Il significato di “alleanza” e “alleato” – sia che si consulti una enciclopedia o un testo di diritto internazionale o un manuale specializzato – si può riassumere nei seguenti termini: alleanza è l’associazione di più Stati per la mutua difesa contro altri Stati (alleanza difensiva) o per assalire un comune avversario (alleanza offensiva); alleato è lo Stato vincolato da una alleanza, in forza della quale le parti contraenti si impegnano a concedersi reciprocamente appoggio, in vista del raggiungimento di un comune scopo politico e/o militare.
Vengono strette alleanze a guerra iniziata, come è accaduto per l’Italia, nel 1915, e per gli Stati Uniti nel 1917 e nel 1941, definendosi tuttavia “associati”, a indicare che intendevano sì condurre la guerra in collaborazione, ma senza stringere vincoli troppo impegnativi.
Quello che i testi non dicono è che le vittorie rafforzano le alleanze, mentre le sconfitte contribuiscono a dissolverle.
Voltafaccia non sono mancati, all’insegna della più cinica realpolitik o di calcoli errati. La casistica, nel 1939-1945, è nutrita.
Clamoroso quello politico e ideologico di Hitler, con il Patto di non aggressione nazi-sovietico del 23 agosto 1939, in spregio al Patto anti Komintern, contro l’Internazionale comunista, sottoscritto con il Giappone e l’Italia. Tokio e Roma non furono avvisati che a cose fatte, con conseguenze laceranti.
La guerra, dopotutto, era scoppiata per difendere l’indipendenza della Polonia, sacrificata disinvoltamente dagli occidentali nelle varie conferenze con Stalin (Teheran, Yalta, Potsdam) e condannata a un cinquantennio di regime comunista.
Churchill, a mo’ di giustificazione, arrivò a dire che con il secondo conflitto mondiale “era stato ucciso il porco sbagliato”.
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