Il tempo del Natale è caratterizzato da un repertorio musicale tradizionale che ha attraversato pressoché intatto i secoli.
Nato in seno ai riti liturgici della Chiesa delle origini e sviluppatosi successivamente nelle strade e nelle feste domestiche della stagione dell’inverno, questo patrimonio di canti, inni e carols sono strettamente legati all’ambiente e alle tradizioni in cui sono stati composti.
Nel presente contributo, l’autore racconta la storia di quindici di queste carols tratteggiandone i confini e il paesaggio simbolico e storico in cui sono immerse.
DEL NATALE E DELLE CAROLS
In quel tempo [Natale del nostro Salvatore] le notti sono salubri,
nessun pianeta emana malevoli influssi,
nessuna fata pratica incantesimi,
nessuna strega ordisce sortilegi,
tanto santificato e benedetto
è quel tempo dell’Anno.
William Shakespeare, Amleto
Il Natale: breve storia di una festa
Nel momento in cui in Europa il Cristianesimo divenne la fede dominante e maggiormente praticata, la Chiesa fu chiamata a fare una scelta importante: cancellare quanto fosse presente delle precedenti religioni dette pagane (dal patino pagus, cioè ‘proveniente dal villaggio’, in contrapposizione al cristiano miles Christi, soldato di Cristo), o far convivere il passato con quello che allora era il presente. Fu la seconda ipotesi quella che prevalse, permettendo così al Cristianesimo di mantenere un trait d’union con le religioni precedenti e, innestandosi nel solco di un tradizione esistente, di modificare i riti acquisiti declinandoli secondo il magistero della nuova fede cristiana.
Usi e costumi delle religioni pagane assunsero un nuovo significato e dopo esser stati adattati alla buona novella annunciata da Gesù, crearono quell’humus delle tradizioni cristiane fin dalle prime feste che vennero celebrate (questa cosa non deve assolutamente sorprendere se consideriamo le modalità di transizione delle prime comunità di cristiani così come sono tramandate negli Atti degli Apostoli).
Il Natale rappresenta sicuramente l’esempio paradigmatico e meglio riuscito di questa sovrapposizione di tradizioni e fedi. La festa più famosa e celebrata dell’anno è il risultato della commistione di almeno tre feste pagane, che vengono proiettate in una dimensione e in un significato del tutto nuovi.
Partendo dal presupposto che nessuno dei quattro Vangeli canonici riporta una data precisa della nascita di Gesù, l’unico vero indizio ce lo fornisce Luca che scrive che alcuni pastori della regione pascolavano gli armenti all’aperto. Gli studiosi hanno prodotto un gran numero di studi tesi a identificare il periodo in cui potesse esser nato Gesù di Nazareth, partendo da quell’unico elemento a loro disposizione che indicava il momento in cui la pastorizia in Palestina si svolgeva con la custodia degli armenti all’aperto. Ma non se ne è venuti fino in fondo a capo di nulla.
La verità è che il Natale del Signore viene celebrato il giorno 25 dicembre perché i Pontefici e i Padri della Chiesa delle origini hanno compiuto un’opera di sovrapposizione del Natale con almeno tre ritualità pagane diverse.
Tre, infatti, erano le feste pagane che venivano celebrate nel mese di dicembre.
La prima, e più famosa, è rappresentata dai Saturnalia. Gli antichi Romani celebravano questa festa dal 17 al 23 dicembre. Sette giorni per ricordare il ritorno di Saturno e del suo trionfo sul figlio Giove. Saturno era una divinità del pantheon romano associata all’agricoltura oltre a essere considerato il re degli dei. Il mito racconta che Saturno suscitò in Giove l’invidia del potere e con un abile colpo di mano Giove scacciò il padre e si incoronò re dell’Olimpo. I Romani, nella loro mitologia, associavano il regno di Saturno a un periodo di pace lunghissimo, privo di guerre e abbondante di messi detto aurea aetas (età dell’oro); il mondo era incorrotto e tutto si svolgeva seguendo un corso naturale delle cose. Ecco perché i Romani durante il periodo delle feste saturnali ricordavano questa età dell’oro prendendosi una pausa dai lavori e dedicando il tempo alle feste in famiglia organizzando banchetti e giochi. Le feste saturnali abolivano il vecchio tempo e instauravano un “nuovo corso del tempo” e la natura carnascialesca e il tipico rovesciamento dei ruoli all’interno della società (noi stessi le adotteremo successivamente per le feste del Carnevale) erano le due caratteristiche principali di queste feste.
Due sono le tradizioni tipiche dei Saturnali che il Natale ha ereditato e che sono ancora in uso, perfettamente intatte, ai giorni nostri: l’una è rappresentata dall’abitudine di decorare le case e le finestre con delle candele accese che portano la luce di Saturno (che è conoscenza e abbondanza) e l’altra è l’uso di scambiarsi regali, segno di buon augurio e buon inizio di anno. I regali delle feste saturnali venivano chiamati strennae (da cui l’italiano strenna). Il nome deriva direttamente dalla dea Strenia, divinità di origine sabina, che distribuiva a tutti la sua fortuna e che benediceva il nuovo anno.
