Guadalupa da generazioni ed erano sopravvissuti alla fame, agli uragani, alle devastazioni, fino a raggiungere una certa agiatezza. Nei documenti relativi agli abitanti dell’isola il loro nome, indicato in effetti talvolta come Boulogne, apparve per la prima volta nel 1664 riferito alla coppia formata da Guillaume de Bologne e sua moglie, già proprietari di una tenuta che comprendeva operai bianchi e schiavi. Guillaume de Bologne era un trombettiere di cavalleria di 56 anni, e aveva tre figli: Hughes di 22 anni, Catherine ed Alette (Helene) di 19 e 7 anni.
Il fratello di Guillaume, Pitre (Pierre I), 19 anni, aveva un magazzino a Basse-Terre. Non erano cittadini francesi, ma di origine olandese, come testimoniano alcuni documenti stipulati a Rotterdam in cui i nomi erano indicati con la grafia olandese. Nel luglio 1664 furono inseriti tra coloro che avevano ricevuto dal re le lettres de naturalité, una sorta di stato di cittadinanza: da quel momento divennero cittadini francesi.
La loro proprietà, considerando l’estensione e il numero di schiavi, li poneva sicuramente tra i grands blancs, distinguendoli così dai petits blancs. Col termine grands blancs si intendevano i grossi mercanti, gli spedizionieri e i piantatori; mentre ai secondi appartenevano gli amministratori, i sovrintendenti delle piantagioni e, a seguire, gli impiegati (avvocati, ecc.), gli artigiani e i vagabondi. Spesso all’interno di quest’ultima categoria rientra- vano i cittadini fuggiti per debiti, evasi delle galee, debitori impossibilitati a saldare i propri debiti, avventurieri di vario genere.
Quale fosse l’origine, la pelle bianca garantiva uno status privilegiato, tanto che i falliti della società convergevano nelle colonie, dove si poteva acquistare una reputazione a pochissimo prezzo, il denaro scorreva a rivoli e abbondavano le occasioni per una vita dissoluta. A questi due gruppi si aggiungevano i rampolli di famiglie nobili decadute e non, che venivano mandati nelle colonie con incarichi nell’esercito o nelle amministrazioni.
La famiglia Bologne era di religione ugonotta, come appare dal censimento del 1664 in cui, accanto al nome del padre di Guillaume, era indicata una “h”, huguenot: nel censimento del 1687, a fianco del nome di Guillaume è presente invece la “c” di cattolico; c’è da chiedersi perché avesse abiurato nell’arco di pochi anni. Jean Baptiste Labat (1663-1738), prete domenicano, esploratore e botanico, riferì che i Bologne si erano rifugiati sull’isola per scampare dalle persecuzioni contro gli ugonotti in Francia e che il figlio di Guillaume, Hugues Bologne, si convertì al Cattolicesimo dopo che venne medicato per una ferita alla testa proprio da padre Labat. Sul motivo della conversione pesava anche il fatto che nel 1685 era entrato in vigore il Code noir, che regolamentava i rapporti tra la comunità dei bianchi e i neri delle colonie.
Tra i molteplici aspetti, vi era anche il divieto ai protestanti di professare la propria religione, con il conseguente sequestro dei beni. Una volta battezzati, alcuni di loro tornarono in Francia mentre altri rimasero a Guadalupa.
Anche Pierre I (Pitre) Bologne cambiò religione, e nel 1673 sposò con rito cattolico, presso la parrocchia di Baillif, Catherine Vaneybergue di 34 anni, nata in Brasile. Sono loro gli antenati più plausibili del futuro Chevalier de Saint-Georges. Pitre de Bologne e Catherine ebbero sei figli, tra cui Pierre II, nonno di Saint-Georges, e Joseph Samuel.
