L’anelito a possedere ”la verità in un’anima e un corpo” segna tutta la parabola di Arthur Rimbaud fino al capolavoro delle Illuminazioni e alla rinuncia alla scrittura poetica. Fanciullo prodigio, fece incontri determinanti, da Izambard a Verlaine. Quel che lo caratterizza è la simbiosi tra arte e vita in poesia, com’era logico per un poeta a tutto tondo come lui. Ce lo immaginiamo nei suoi vagabondaggi, con e senza Verlaine, sdraiato sull’erba, la testa rovesciata a contemplare i dettagli della natura e della civiltà. Nel suo tentativo di riconquista dell’Eden, ripercorre itinerari mistici di ogni tempo. Per Rimbaud la poesia è stata una figura del destino, di un “carattere-destino”. Ribelle fino all’anticonformismo in epoche non sospette e poi cercatore di “pepite d’oro” grazie al suo talento e al suo genio, risulta infine ancora oggi come “l’inarrivabile Rimbaud”.
Introduzione e traduzione di Pierangela Rossi. Testo francese a fronte.
Primo capitolo
Introduzione
“È il riposo illuminato, né febbre, né languore,
sul letto o sul prato.
È l’amico né ardente né debole. L’amico.
È l’amata né tormentosa né tormentata. L’amata.
L’aria e il mondo non affatto cercati. La vita.
-Era dunque questo?
-E il sogno rinfresca”.
Scritte probabilmente in parte nei vagabondaggi con Verlaine nelle Ardenne e in Belgio, le Illuminazioni danno voce finalmente alla poetica del veggente dopo tanti anni in cui è stata formulata e ha baluginato nel “Battello ebbro” e qui e là mentre è la sola ragione del poema. Il titolo, “Illuminations”, è stato scelto da Rimbaud nel senso di “coloured plates” che calza alle prose, per l’elemento descrittivo e coloristico e non ai versi.
Per Verlaine nel poema Rimbaud raggiunge vertici di tenuità e di “flou” e incanti di charme “inappréciable” dove l’inapprezzabile segna un limite. Come dire: oltre non si va. È una poesia dell’oggetto e non del soggetto. Anzi, “il poeta sparisce”. I nuovi poemi sono “fantasmi sonori, immagini appena evocate, e più sottintese” (Sergio Solmi, dai cui saggi abbiamo perlopiù attinto, in questa parte).
Senza tacere lo spirito di mistificazione, di parodia e “pastiche” che Arthur aveva manifestato già da scolaro. Infatti ritornano parole quali commedia, dramma, opera, opèra-comique, scena.
Nelle “Illuminazioni” si dispiega un carattere oggettivo-mistico. Tra le sue letture anche il castello interiore di santa Teresa. Il romanticismo onirico fa scrivere a Rimbaud “fantasmi di costruzioni” nei “Ponti” e nella “Città”, al modo di Nerval.
L’esperienza della Comune si travasa in un linguaggio di rivolta poetica, con varie trasfigurazioni: il “momento rivoluzionario” si trasferisce per Rimbaud in poesia. La poetica del veggente è qui che si dispiega interamente.
Solmi cita un passo di Albert Thibaudet (1922): “È precisamente nel genere di follia proprio di Rimbaud che si troverebbe, credo, la chiave delle ‘Illuminations’. Rimbaud era un ‘cheminau’, un vagabondo, per cui la vita per gran tempo consistette nell’andare indefinitamente a piedi per le vie maestre. È in questo modo che percorse una parte dell’Europa e dell’Africa”.
Nelle allucinazioni che abitualmente aveva come metodo, per Rimbaud si trattava di concatenarle dando ad esse una “suite”, dettata dal carattere-destino: “io spiegavo i miei sofismi magici con l’allucinazione delle parole”. Questo contempla il “valore magico” dato alla parola, fin dal poeta di sette anni, abbagliato dalle sue stesse visioni.
Claudel lo definirà “Un mistico allo stato selvaggio”: Solmi dice che Rimbaud mondanizza la mistica, il che è vero per certi argomenti ma non per tutti tanto che “Illuminazioni” si conclude con “Genio”, su Cristo, un poema mistico quanti mai si può immaginare.
Nella generale estetizzazione (Baudelaire) i “ritmi istintivi” per “sonorità e colore” di Rimbaud sono un punto di rottura per i poemi in prosa come le Illuminazioni.
Tra le ragioni multiple che fanno ritenere le Illuminazioni scritte dopo una Stagione all’inferno c’è un’eco della ‘Tentazione di Sant’Antonio”, pubblicata nei primi mesi del 1874 in ‘Barbaro’, ‘Infanzia I’, ‘Città I’ e ‘Città 2’, ‘Giovinezza IV’, ‘Vagabondi’, il frammento ‘Vent’anni’ in ‘Giovinezza III’, in ‘Guerra’. C’è poi la testimonianza di Verlaine nella prefazione alla pubblicazione delle “Illuminazioni” su “Vogue” (1886).
