Michele Torre è un fisico teorico esperto in sistemi di Information Tecnology; durante un convegno, apparentemente come tanti altri, la sua vita assume una piega inaspettata. L’imprevisto incontro con la dottoressa Anna Caliò rappresenta il primo segnale di cambiamento, ma la casualità degli eventi cela in modo reale una logica ben precisa. Qualcosa di tragico sta accadendo nella clinica dove entrambi lavorano: le strane morti dei pazienti al reparto di urologia, elementi che sembravano del tutto contingenti, delle pure coincidenze, si rivelano il sintomo di un mistero da portare alla luce. Spesso le vendette arrivano per vie traverse, in modi insospettabili. Il confine tra menzogna e verità non sempre è così netto come si pensa e persino la cruda oggettività dei fatti a volte può rivelarsi fuorviante.
Primo capitoloWIN-MAX
Siracusa, 5 luglio 2005
La piccola sala Pegaso dell’hotel Aurora era stracolma di gente quella sera. Avvertivo una lieve sensazione d’imbarazzo di fronte a quella platea attenta ma ancora poco convinta delle immense potenzialità che le nuove frontiere dell’information technology potessero fornire in campo medico. Inspirai profondamente e dopo una breve introduzione del dottore Angelo Parisi, promotore della convention, iniziai a illustrare la nuova tecnologia wireless denominata Wi-max.
— Questa tecnica innovativa, come accennava il collega, consente ai medici di frontiera di poter operare in condizioni disagiate e lontane dai centri urbani, permette comunicazioni e accessi internet molto veloci. La tecnologia ha ormai raggiunto un ottimo grado di affidabilità e, se un colosso informatico come l’Intel ha già prodotto milioni di microchip Wx per i PC portatili, il Wi-max in brevissimo tempo diverrà la tecnologia alternativa per eccellenza; in particolar modo, in quelle regioni dove la totale mancanza di copertura del segnale rende precario e insicuro qualsiasi tentativo di comunicazione con l’attuale tecnologia wireless.
Alla fine del mio intervento, Angelo si avvicinò dicendo: — Michele, credo che il tuo discorso abbia fatto breccia nel cuore della dottoressa Sara Garozzo, complimenti!
Accennai un sorriso di circostanza ma lui proseguì: — Prova ad affascinare Sara con i tuoi eloquenti discorsi sulla tecnologia Wi-max, io nel frattempo organizzo una cenetta per pochi intimi, vedrai che stavolta riuscirò a sciogliere quel muro di ghiaccio che ci separa.
Angelo era rimasto, ora come allora, il classico eterno studente della sezione H. Fedele al suo personaggio, trovava sempre la maniera di ostentare le sue tecniche desuete, ma sempre efficaci, per conquistare una donna. Quante volte avevamo rispolverato i nostri ricordi da liceali sorseggiando una birra al piccolo chiosco sul lungomare di Ortigia, soffermandoci a rievocare le nostre conquiste giovanili con i nomi di Giorgia, Nella, Agata, Gianna che rimbalzavano nelle nostre menti come biglie in una carambola impazzita! Era un tentativo vano di fermare il tempo, a dispetto degli anni che ci passavano addosso con un ritmo frenetico. Avere superato da qualche tempo i trent’anni senza avere dei legami seri ci lasciava un vuoto dentro, e le brevi storie d’amore, che puntualmente si esaurivano nell’arco di un weekend, facevano presumere seriamente che forse era stato un errore sottovalutare quelle infatuazioni giovanili, così ingenue e disinteressate. Spesso pensavamo di avere già incontrato la donna della nostra vita senza essercene accorti, ma eravamo entrambi smaliziati e pratici o magari troppo ubriachi per ammetterlo. Ci limitavamo a ricordare le orrende calze a rete di Agata, il reggiseno imbottito di Nella al nostro primo appuntamento e, con le idee evaporate dall’alcool, ridevamo sino alle lacrime come due stupidi beoni o forse, più semplicemente, come due adolescenti un po’ stronzi.
