Lo studio di un notaio a Bologna nel quale due donne scoprono di avere un legame comune, un’eredità di uno sconosciuto morto suicida e il dolore del passato che ritorna. Questi sono gli elementi che Morena Baldi e Linda Falchi si troveranno di fronte. Perché Ivan Gatti ha lasciato tutto il suo patrimonio a loro senza conoscerle?
“L’altra faccia del male” è un thriller ambientato tra Bologna e Trieste. Le due donne che il destino ha voluto insieme, dovranno fare i conti con il loro passato per cercare una verità che qualcuno ha nascosto per anni.
I
Il rumore delle gocce che battevano sui vetri la svegliò. Aprì gli occhi e guardò la finestra sopra di lei. L’acqua aveva lasciato dei segni color argento rendendo la vista dell’esterno sfuocata. Aveva scelto quella casa proprio per quel motivo; spesso quando si pensa a una mansarda si è portati a immaginare spazi stretti e angusti, ma in realtà per lei niente poteva essere meglio dello svegliarsi avendo la possibilità di guardare il cielo ancora da sdraiati. Anche se, in giornate come quella, il colore grigio plumbeo non invogliava il risveglio. Restò lì per circa venti minuti, il tempo sufficiente al vento per spazzare via le nuvole e fare posto a un azzurro intenso.
Gli uccelli ripresero a cinguettare consapevoli del cambiamento del tempo. Morena Baldi si alzò. Dopo una veloce doccia, con ancora indosso l’accappatoio, scese verso la cucina. Aprì la porta finestra che portava all’esterno e raggiunse il piccolo gazebo che aveva fatto montare alcuni mesi prima in previsione dell’estate.
Il giardino era il fiore all’occhiello di quella casa. Le piaceva perché, pur essendo molto vicino al centro di Bologna, nascondeva a occhi indiscreti quel bellissimo segreto verde. In quella via le case avevano la stessa logica; entrata al piano terra, primo piano, mansarda e sul retro, un po’ come le case della periferia inglese, un bel giardino che dava la possibilità ai proprietari di godersi le afose giornate estive.
Dopo essersi seduta, chiuse gli occhi concentrandosi sul rumore delle foglie scosse dal vento. Una tortora atterrò sulla sedia di fronte a lei ridestandola dal suo relax, per un attimo incrociarono gli sguardi prima che, con un colpo d’ali, l’uccello riprendesse il volo. Si godette la colazione con pane tostato, marmellata all’arancia e cannella che lei stessa aveva fatto. Non rinunciava mai a quel rito, iniziare la giornata in quel modo la metteva di buon umore, quando era piccola quei momenti erano i più belli della giornata, pensandoci riusciva ancora a sentire il profumo di acqua di colonia che suo padre si spruzzava prima di andare in ufficio. Diede un’occhiata al giardino e pensò che presto avrebbe dovuto piantare le sue piante aromatiche, non vedeva l’ora. Per lei quello era il momento in cui la bella stagione prendeva il posto dell’inverno, e il suo umore da quel cambiamento traeva grande energia.
Dopo qualche minuto passato a pensare al posizionamento delle piante rientrò in casa, si vestì e uscì. Inforcò lo zaino in spalla, prese la bici e dopo aver posizionato una cartella con alcuni fogli all’interno del cestino, partì pedalando veloce verso via Massarenti mentre via Pier Crescenzi iniziava a popolarsi. In pochi minuti arrivò in via Guerrazzi, prelevò delicatamente la cartella con i fogli all’interno per non rovinarli. Erano le bozze per le partecipazioni di nozze da far vedere a una coppia di clienti che avrebbe incontrato tra poco.