Scrive Sergio Solmi: “Ho l’impressione che il considerare le ‘Illuminations’, o la maggior parte di esse, quale ultimo frutto dell’attività letteraria di Rimbaud, consenta al critico, oltre ad un ampliamento di prospettive, di delineare uno sviluppo dell’opera molto più persuasivo, armonioso e coerente. Usciti dal vortice tormentato e convulso della ‘Saison’ si prova la sensazione di entrare in un clima di superiore, misteriosa calma: anche se non mancano neppure qui i momenti di esaltazione, di ebbrezza, di violenza. Spesso vi ritroviamo l’elemento contemplativo, catartico del ricordo”.
E Albert Thibaudet considera le Illuminazioni come “il libro della strada”: “È letteratura scentrata, esasperata dall’ottica della marcia e da una testa surriscaldata di vagabondo... Quasi tutti i frammenti delle Illuminazioni sembrano redatti su un ciglione, su un campo, su un margine di strada, da un uomo in cui la marcia, l’aria aperta, hanno sviluppato furiosamente le potenze del sogno. Leggete, quasi al principio del libro, i tre poemi ‘Mistica’, ‘Alba’, ‘Fiori’. Il primo è semplicemente la visione di un uomo sdraiato, che contempla il paesaggio rovesciando la testa. La sensazione di stranezza, di freschezza, di colori riaccesi, di mondo nuovo, che ci sorprende allora, è ben conosciuta da chi ama le passeggiate in montagna...”. Solmi nota che molte illuminazioni sono date da una posizione di riposo in un’abitazione, da un ricordo, o panoramica o di sogno. Il capolavoro di Rimbaud è stato scritto di seguito e di seguito va letto.
Le pagine coloristiche, musicali, architettoniche sono numerose. La ricchezza delle immagini e l’ambiguità consentono interpretazioni plurime, com’è avvenuto per “Dopo il diluvio”. È tuttavia una poesia che non va razionalizzata. “Ritmi, sensazioni, rievocazioni – scrive Solmi – da cui a un certo momento cominciò a germogliare l’idea poetica. È la segreta officina del semiconscio dove si articolano e si elaborano le operazioni della poesia” per quel “carattere-destino di poeta” a tutto tondo che è stato Rimbaud.
Nelle Illuminazioni c’è un “prevalere dei mezzi toni e delle sfumature sull’orgia coloristica dei primi versi” (Solmi e Guiraud). C’è poi “L’opposizione realismo-fantasia, che è una dilatazione grandiosa del dato realistico in fantasia: radice realistica, che, per converso, è poi sempre reperibile anche nelle più delicate trasposizioni immaginarie”.
E conclude Solmi: “Rimbaud rappresenta ai nostri occhi, un caso unico, ed estremamente significativo, dell’unità poesia-vita. Per ogni poeta, che non sia un volgare ripetitore, la poesia è il rovescio esatto, l’altra faccia della sua esistenza. Naturalmente i legami dell’una con l’altra sono sempre difficili da rintracciare. La poesia è sempre la trasposizione della vita su un piano diverso. (...) La poesia di Rimbaud si manifesta ai confini di una particolare ‘mistica’, la quale esige una partecipazione totale dell’anima e dei sensi. L’esistenza del poeta diviene così strumento della poesia, la permea strettamente, fa tutt’uno con essa, continua persino nel silenzio, nella definitiva rinuncia a parlare”.
Genio
La prosa con cui si concludono le Illuminazioni, “Genio”, è un poema che, scrive André Thisse in “Rimbaud devant Dieu”, “ci fa entrare nella dinamica di una vita interiore e superiore e non in una astrazione restrittiva. (...) “Il” è per Rimbaud la divinità dei suoi sogni. È la divinità reinventata. “Un gran numero di termini è strettamente teologico. Thisse per spiegare il poema, tira in ballo Theilard de Chardin (la materia e lo spirito ci “precipitano irresistibilmente verso qualche superiore unificazione”).
Gli uomini divengono essi stessi diafania, trasparenza, puri simboli, rinviano cioè “a un altro”.
Questo Messia annuncia la fine d’un mondo e l’aurora d’un mondo nuovo. Nella tonalità cosmica del poema Dio trascende l’uomo ma ha un legame con “la fecondità dello spirito”, lo “slancio delle nostre facoltà” e anche “la nostra santità”. Rimbaud condanna “le paure religiose, il formalismo in generale e la mancanza di fiducia nella ragione”.
Genio non è la nascita di un piccolo Gesù ma del grande Cristo cosmico, di “colui che è e essendo ama”.