Quando la convention volse al termine, Angelo si allontanò dalla sala Pegaso. In quel frangente trovai modo di scambiare quattro chiacchiere con Sara e mi resi conto che il suo interesse per gli sviluppi futuri della tecnologia Wi-max non era una fandonia inventata dal mio esagitato amico. Nei pochi minuti di conversazione che seguirono, ebbi modo di apprezzare le indubbie qualità della dottoressa Sara Garozzo, carismatica, elegante e innegabilmente bella, forse sin troppo. Con una donna del genere c’è il rischio di finire veramente in un mare di guai, pensai. Sapevo bene che nessun ostacolo al mondo avrebbe scoraggiato il mio amico Angelo Parisi dal buttarsi a capofitto in una delle sue innumerevoli e cocenti avventure amorose.
Pochi minuti dopo giunse sottobraccio a due suoi colleghi, il dottor Mario Giardina, il classico medico di corsia tarchiato stempiato ma realmente simpatico e con lui una giovane biologa, Anna Caliò, alla quale aveva sicuramente esaltato le mie qualità, presentandomi come il suo migliore amico e il più geniale laureato in fisica.
— Signori, questo è il dottore Torre, per tutti voi semplicemente Michele. — Angelo aveva organizzato la cena secondo un canone rituale, come accade nelle più scontate sceneggiature teatrali. Esattamente, alle ventitré e trenta il cellulare di Mario iniziò a squillare; dopo una breve conversazione telefonica ci confidò che purtroppo doveva sostituire un collega di reparto in clinica medica. Pochi minuti dopo mezzanotte, Anna Caliò asserì che la mattina successiva l’attendeva un’impegnativa trasferta di lavoro e, inteso che la sua auto l’aveva lasciata in panne quella sera, mi prestai a farle da galante chauffeur. Così, mentre noi eravamo già avviati in direzione via Adige, Angelo si apprestava a saggiare l’efficacia del suo fascino latino con la dottoressa Sara Garozzo.
Durante il percorso mi resi conto che la ragazza riservata conosciuta quella sera a cena era in realtà un vero fiume in piena. Io mi limitavo a dire solo qualche frase, mentre lei non smetteva un istante di parlare: — Michele, questo fuoristrada è veramente comodo, un vero salotto! La mia vecchia jeep è molto più spartana e soprattutto periodicamente in officina!
Aveva tolto le scarpe e ripiegato i piedi sul sedile anteriore; nel frattempo la sua gonna di lino nera, seguendo i movimenti scomposti delle gambe, era risalita abbondantemente sopra le ginocchia, ma lei sembrava veramente a suo agio, non si preoccupò per niente, la tirò giù per quel poco che poté fare in quella posizione e proseguì: — Domani dovrò affrontare una maratona di lavoro. Il solo pensiero di dover fare Siracusa-Palermo in auto mi stressa terribilmente, per questo ho preteso un’auto aziendale affidabile per la mia trasferta.
— Di cosa ti occupi esattamente?
Senza la benché minima esitazione iniziò a imbastire una minuziosa trattazione della sua attività. Era una biologa specializzata nel controllo qualità dei prodotti oftalmici della Resor S.p.A., multinazionale farmaceutica francese, produttrice di un preparato oftalmico tra i più innovativi, il Rotarex.
— Sicuramente lo conoscerai, con la sua confezione bianca e blu, è unico nel suo genere. — Accennai col capo un cenno di assenso per evitare successivi approfondimenti sulla tipologia del prodotto, ma francamente non ne conoscevo l’esistenza, il massimo della mia competenza, in quel settore, era un collirio decongestionante alla camomilla che usavo sin dai tempi del liceo. Per non essere sommerso dai suoi discorsi le chiesi se a Palermo ci fosse un’altra filiale della Resor S.p.A., e lei sorrise precisando che lo scopo della sua trasferta era di verificare le condizioni di una partita di solventi da giorni bloccata allo scalo merci dell’aeroporto di Punta Raisi.
— La deperibilità dei prodotti utilizzati per le nostre analisi di laboratorio può compromettere la veridicità dei test in vitro — disse con un tono di voce tra il serio e il faceto.