La sera prima aveva lavorato fino a tardi per terminarle e renderle presentabili per i clienti, era contenta del risultato, ma ormai aveva abbastanza esperienza da sapere che le coppie in procinto di sposarsi, e in particolare le future spose, erano imprevedibili in quelle situazioni. In dieci anni ne aveva viste di tutti i colori - richieste folli, oppure semplicemente irrealizzabili -, ma fare la wedding planner le piaceva, anche se era un lavoro più difficile di quanto si potesse immaginare. La difficoltà principale stava nel cercare di capire quali fossero le idee degli sposi e poi tramutarle in cose reali. Appoggiò la bici alla parete a fianco del suo negozio e a piedi si diresse verso il bar dove Katia la stava aspettando. Appena oltre la porta d’entrata la vide seduta al solito tavolo in fondo alla sala.
— Eccomi qua. Scusa il ritardo, ma stamattina in giardino si stava benissimo, mi sarebbe piaciuto rimanere lì seduta per tutto il giorno.
Katia stava sorridendo.
— Sai benissimo che non voglio sentirti parlare del tuo giardino la mattina presto. Muoio d’invidia al solo pensiero che tu possa svegliarti, aprire una porta e ritrovarti in un posto fantastico come quello, mentre io sono costretta a guardare il muro scolorito del palazzo di fronte al mio.
Morena si sedette.
— Sono sicura che non saresti così contenta di dover mettere le mani nella terra vista la tua innata capacità di distruggere qualsiasi tipo di pianta ti passi vicino. Finiresti per ritrovarti in un piccolo pezzo di terra brullo molto più simile al deserto che a un giardino.
L’amica annuì.
— Hai ragione. Sarei capace di rovinare tutto senza accorgermene.
Ordinarono i caffè e nell’attesa si raccontarono i programmi per la giornata: Katia aveva due udienze in tribunale che le avrebbero impegnato tutta la mattinata, Morena le raccontò dei suoi appuntamenti, si accordarono di vedersi prima di cena per un aperitivo. Stavano organizzando un weekend in Toscana e avrebbero deciso i luoghi da visitare. Nello stesso istante in cui la giovane cameriera arrivava al loro tavolo con i caffè, la porta del bar si aprì. In controluce, la sagoma di un uomo occupò l’entrata. Era alto e slanciato, ma la sua postura evidenziava la difficoltà di camminare. Si appoggiava a un bastone che lo aiutava nel suo incedere zoppicante. Aveva poco più di sessant’anni, ma il suo fisico ne dimostrava molti di più. I capelli color argento pettinati all’indietro mettevano in risalto gli occhi verdi. Da giovane era stato un bell’uomo.
Si avvicinò alle due amiche sedendosi nel tavolo a fianco, appoggiò il bastone alla sedia libera sulla quale ripose anche il giornale che aveva con sé, poi parlò con tono gentile.
— Buongiorno Morena, come sta oggi la mia wedding planner preferita?
Morena gli sorrise: — Buongiorno signor Gatti. Sto molto bene, anche se stamattina avrei preferito andare al mare. Ma venga a sedere con noi, non vorrà fare colazione da solo?
L’uomo accettò e si accomodò al loro tavolo. Indossava un vestito grigio dal taglio perfetto, una camicia bianca e una cravatta viola. I tratti del suo viso erano gentili e, nonostante l’età e le evidenti difficoltà, si muoveva con eleganza. Ordinò un latte macchiato e due brioches, subito dopo il suo sguardo si fermò su Morena.
— Quante spose renderà felici oggi? — chiese ridendo.
— Spero tutte quelle che incontrerò oggi, ma aspetterò di finire per cantare vittoria. E invece lei cosa farà di bello oggi?
— Niente di che. Andrò a leggere i quotidiani esteri in Sala Borsa e poi credo che nel pomeriggio mi riposerò nell’attesa di rivederla domani mattina.
Morena rise. — Signor Gatti, lei è sempre molto gentile.
Ormai era diventata una consuetudine, Morena ogni mattina faceva colazione in quel bar e quasi ogni mattina quell’uomo le faceva dei complimenti che lei apprezzava.