Pierre II Bologne, nato nel 1676, fin da piccolo aveva viaggiato con la famiglia per seguire gli affari nelle colonie. Il 22 dicembre 1701, a Nantes, si sposò con Catherine Dherigoyen, 25 anni, di Guadalupa. Dalla loro unione nacquero sei figli: i primi due (Anne Christine e Pierre III) in Martinica, gli altri quattro (Marthe Catherine, Catherine Jeanne, Georges e Jacques Théodore Louis) a Guadalupa. Proprio Georges, nato nel 1710, sarebbe diventato il padre del nostro Chevalier.
Pierre II fece ritorno a Guadalupa probabilmente prima del 1703: nel 1713 acquistò una piantagione di canna da zucchero di circa 50 ettari chiamata La Coulisse, comprendente una distilleria, 23 bovini, 5 muli e un cavallo, cui si aggiunsero 60 schiavi “grandi e piccoli”. Inoltre, due appartamenti a Basse-Terre e una proprietà alla Montagne Bellevue.
L’acquisto della Coulisse fu solo il primo passo. Ben presto si aggiunsero due nuove piantagioni a nord di Basse-Terre: la prima di 160 ettari no- minata Saint-Robert, con 212 schiavi e impiegata per la canna da zucchero; la seconda, Mont d’Or, invece, era una piantagione di caffè di 60 ettari su cui lavoravano 61 schiavi, a cui si aggiungeva un magazzino a Baillif per il raccolto e le stalle. Se a tutto ciò si somma un capitale di un milione di livres, si può ben comprendere come fosse uno degli uomini più importanti di Guadalupa.
Per valorizzare le oscure origini familiari, Georges e il fratello maggiore Pierre III furono spinti dal padre a frequentare l’accademia militare di Angoulême, come accadeva per i cadetti delle più nobili famiglie: vennero arruolati nella compagnia dei moschettieri la quale, come titoli d’accesso, richiedeva il certificato di battesimo e un documento che attestasse la nobiltà. Se il certificato di battesimo era obbligatorio, l’assenza di nobiltà non era considerato un atto imprescindibile: c’erano già stati due casi di cittadini della Guadalupa ammessi nel corpo. La prova di nobiltà veniva richiesta solo per entrare nella cavalleria leggera.
Rientrati a Guadalupa, dopo aver prestato servizio, non restò loro altro che trovarsi una moglie che fosse al pari della ricchezza e della posizione dei de Bologne, come ormai si facevano chiamare.
Le ragazze di buona famiglia o nobili che non si sposavano in patria venivano inviate nelle colonie come estremo rimedio, nella speranza che trovassero qualche possidente ricco e non troppo pretenzioso sull’aspetto fisico e sull’età. Oltre la dote, portavano con sé il titolo nobiliare o il nome del casato che veniva esibito in modo da attirare i pretendenti più facoltosi.
La scelta di Georges cadde su Elisabeth-Françoise Jeanne Mérican (1722-1801), di dieci anni più giovane, e si sposarono l’8 settembre 1739 nella parrocchia di Saint-François. Era figlia del chirurgo Jean-Baptiste Mérican e di Elisabeth-Françoise de Blaine, creola, vedova di Jean-Baptiste Petit, anch’egli chirurgo. La madre veniva descritta come una donna energica, spesso in viaggio per affari, fisicamente «alta, capelli castani, sui sessant’anni»: nel suo testamento lasciò chiaramente scritto che la figlia non avrebbe potuto avanzare richieste sull’eredità avendo già ricevuto una parte all’epoca del matrimonio. Come mai tale animosità? Sicuramente per il grosso scandalo suscitato, dato che la giovane, al momento del matrimonio, era incinta.
Nei documenti, per la prima volta Georges si firmò “Saint-Georges Bologne”, probabilmente per esibire una nobile provenienza: in base a una diffusa consuetudine, questo titolo pseudo nobiliare, praticamente fasullo, serviva ai bianchi per distinguersi dai mulatti, e acquisiva una maggiore ufficialità nel momento in cui veniva approvato dal console dell’isola.
