Nonostante lo stile da sceneggiatura, L’uomo che rubò la “Gioconda” (1920) fu concepito come un vero racconto. Solo nel 1943 D’Annunzio pensò di farne un soggetto cinematografico e lo pubblicò in Francia. Ma il film non fu realizzato.
Il racconto prende spunto da un clamoroso fatto di cronaca, il furto della Gioconda al Louvre, ed è l’unico testo di D’Annunzio compiutamente e consapevolmente “fantastico” anche nella tematica.
La sua relativa novità rispetto agli innumerevoli precedenti dedicati a ritratti o quadri che si animano, sta nel fatto che non si tratta, in questo caso, di un’immagine, più o meno maligna, che prende vita sua sponte, ma, al contrario, di “un’apparizione di vita” creata, provocata, mediante un procedimento (alchemico). L’esperimento, però, si risolve in un scacco: esso fa “uscire” dal quadro Monna Lisa, la modella di Leonardo, non la Gioconda.
Ben poche volte D’Annunzio ha espresso così chiaramente la distanza che separa l’arte dal mondo reale: il suo carattere trascendente, che trasforma i fantasmi del tempo.