Tutto era iniziato qualche anno prima, l’uomo arrivava al bar da solo e faceva colazione seduto con le spalle al muro con un’aria malinconica. Morena non aveva resistito e aveva iniziato a parlargli. Da allora i loro incontri mattutini prevedevano quel rito. Per qualche minuto rendeva la giornata di quell’uomo meno vuota. Nel suo sguardo aveva visto una tristezza immensa, non riusciva a pensarlo da solo, quindi cercava in quei pochi istanti a disposizione di aiutarlo a parlare e a sorridere. Alcune volte si convinceva che quel suo comportamento non fosse altro che la trasposizione di quello che avrebbe voluto fare con il padre e quasi sempre, quando pensava in questo modo, si ritrovava ad ammettere che forse non fosse l’anziano uomo ad aver bisogno di aiuto, ma lei che in quella situazione ci si trovava bene.
Continuarono a parlare par alcuni minuti fino a che Morena non dovette alzarsi per andare nel suo negozio. Diede appuntamento a Katia per l’aperitivo e salutò Gatti per poi avviarsi verso l’uscita. Dopo pochi minuti stava predisponendo tutto il materiale da mostrare ai suoi clienti. Aveva preparato sul tavolo le bozze delle partecipazioni e dei segnaposto. Era contenta del risultato, ma come sempre in questi casi nulla era scontato. Erano tante le spose che, dopo aver visto le bozze, avevano cambiato totalmente idea. Morena era abituata, e si rendeva conto di quanto fosse importante che in quel giorno speciale tutto fosse perfetto. Non era diverso per i due giovani sposi che arrivarono in negozio puntuali. Dopo un po’ di convenevoli passarono in visione il materiale preparato. I due ragazzi apprezzarono molto le proposte di Morena, che ne fu felice. Il tema del matrimonio sarebbe stata la musica jazz, si era divertita anche se il lavoro aveva richiesto molto impegno, ma Morena adorava il jazz e questo l’aveva aiutata molto mentre creava le soluzioni da proporre. La visita durò circa un’ora, tra la scelta delle bomboniere e l’impaginazione dei menù il tempo passò in fretta. Morena li osservò mentre uscivano dal suo negozio, erano innamorati e tra qualche mese avrebbero fatto il grande passo di confermare davanti a Dio il loro amore. Poi i suoi pensieri furono ridestati dalla suoneria del cellulare. Il numero di sua madre apparve sul display.
— Ciao mamma come stai?
— Come vuoi che stia, sto bene — fu la risposta secca. — Ti volevo solo dire che arrivo più tardi in negozio, devo passare dalla sarta a prendere un vestito.
Morena cercò di mantenere la calma usando il tono di voce più basso possibile: — Ci passo io, in bicicletta ci metterò pochissimo.
— Adesso non posso nemmeno più andare in giro? Vuoi che resti chiusa in casa? Non ci pensare nemmeno. Se continuiamo così finirà che mi troverò una badante in casa, ma ti avviso che non voglio nessuno in casa mia.
Morena era consapevole che con sua madre ogni volta poteva scatenarsi una discussione. Negli anni aveva acquisito la capacità di riuscire a disinnescare le potenziali litigate, ma in alcuni momenti non riusciva a trattenersi.
— Mamma è per il tuo bene, vieni in negozio che mi dai una mano, preferisco che tu non vada in giro, perché poi succede come la settimana scorsa che ti sei bloccata con la schiena dal fornaio.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
— Il fornaio doveva farsi i fatti suoi, non doveva telefonarti. Io stavo benissimo e sarei tornata a casa senza problemi, invece lui ha dovuto chiamarti, doveva fare la sua buona azione giornaliera. Comunque adesso esco e poi ci vediamo più tardi.
Morena si ritrovò a osservare il telefono ormai muto. Adorava sua madre, aveva un rapporto speciale con lei, ma in alcune situazioni doveva ricorrere a tutta la sua pazienza per non scontrarsi, anche perché sapeva che ne sarebbe uscita sconfitta. Sua madre era testarda più di lei.