“Con curiosità e prudenza bisogna addentrarsi nelle pagine degli scritti di Giuseppe Berto”; Questo l’incipit usato da Paola Dottore, nell’introduzione di questo saggio che ha l’intento di fornire un contributo dal punto di vista linguistico, alla conoscenza di un autore per il quale forte è l’ansia di comunicare così che “meglio scrivere un libro imperfetto su dei problemi vivi ed attuali che scrivere libri perfettissimi su argomenti che non interessano a nessuno”. “La forma della coscienza. Il male oscuro di Giuseppe Berto” ha vinto il Primo Premio Assoluto del Concorso “Antonio Filoteo Omodei- Pensieri in Versi”, sezione 4. libro edito, Saggio.
Primo capitoloLA PUNTEGGIATURA
Aprendo a caso il romanzo di Berto, gli occhi cominciano a vagare da una parola a quella successiva in cerca di una lettera maiuscola da dove iniziare una lettura casuale per poter assaggiare il testo. Delusi dal risultato, sono coinvolti dall’andamento celere della narrazione, dal susseguirsi di frasi, anzi di un periodo unico che si estende per pagine e pagine. Il lettore potrebbe ritentare il gioco aprendo un’altra sezione dell’opera ma il suo stupore si ripeterebbe. Così si rassegna e gli si presentano due opzioni: dimenticare quel testo o osare la lettura dal “Penso” della prima pagina; un incipit sintomatico poiché rivela il contenuto del romanzo: un lungo pensiero, un’inarrestabile sequenza di ricordi fra loro collegati. Considerata la singolare struttura sintattica e la quasi assenza di segnali interpuntivi, esso costituisce un esempio unico per la letteratura italiana. È risaputa la difficoltà di canonizzare un uso di punteggiatura: nella storia della lingua, dai Greci a noi, tanti sono stati i teorizzatori e tanti anche gli scrittori che si sono soffermati a suggerire la funzione sintattico-semantica degli interpuntivi; tant’è che la Garavelli non parla di norme ma di “usi accettabili, e quindi di variazioni nell’impiego della punteggiatura rispetto a un paradigma di regolarità fissato convenzionalmente”. Ai primi decenni del Novecento risale la nuova discussione sull’uso dell’interpunzione, se fosse da modificare espellendo alcuni segnali (il punto esclamativo, secondo Ojetti) o favorendo la creazione di nuovi per un maggior ordine sulla pagina (come propose sul finire del secolo precedente Carlo Dossi). D’Annunzio fu il primo grande scrittore italiano a lottare apertamente contro la punteggiatura. Dichiarò “Ero nemico delle virgole come la cicogna invisa colubris è nimica delle serpi” e affermò: “costrutto molto virgolato è costrutto molto bacato. Alle troppe virgole si riconosce che la soluzione è marcescente”. Berto si istruì alla lezione di D’Annunzio, autore principe nell’educazione scolastica dell’epoca, e lo approfondì durante la prigionia in Texas. Fuor di dubbio che la personale biblioteca di un autore guidi anche la sua penna. Dunque, se in generale oggi un insufficiente ricorso all’interpungere viene chiarito con un disordine nelle idee di pianificazione, una mancanza di padronanza della testualità da parte dello scrittore, non è però la spiegazione giusta per Berto: sia perché analizzando le altre sue opere si ammira un uso equilibrato della punteggiatura che palesa un’armonica strutturazione del testo, sia perché Il male oscuro è un’opera, che dir si voglia, studiata e ben organizzata dall’autore; d’altronde, il testo creativo è per sua natura il più libero da convenzioni e norme. L’uso originale che lo scrittore Berto fa della punteggiatura mantiene comunque la sua funzione ordinatrice delle strutture sintattiche e si veste di importanza dal punto di vista stilistico ed espressivo. C. Salinari trova i precedenti di questa tecnica di scrittura, che definisce “automatica”, negli scrittori surrealisti e in alcuni “avanguardisti” ma, sebbene individui questo legame, riconosce che Berto utilizza tale procedimento di ars punctandi “con molta discrezione e autonomia, tanto che, anche senza la normale punteggiatura, il periodo non perde mai la sua struttura logica e risulta sapientemente costruito con l’intreccio degli incisi, delle subordinate e delle coordinate”. La prosa della narrazione è scandita allora da pause logiche anziché grafiche: “si tratta di un testo dal respiro lungo e la catena del flusso non avrebbe potuto interrompersi (grammaticalmente) se non a rischio di troncare la tensione”. Virgole e punti, allora. Ma non solo.
La sezione bianca
I segni interpuntivi considerati più marcati sono il capoverso e le sezioni bianche. Ne Il male oscuro le sezioni bianche che campeggiano alte sulla pagina risultano essere di massima importanza a causa della loro funzione di divisione fra la varie parti dell’opera. Infatti, il romanzo non è articolato in capitoli numerati o nominati, cosicché la non scrittura serve a segnalare un nuovo inizio di narrazione. Queste zone bianche potrebbero corrispondere a quelle fosse enormi di silenzio, per usare la locuzione del poeta A. Zanzotto, che si creano durante la seduta psicoanalitica. Oppure, secondo il nostro parere, questi ‘attimi di pausa’ rappresentano i momenti di prevalenza della razionalità che si sforza di riassettare stilisticamente il materiale che affiora in modo continuo dalla mente dello scrittore in un misto di verità e fantasia. Il testo viene allora segmentato in undici parti, l’ultima delle quali rappresenta un caso ancora più singolare dei precedenti perché si estende per ventiquattro pagine senza punti fermi, scandita soltanto da virgole. Lo stesso Berto ammise che i periodi gli venivano “fuori lunghi lunghi al pari di vermi solitari”. La divisione del corpus in undici parti non viene annunciata da alcun indice ma per comodità in queste pagine chiameremo queste parti capitoli e li indicheremo numericamente.