Poco dopo venne alla luce una bambina, Elisabeth-Bénédectine, nata il 21 gennaio 1740. Rispetto ai predecessori, stupisce che dalla loro unione sia nata una sola figlia legittima. Oltretutto, Georges non assisté neppure alla nascita della figlia, dato che in quel periodo si trovava ad Angoulême per il matrimonio della sorella Catherine Jeanne.
Fin da subito il legame con la moglie si dimostrò fragile, come tutte le unioni matrimoniali che si stipulavano nelle colonie, in parte anche a causa dell’ambiente che li circondava. Le condizioni cui erano sottoposti gli europei nelle isole influenzavano, infatti, il modo di pensare e lo stile di vita: il caldo soffocante e l’afa della stagione umida generavano una spossatezza che spezzava anche gli spiriti più intraprendenti. A ciò si univano diverse patologie legate al clima caldo o umido: febbre e dissenteria erano frequenti nella stagione calda, raffreddori, reumatismi e diarree nella stagione umida.
La presenza degli schiavi nei più comuni aspetti della vita quotidiana – accendere il fuoco, aprire la porta, reggere l’ombrello – rendeva l’uomo europeo riluttante a qualsiasi forma di lavoro continuato. La consuetudine di delegare qualunque mansione, anche di poco conto, agli schiavi aveva di fatto modificato anche il ruolo e gli incarichi affidati alla popolazione di colore: nessun petit blanc era un servo, nessun bianco faceva un lavoro che poteva essere svolto da un nero. Ciò generava spesso irascibilità, dovuta alla mancanza di reali occupazioni e al peso dell’isolamento dalla madre- patria.
Anche la vegetazione dell’isola influiva sul carattere degli europei: l’avvicendarsi delle stagioni era legato principalmente alla presenza o meno delle piogge, senza un netto contrasto. Il paesaggio, pressoché uguale per tutto il corso dell’anno rendeva lo spirito d’osservazione di un occidentale sempre più pigro e annoiato, fino a farlo diventare dapprima indifferente alle minime variazioni stagionali, poi addirittura insofferente.
Una tale condizione psicologica non si riscontrava solo negli uomini: anche le donne europee presenti sull’isola, mogli o figlie che fossero, ben presto abbandonavano la frenesia della vita sociale che avevano mantenuto in patria (balli, ricevimenti e sospiri per l’innamorato) e si adagiavano in uno stile di vita dominato dalla superalimentazione, dalla noia, dall’abitudine al pettegolezzo, dalla facile adulazione proveniente dagli schiavi domestici.
Non era poi affatto raro che, di fronte alle consorti insofferenti per il clima e annoiate, il colono si lasciasse conquistare dalla fresca bellezza delle ragazze del luogo le quali, pur non vantando certo illustri natali, in- cantavano gli europei con le loro grazie, appositamente esibite. In parti- colare, il comportamento dei possidenti verso le schiave della piantagione, era quanto mai brutale, dettato dalla regola secondo cui gli schiavi erano una proprietà di cui il padrone poteva disporre come voleva. Erano capaci di stuprarle nascosti dalla piantagione e uccidere chiunque intervenisse ad aiutare le disgraziate. Restava comunque un briciolo di civiltà in alcuni di essi, che preferivano corteggiare le ragazze del luogo.
Ciò valeva soprattutto a Guadalupa in cui i rapporti tra padroni e schiave erano spesso tollerati: qui vigeva la regola, non scritta, che imponeva di non eccedere nelle punizioni fisiche agli schiavi con la tortura e le sevizie, e di evitare il più possibile la loro uccisione. Questo non tanto per pietà cristiana, quanto per la necessità di non ridurre eccessivamente il loro numero, dato che le navi negriere tendevano a rifornire maggiormente isole come Santo Domingo rispetto a Guadalupa. A causa di tale atteggiamento più “morbido” da parte dei coloni, esistono rapporti inviati nel 1738 a Versailles nei quali si chiede di emanare un decreto per mettere fine alle relazioni tra uomini bianchi e donne di colore.
