Qualcuno disse, "...il passato é un lusso da proprietari". Ecco allora la bottiglia. Un luogo minimo e da cui traspare ciò che la penna ha intinto non già in un calamaio, ma nella vita stessa. Dentro di lei vediamo disporsi polene dal profilo inconfondibile, intagliate nei dettagli e nella personalità delle figure umane da loro evocate. Figure indelebili, a partire dalla voce narrante. Questa, ritrae se stessa nell'avvicendarsi vivido e mortale delle due ultime guerre mondiali: tra il Piave e il 5 settembre del '38, tra Caporetto e il "bosco di faggi" (Buchenwald). Dove l'abito oscuro, del bimbo prima, poi del ragazzo ed infine "dell'adulto qualsiasi", viene ritagliato nelle forme dell'epoca, decorato dalle "stellette ed i gradi" assegnatigli in battaglia, non solo quella combattuta armi in pugno. Il protagonista, quindi, non ricostruisce il proprio passato. Rivede e vede, traendo spunto dalla ragione e dagli affetti, il proprio connotato. Che é atemporale, sottratto ai desueti "diari di bordo"e affidato, invece, alle luci cinguettanti degli amici, dei famigliari, degli sconosciuti, del misterioso musicista ebreo approdato in villa, quella manicomiale, dell'Ambrogiana; della donna e dei figli da lui amati, della "bimba dagli occhi striati di cielo", che gli sopravviverà. Tutti riflessi affidati a quella bottiglia che, tra esplosioni di gioia o di sofferenza, di risa irrefrenabili o di violenza, anch'essa irrefrenabile nel suo purtroppo anelato e "Manifesto" discrimine razziale dell'epoca, ancora oggi non soggiace al tempo ed é, anzi, più trasparente che mai e depositata nelle nostre mani. Poiché...é Storia vera.
Primo capitolo"Sono qui di passaggio - sembra dire la testimone prescelta - eppure, m'hanno scovato e mi hanno chiesto di raccogliere (trattenere?) di quest'uomo transitante, i richiami scomposti dell'anima per consegnarli intatti alla sua consapevolezza".
Ad una bottiglia...