La seconda festa da cui il Natale deriverà uno dei suoi simboli più forti e significativi, è legata al culto del dio Mitra, chiamato dai suoi fedeli ‘il figlio di Dio’. Mitra era la divinità più importante della fede zoroastriana, una religione che giunse in occidente dalla lontana Persia. Penetrata a Roma a seguito delle invasioni di quei territori a opera delle legioni, la religione zoroastriana ebbe una larga diffusione sopratutto per le qualità che contraddistinguevano il dio Mitra: definito ‘cercatore di verità’, Mitra portava ai suoi fedeli la luce della conoscenza oltre ad essere il guardiano degli elementi. Queste qualità impressionarono così tanto i romani da inserirlo nel loro pantheon e venne riconosciuto come ‘figlio del Sole’, responsabile dell’esistenza dell’astro stesso e del suo quotidiano sorgere. Nacque una ritualità specifica associata a Mitra, che celebrava la sua natura di figlio del Sole all’interno di templi che tutt’ora a Roma possiamo ammirare e che lasciano una traccia, non scritta, di come si svolgessero questi culti detti ‘misterici’. L’accostamento del Sole-Mitra a Cristo nei primi secoli divenne così abituale da far scrivere a Tertulliano nella epistola Ad Nationes (in difesa del Cristianesimo contro i pagani): «Altri […] ritengono che il Dio cristiano sia il Sole perché è un fatto notorio che noi preghiamo orientati verso il sole che sorge e che nel giorno del sole ci diamo alla gioia, a dire il vero per una ragione del tutto diversa dall’adorazione del sole».
La terza e ultima festa che concorre a dare al Natale cristiano una ritualità e un legame con alcuni dei simboli più antichi, è la festa dello Yule. Celebrazione pagana del solstizio d’inverno tipico delle popolazioni europee nata nei territori delle tribù germaniche del Nord, Yule veniva celebrata con sacrifici, feste e banchetti intorno al ceppo, un tronco di legno che veniva fatto bruciare lentamente nei camini delle case per tutto il periodo della festa. Questo antichissimo rito, presente anche nelle tradizioni delle nostre campagne italiane, riconduce alla vittoria della luce sul buio. Se il 21 giugno, solstizio d’estate, è il giorno più lungo dell’anno, e marca così il momento in cui l’oscurità fa il suo ritorno, il solstizio d’inverno (21 dicembre) è il giorno più corto dell’anno e segna l’inizio della rinascita della luce. Celebrato con sacrifici animali e banchetti imbanditi con le carne sacrificate, la festa di Yule si celebrava con canti e con lo scambio di regali. Le case venivano decorate con piante sempreverdi (agrifoglio e rami di pino) per significare la rinascita e la vittoria sul freddo inverno, e non potevano mancare nei banchetti il pane bianco e la birra, entrambe fatte con il grano, segno di rinascita e anticipazione dell’abbondanza dei campi nella stagione della primavera.
Se il periodo della festa del Natale è chiaramente identificato con le tradizioni religiose antiche di cui abbiamo appena parlato, non rappresenta nemmeno un mistero quello della scelta della data del 25 dicembre.
Il primo a celebrare il Natale del Signore proprio in quella data fu Costantino nel 336. Divenuto imperatore nel 306 d.C., Costantino governava un impero in cui la principale fede professata era quella del dio Mitra, e la data più importante per i fedeli di Mitra era appunto il 25 dicembre. Dopo la sua elezione, Costantino emise il famoso Editto con cui legalizzò il Cristianesimo rendendolo la religione ufficiale di Roma. I culti mitraici vennero banditi (anche se continuarono a essere celebrati di nascosto e l’imperatore stesso ricevette il battesimo solo in punto di morte) e non è difficile pensare che fu scelta come prima festa cristiana la data del 25 dicembre, per poter accogliere più facilmente tutti i convertiti pagani che avrebbero visto un collegamento con la Festa di Mitra. La cosa destò non poche preoccupazioni, soprattutto in san Leone Magno, il quale riteneva che la Chiesa, dopo aver usato per alcuni secoli i simboli pagani per facilitare l’evangelizzazione, dovesse impegnarsi a sradicare le ultime vestigia delle religioni solari mitraiche di stampo orientale. Tutto cambiò per non cambiare nulla e la data del 25 dicembre divenne una consuetudine.
Fu papa Giulio I che per primo stabilì ufficialmente il 25 dicembre quale data per festeggiare il Natale del Signore e il 6 gennaio l’Epifania. Solo in un secondo momento alla festa religiosa corrisponderà una festa civile con la sospensione dal lavoro e il riposo per l’intero periodo delle feste (come avveniva anche durante i Saturnalia). Bisognerà però aspettare il Concilio di Tours per poter veder nascere il periodo dell’Avvento, che avrebbe accolto in sé molte delle altre celebrazioni pagane che precedevano le feste del dicembre. Il Natale iniziò così il suo percorso di diffusione in tutta Europa anche se ebbe un brusco rallentamento intorno al X-XI secolo. Questo avvenne perché il popolo iniziò a percepire uno scollamento tra la festa sacra, celebrata nelle chiese, e la festa popolare, che si celebrava fuori dai luoghi consacrati e anche per questo ancora legata fortemente alle ritualità, simbologie e tradizioni più antiche. Ci vorrà tutta la geniale spiritualità di un San Francesco di Assisi per riportare nel cuore della gente la festa del Natale.
Era il 1223 quando Francesco allestì a Greccio la prima natività della storia, creando così la tradizione del presepe, invitando tutti a ricreare dentro le case quel segno che è la Natività: il mistero della nascita del figlio di Dio. Il presepe si accostò al tronco di Yule che bruciava lentamente nel camino (sede dei numi tutelari della casa) e in breve tempo sarebbe stato decorato con i sempreverdi (agrifoglio, vischio e pino) illuminati dal brillare delle candele. Il tutto in una pacifica convivenza di segni e simboli che in sé racchiudono gli archetipi della tradizione, in una celebrazione dei misteri più cari al nostro Occidente.