Nel mito del Che convivono due aspetti fondamentali: da un lato la diffusione planetaria dell’immagine iconica del Guerrigliero Eroico, dall’altro un sempre più manifesto disinteresse per l’uomo Guevara. Oggi, a fronte di un’innegabile e sorprendente popolarità, ciò che colpisce è la percezione che il mito del Che stia progressivamente svuotandosi di contenuti per lasciare spazio ad un’icona pop, commerciale e pubblicitaria. Ma c’è dell’altro. Guevara è difficile da digerire perché è uno sconfitto della storia. E i perdenti, se è vero che affascinano per la loro capacità di suscitare romantica ammirazione, risultano allo stesso tempo minacciosi, dal momento che sono accompagnati passo passo dallo spettro della morte.
Eppure il Che in qualche modo resiste. Il rivoluzionario argentino è un pungolo per la coscienza (non solo civile). Non si può restare indifferenti al suo cospetto. Le meschinità del nostro presente fanno impallidire quando leggiamo di un uomo di Stato che, per dare il buon esempio, si metteva pazientemente in fila alla mensa del ministero con una scodella di alluminio in mano. Ed è questo, in definitiva, ciò che resta: il fascino di un don Chisciotte del XX secolo, capace di non farsi intossicare dal potere e di obbedire alla coscienza fino alle estreme conseguenze.
Questo libro trae origine da altri libri. Detta così potrà sembrare
un’affermazione ovvia, riferibile pressoché ad ogni volume di storia.
Ma ciò che intendo dire è che il mio lavoro si fonda esclusivamente
su fonti di natura letteraria: biografie, saggi, memorie, diari
e, ovviamente, gli scritti di Ernesto Guevara de la Serna.
Trovo doveroso precisare sin da subito questo aspetto perché è
bene che il lettore sappia che non ho visionato documenti originali,
non ho visitato l’Argentina, Cuba o la Bolivia e non ho potuto intervistare
testimoni. Chi fosse perciò interessato a nuove scoperte, a
rivelazioni o a scoop giornalistici, può tranquillamente risparmiarsi
la fatica di proseguire con la lettura. Non ho infatti la pretesa di
competere con i grandi biografi del Che, che hanno speso anni nella
ricerca, consultando archivi e intervistando familiari e vecchi
compagni d’armi del rivoluzionario argentino. Anzi, alle decine di
studiosi che con i loro libri hanno occupato per mesi la mia scriva10
nia sono debitore, perché è riflettendo sul loro lavoro che ho intrapreso
il mio percorso di ricerca.
Ci si chiederà, a questo punto, quale sia lo scopo del presente
volume. Fondamentalmente, esso si prefigge l’obiettivo di fare
chiarezza, per quanto possibile, sul mito del Che, a partire dalla sua
biografia. Il tutto tenendo conto della compresenza di due aspetti
singolari: da un lato la diffusione planetaria dell’immagine iconica
del Guerrigliero Eroico, e dall’altro un sempre più manifesto disinteresse
per l’uomo Guevara. È facile infatti constatare quanto la
vita del medico argentino sia oggigiorno relativamente poco conosciuta
(forse anche in conseguenza della sua scarsa presenza in televisione,
nei programmi di divulgazione storica); e al contempo è
semplice verificare che il volto del Che è ovunque, tatuato sul polpaccio
di un calciatore o impresso su magliette e manifesti.
Punto di partenza obbligato di un simile percorso non poteva
che essere la vita di Guevara, che ho ricostruito consultando una
vasta bibliografia, disponibile in lingua italiana. Non è stato per nulla
semplice trovare un punto d’incontro tra versioni spesso contrastanti,
così come ha richiesto una certa attenzione l’inevitabile operazione
di sintesi rispetto a biografie che in un paio di casi sfiorano
o superano le mille pagine. Una caratteristica comune a diversi
studi sul Che (prodotti al di fuori dell’ambito accademico) è
inoltre la mancanza di note bibliografiche e di indici dei nomi: circostanza
che, va da sé, ha complicato in certi casi il mio lavoro. Di
contro, mi sono stati di grande aiuto la biografia di Roberto Occhi
(dettagliata ma allo stesso tempo decisamente più sintetica rispetto
a quelle “monumentali” di Jon Lee Anderson, Jorge G. Castañeda,
Pierre Kalfon e Paco Ignacio Taibo II) e i lavori di Roberto Massari,
massimo studioso italiano del Che, animatore della Fondazione
Ernesto Che Guevara, cui, ad oggi, si deve la pubblicazione di
dieci Quaderni, imprescindibili per chiunque intenda accostarsi alla
vita e alle opere del rivoluzionario argentino1.
