Fraka inventore della dolce vita, cronista che sapeva fotografare con le parole, filosofo, poeta, commediografo, umorista e curioso delle donne.
Questo è stato il veronese Arnaldo Fraccaroli (Villa Bartolomea 1882-Milano 1956), per quasi 50 anni inviato del Corriere della Sera.
Grazie alla sua versatilità, Fraka – così amava anche firmarsi – produsse migliaia di articoli d’ogni genere e oltre cento tra romanzi, libri di viaggi, novelle, saggi, lavori teatrali e biografie (tre sull’amico Puccini).
Aveva prima di tutto classe da vendere e una capacità straordinaria di passare dal reportage di guerra alla commedia brillante.
Inventò inoltre l’espressione “dolce vita”, così titolando una sua opera.
Fu inotre, durante il primo conflitto mondiale, uno dei migliori corrispondenti dal fronte.
Rese celebre la frase “meglio vivere un’ora da leone che cent’anni da pecora” e per il suo comportamento in battaglia ottenne una croce e una medaglia al valor militare.
È stato uno dei primi cronisti a volare su dirigibili e aeroplani e a visitare Hollywood. Scoprì e fece conoscere l’America degli “anni ruggenti” e il jazz.
Dal 1920 al 1940, girò tutti i continenti, svelando agli italiani il mondo e le novità del secolo.
Dalla prefazione di Gian Antonio Stella
Truppe in disordine. Defluire informe, caotico. Dove sono i comandanti? Dove sono gli ufficiali?... Il ripiegamento è anche reso difficile dall’ingombro delle strade, dalla piena del fiume... Ai ponti di Pinzano e della Delizia spaventosa affluenza di profughi e soldati. Agglomerato di carri e di automobili, di carrette, di donne con bambini, di vecchi, di malati trascinanti il loro dolore, di contadini, con buoi con maiali con attrezzi... Orgasmo, miseria, terrore. La fretta di ognuno è un nuovo ingombro...
Sarebbe stato un capolavoro, quel reportage di Arnaldo Fraccaroli sulla rotta di Caporetto. Un capolavoro, se fosse stato pubblicato. Ma «dopo quei tragici giorni di fine ottobre 1917, i giornalisti non possono più trasmettere corrispondenze», spiega Gianpietro Olivetto nel libro La Dolce Vita di Fraka, dedicato a quello che fu uno dei più grandi giornalisti italiani dell’epoca, «L’ordine tassativo è di non scrivere. Così l’informazione sul dramma che si consuma nella conca di Caporetto e lungo le valli dell’Isonzo e del Natisone è praticamente assente. Solo nel carteggio privato tra Fraccaroli e i vertici del Corriere c’è traccia della ritirata e della tragedia in atto».
Peccato. Perché il Fraka, come veniva chiamato dai suoi affezionatissimi lettori e come lui stesso a volte si firmava, aveva sulla cronaca un talento raro. Oltre un mese dopo la disfatta, esce finalmente un reportage:
Due visioni balenano nel ricordo. Fine di ottobre: cielo livido, pioggia senza tregua, freddo. Desolazione nell’aria e nei cuori. La campagna veneta affoga nell’acqua e nel disastro. E nel grigiore gocciolante, colonne interminabili di soldati e colonne di popolo, e carri, e automobili, e carrette di contadini, e carrozze oscillanti: senza guida, senz’ordine, senza meta precisa. E sui carri, accatastate in una confusione disperata, le cose più diverse: cassette di munizioni e tavoli, apparecchi telefonici e materassi: e soldati esausti e bambini – cose anche costoro – senza più anima. E un’ansia in tutti: di far presto, di sorpassarsi, di arrivare: Dove? Non si sa. Lontano, via da lì.
È così bravo e così sveglio che quando c’è un problema da qualche parte del mondo il primo nome che viene in mente ad Albertini, con quello di Luigi Barzini, è il suo. Come la sera del 26 luglio 1914. Il Fraka, dopo aver cenato con amici, fa un salto al giornale. Appena lo vedono lo bloccano: c’è la guerra! «Finalmente!» gli dice il direttore che lo cercava disperatamente da ore, «Bisogna che lei vada in Ungheria per andare in Serbia. Sono le 23,20. Ha tutto pronto per partire?». «No». «Bene, allora parta subito. Se prende il treno della mezzanotte e cinque, domani sera è a Budapest».
Ha tre quarti d’ora. Passa per casa, butta tutto in un baule, si precipita alla stazione e parte. Ma non è solo svelto. Ha classe da vendere. Un solo assaggio, sui cosacchi a Leopoli. Con gli uomini «curvi sui cavalli, innestati nei cavalli»: «Una loro carica è il turbine che passa: una raffica irsuta di lance, un flagello. Qualcuno cade? Non importa. Avanti! Ventate di palle falciano decine di cavalieri? Non importa. Avanti gli altri!»
Eppure ricordarlo solo per le sue leggendarie cronache dai fronti di tante guerre sarebbe riduttivo. Nato nel 1882 a Villa Bartolomea, bassa veronese, primo pezzo firmato a dodici anni, prima commedia a sedici, primo romanzo a venti, il Fraka riuscì infatti a pubblicare 16 libri di viaggi; 34 romanzi, saggi e raccolte di novelle; 16 biografie di grandi personaggi e protagonisti della vita musicale, su tutti il grande amico Giacomo Puccini; 10 volumi di corrispondenza dai fronti di guerra; 32 commedie e lavori teatrali, alcune delle quali di enorme successo come Siamo tutti milanesi benedetta da 282 repliche o La dolce vita il cui titolo sarà ripreso da Federico Fellini e ancora quattro operette giovanili a firma “Frustino”.
Più un’infinità di cose minori, ma spesso deliziose come la rubrica seguitissima Lettere del soldato Baldoria sulla rivista di trincea La Tradotta, dove firmandosi appunto Pasquale Baldoria scriveva all’amata Teresina parole ardenti: «Ciao amore a grandissimo calibro, ti mando un bacio da 305». «Scrivimi subito con immediata rappresaglia». «Amore mio intangibile, scatola di carne in conserva delle mie aspirazioni». «Ti voglio dare un bacio a tiro radente».
Più ancora un numero spropositato di articoli, corsivi, reportage sul Corriere, La Domenica del Corriere e La Lettura. «Nel numero del settembre 1940, Fraccaroli scrisse Invito al pranzo esotico e mi portò con la fantasia in Cina, in Tanganika, nella pampa argentina, a Giava per un piatto di riso con quarantotto ingredienti», scriverà Giulio Nascimbeni, «C’era la guerra, nelle famiglie si parlava di carte annonarie. Fraccaroli opponeva con le sue parole bivacchi, distese immense, capanne, isole felici. Era come far ruotare un mappamondo».