a cura di Armando Bisanti e Pietro Palmeri
Presentazione di Alessandro Musco
Composto prima del 1116, il De eodem et diverso è dedicato a Guglielmo, vescovo di Siracusa (che tiene il seggio episcopale della città siciliana dal 1108 appunto al 1116), cui Adelardo indirizza la praefatio.
In essa, fin dall’inizio, egli motiva le cause che lo hanno spinto alla composizione dell’opera inserendole in una sorta di “querelle des anciens et modernes” fondata, canonicamente, sul confronto tra i dotti del passato e quelli del presente.
Dopo aver brevemente fatto riferimento al tema (topico e incipitario) dell’invidia e alla scelta di scrivere un testo, anche di non elevate dimensioni (quale appunto è il De eodem et diverso), proprio allo scopo di evitare che i moderni siano colpiti dal contagio dell’invidia e possano essere accusati di ignoranza, secondo un modulo consueto (caratteristico anch’esso delle lettere di dedica dall’antichità fin quasi ai giorni nostri), lo scrittore inglese afferma di essersi risolto a comporre il testo temendo la stessa cosa (cioè di esser tacciato di ignoranza) e avendo paura di scrivere in risposta all’ingiusta accusa di un nipote, sopportando pazientemente la paura delle critiche e rispondendo, per quanto gli è possibile, all’ingiusta accusa.
Il De eodem et diverso si configura come un dialogo fra lo stesso Adelardo e il prediletto nipote. Solo che qui, più ancora che nelle successive Questiones naturales e nel De avibus tractatus, il ruolo del nipote si riduce a ben poco, a una sorta di “ascoltatore” paziente e silenzioso di ciò che lo zio gli va via via riferendo ed esponendo. L’opera, infatti, è costruita alla stregua di un “monologo” nel quale Adelardo, allo scopo di discorrere dell’“identico” e del “diverso” (secondo la bipartizione esposta nel Timeo di Platone – a lui noto tramite la versione di Calcidio – e che egli definisce princeps philosophorum), narra di una straordinaria avventura occorsagli l’anno precedente, introducendo le figurazioni allegoriche di Filosofia e Filocosmia (rispettivamente, appunto, l’identico e il diverso).