La biografia del Che occupa l’intero primo capitolo di questo volume.
Ho ritenuto saggio non darla per scontata, essenzialmente
per due ragioni: perché ho la sensazione che in pochi la conoscano
a fondo; e soprattutto perché ricostruirla ha reso più organico e
coerente il mio lavoro, che è mia convinzione non possa prescindere
da un’attenta riflessione sull’uomo Guevara. Se è vero infatti
che il Che è oggi poco letto e studiato, devo riconoscere che pure
io non facevo granché eccezione prima di accingermi a scrivere
questo libro. Certo, sapevo collocare il medico argentino nel tempo
e nello spazio, associarlo alla Rivoluzione cubana e alle fallite imprese
in Congo e Bolivia; ma, concretamente, avevo letto poco su
di lui (tra le biografie mi era capitato di sfogliare anni fa quella di
Carlo Batà, utilizzata per scrivere un articolo che oggi, per inciso,
imposterei in maniera completamente diversa2).
Studiare la vita del Che significa automaticamente dover affrontare
il problema della sua morte, che è all’origine del mito. Per
questo il secondo capitolo si apre di fatto in continuità con il primo,
ripercorrendo le vicissitudini della salma di Guevara da La Higuera
fino a Santa Clara, dove riposa dal 1997. Da qui parte l’analisi
vera e propria del mito (sviluppata nei paragrafi 2, 3 e 4 del capitolo
2 e condotta da prospettive non convenzionali nel capitolo 3), in
accordo con quanto sostenuto alcuni anni fa da Gianpasquale Santomassimo:
Tutto nella vita di Ernesto Guevara de la Serna sembra assumere a posteriori
la forma del mito. Il viaggio giovanile in moto compiuto con il suo
amico e compagno di studi Alberto Granado dall’Argentina al Venezuela
[…] viene riscoperto cinquant’anni dopo come un viaggio iniziatico, presa
di coscienza dei mali e delle ingiustizie di un continente. È soprattutto il
film di Walter Salles I diari della motocicletta (2004), prodotto da Robert
Redford e ispirato dai diari di viaggio […] dello stesso Guevara e […] di Alberto
Granado, che segna la novità più importante degli ultimi anni nella
evoluzione di un mito ormai consolidato e stabile, ma soggetto a mutazioni
che nel tempo aggiungono e sottraggono, accentuano e sfumano,
fino a trasformare il senso originario del mito. Un mito sul quale bisogna
interrogarsi, perché è l’unico mito residuo che il ’900 trasmette al nuovo
secolo, ed è soprattutto l’unico mito della sinistra novecentesca che anziché
sfiorire rinvigorisce e sembra parlare ancora alle nuove generazioni3.
Al film di Walter Salles va aggiunto quello in due capitoli (Che.
L’argentino e Che. Guerriglia) di Steven Soderbergh del 2008, che
ricostruisce le tappe della Rivoluzione cubana e il tragico epilogo
boliviano, presentato come una sorta di Via Crucis4.
Il “successo” cinematografico del Che si accompagna ad una nutrita
presenza sugli scaffali delle librerie. Di recente, nel biennio del
duplice cinquantenario della sua morte e del Sessantotto, Guevara
ha spesso trovato posto tra le proposte editoriali nelle edicole, o
addirittura sui banchi di certi supermercati.
A fronte di questa innegabile e sorprendente popolarità, ciò che
tuttavia colpisce è la percezione, condivisa da diversi studiosi, che
il mito di Guevara stia progressivamente svuotandosi di contenuti
per lasciare spazio ad un’icona pop, commerciale e pubblicitaria.
Per riprendere le parole di Santomassimo, è vero che il Che continua
a parlare alle nuove generazioni, ma lo fa in modo semplificato
e banalizzato rispetto ad un tempo, attraverso un dialogo che tiene
in scarsa considerazione l’originario significato del mito.
Una spiegazione plausibile, a mio avviso, va ricercata nell’inattualità
dell’“autentico” Che. Se infatti c’è una costante nella biografia
di Guevara, essa è un qualcosa che oggi – con il consolidamento
della società del benessere e dei consumi – puzza di stantio. Valori
quali l’enorme spirito di sacrificio e la dedizione assoluta ad una
causa, uniti ad un fanatismo violento e tragico e alla voglia di cambiare
realmente il mondo (con i fatti, non a parole), sono quanto di
più estraneo si possa concepire rispetto alla nostra mentalità consumistica
ed individualista.