Questa consuetudine si ritrova anche nella famiglia Bologne: già il padre Pierre aveva riservato attenzioni particolari a una delle schiave della casa, in particolare a una certa Margueritte, e il loro rapporto era così stretto che alla sua morte, nel 1741, Pierre pretese che fosse seppellita nel cimitero dei bianchi come “Margueritte Bologne”.
Forse è stato questo il motivo per cui nel 1744, alla morte del padre Pierre, la madre lasciò Guadalupa per trasferirsi a Bordeaux e poi a Parigi, dove morì nel 1748.
Quanto a Georges, la schiava che conquistò il suo cuore venne citata come Anne Nanon, considerata da molti biografi dell’Ottocento come «una delle donne più belle dell’isola». Sul possibile primo incontro tra Georges e Nanon abbiamo la ricostruzione del romanziere Odet Denys: «Era vestita in rosso acceso e verde pastello, i bordi dell’abito annodati ai fianchi». La citazione vuole testimoniare la sua bellezza, sulla quale la maggior parte degli studiosi non sono sempre stati concordi.
Sulle sue origini, due sono le versioni.
Secondo Guédé, Nanon arrivò dal Senegal otto anni prima con i genitori, ceduta dal re del proprio paese in cambio di vecchi fucili, armi, alcol e tessuti. La fortuna di Nanon, se di fortuna si può parlare, fu quella di finire nelle mani di Jean Marchais, un trafficante di schiavi scrupoloso, che utilizzava vascelli nuovi al posto di navi arrivate a fine carriera, facilmente corrodibili nel mare caraibico. La nave su cui venne imbarcata Nanon, l’Unione, salpò l’11 settembre 1729 diretta a Gorée, dove arrivò più di due mesi dopo. In vista della vendita, venne rifocillata per alcune settimane e poi la bella Nanon venne acquistata da Georges Bologne.
Secondo Banat e Bardin, invece, Nanon aveva sangue senegalese nelle vene, ma nacque a Guadalupa, dalla schiava Margueritte, in una piccola località denominata Cul-de-Sac: lo confermerebbe il fatto che parlasse prevalentemente creolo, un patois derivato dal francese. In questo caso, rientrerebbe in una categoria privilegiata di schiavi, gli schiavi domestici.
Costoro erano addetti a diverse mansioni: caposquadra, cocchiere, carrettiere, cuoco, servitore, cameriere, infermiere, dama di compagnia. Ripagavano il trattamento più blando e la vita relativamente più comoda con un grandissimo attaccamento al padrone. Spesso sentivano di appartenere a una classe superiore rispetto agli schiavi delle piantagioni e si davano grandi arie, esibendo uno stile di vita simile a quello degli europei. Abbigliati in vecchi abiti di seta e di broccato, non si trattenevano dal danzare minuetti e quadriglie, in un tripudio di inchini e baciamano, secondo la moda di Versailles. Tra di loro, però, alcuni sfruttarono la loro posizione per acculturarsi, nei limiti del possibile, acquistando una certa istruzione e imparando quanto potevano. Ne era un esempio Henry Christophe, di- ventato imperatore di Haiti col nome di Henry I, il quale lavorò per un certo periodo come cameriere in un albergo; ma anche Toussaint Louverture (1743-1803), che nel 1791 avrebbe guidato la rivolta degli schiavi di Santo Domingo, aveva imparato in schiavitù a disegnare, a usare le erbe medicinali, per poi diventare il cocchiere del padrone e infine il sovrintendente del bestiame. Resta comunque il fatto che il numero di schiavi che occupavano posizioni così ricche di possibilità era infinitamente esiguo rispetto alle centinaia di migliaia che reggevano l’intera struttura della società coloniale lavorando nelle piantagioni.
In breve, Nanon rimase incinta del padrone e a Basse-Terre diede vita a un figlio maschio, cui venne messo nome Joseph Bologne de Saint-Georges: era il 25 dicembre 1745, anche se la data è controversa.