Per qualche istante smise di parlare, sistemò meglio le gambe e tirò giù la gonna, che nel frattempo era risalita fin sopra il limite di guardia, rialzò il suo visino grazioso e con un semplice gesto della mano riassettò i folti e corti capelli biondi. La guardai, i suoi occhi azzurri s’incendiavano di luce incrociando le auto della corsia opposta; al primo semaforo rosso i nostri sguardi s’incontrarono in silenzio e per la prima volta quella sera ebbi la sensazione che ci stessimo fissando sul serio. Non durò a lungo quel silenzio, perché a sua volta fu lei a voler conoscere gli aspetti salienti del mio lavoro. Le illustrai alcuni miei progetti informatici, le parlai delle aziende che utilizzavano il software, che avevo realizzato, e notai in lei un aspetto che sino allora non avevo inteso, aveva un carattere seriamente analitico e le sue domande richiedevano risposte esaurienti e ben argomentate. La banale conversazione tra due occasionali passeggeri si era trasformata in una sorta di esplorazione dell’essere, non più un semplice pourparler. Compresi che Anna provava un indubbio interesse nei miei confronti. Non so esattamente cosa avesse innescato quel congegno, ma d’improvviso eravamo diventate due persone decise a conoscersi più a fondo. Sono inspiegabili le cause che scatenano l’innamoramento tra due sconosciuti, ma quando s’innescano le identifichi immediatamente, puoi avere quindici o quarant’anni, non cambia assolutamente nulla, sai semplicemente che sta per accadere e, in tal caso, le soluzioni possibili sono due: fingere di non capire tenendo un atteggiamento cordialmente distaccato, oppure identificarsi nel ruolo e viverlo in modo reale. La decisione doveva essere partorita in fretta, non c’era molto tempo, via Adige era a poco meno di un isolato. Il semaforo con il suo lampeggiare arancione non mi aiutava, sentivo la sua voce rimbombare dentro i timpani senza innescare il meccanismo della percezione sensoriale.
— Michele, fermati, il portone è questo.
— Scusami, credevo fosse quello in fondo alla strada.
Anna, nel frattempo, tentava di recuperare le sue scarpe tastando alla cieca sotto il sedile anteriore dell’auto, prima tirò fuori la sinistra, dopo qualche secondo ritrovò anche la destra, piegò nuovamente le gambe e le calzò delicatamente senza fretta, furono attimi di silenzi interminabili. Indugiavamo in attesa di un cenno, una frase, ma nessuno di noi proferì una sola parola. Scese dall’auto e io con lei sino al portone, come un gentiluomo d’altri tempi. Ci scambiammo i soliti convenevoli e, con il senso d’impaccio di chi non sa più cosa aggiungere, mi allontanai. Il motore del mio fuoristrada era rimasto acceso, poggiai gli occhiali sul cruscotto e meccanicamente richiusi lo sportello. Solo allora mi accorsi che Anna mi osservava dietro l’anta in vetro dell’ingresso principale, abbassai il finestrino e le chiesi: — Hai dimenticato qualcosa?
Lei sorrise e affacciandosi dal portone: — Che cosa hai detto Michele?
In quel preciso istante smisi di pensare e, complice il sottofondo ritmato del mio turbodiesel, le gridai: — Hai da fare il prossimo sabato sera?
La sua bocca tracciò un ampio sorriso: — Confidavo in un tuo invito, ma ero certa che sarebbe giunto tramite mail.
— Mi dispiace deluderti, ma non ho il tuo indirizzo di posta elettronica.
— Ti chiamo io venerdì, al rientro da Palermo.
— Come fai ad avere il numero del mio cellulare?
— Se preferisci, posso inviarti anche una mail. — Aggrottai le sopracciglia e simulai col viso un’espressione sorpresa ma, quando le vidi tirar fuori dalla sua borsetta bianca la brochure della convention, compresi il motivo.
— Ho qui l’indirizzo del tuo ufficio, il numero telefonico e quant’altro mi serve per poterti rintracciare, ti sto inviando un sms, così potrai chiamarmi quando vuoi. Fammi sentire meno sola in questi giorni ti prego!
La sua voce squillante fece una breve pausa in attesa di una mia risposta scontata che non tardai a pronunciare.
— Ti chiamerò, Anna, stanne certa.
Ci scambiammo con lo sguardo un cenno d’intesa, lei richiuse l’anta in vetro del portone e prima di partire la osservai salire le scale. Il suo passo leggero sembrava sfiorare appena i gradini e solo allora mi resi conto quanto fosse bello osservare le movenze di una donna innamorata.