Abbiamo dimenticato la mappa della festa. Che festa? La gratitudine di “essere nati,” la meraviglia di essere “donati” a noi stessi e agli altri in ogni istante d’aria e di cielo.
La poesia è risveglio, memoria del pane e dell’acqua, della fame del figlio che torna e del padre che attende, anche lui affamato. È solo questo risveglio amoroso che può strappare dal nulla la persona, imprigionata oggi nelle nuove forme di potere fatte di procedure burocratiche e meccanismi alienanti: un nuovo, sofisticato porcile che isola, che riscatena il rancore del fratello maggiore che rimane chiuso nella misura della sua legge senza misericordia.
Quanto diverso il cuore della donna che entra improvvisa, de-mente, asciuga i piedi della luce con i suoi capelli… E ritrova, di schianto, la mappa del cuore nel vento, la geografia della luce, la tegola calda dei tetti.
A quest’ora s’abbassano i gabbiani
seguono le navi nel porto di Odessa,
sole sulla banchina si cercano le mani.
Si è messa in ginocchio l’Ucraina,
ascolta vicina il vento dei Carpazi
e lava senza strazio i piedi di mia madre.
Badanti profughe ora della guerra,
proteggete ancora la nostra terra
dove sprofonda il continente e il vento.
Madre di mia madre demente
senza permesso di soggiorno e denti,
spezza la luce di gesso vivente.
Dacci il grido del gabbiano e il pigiama,
il nido della nave che ama
la banchina di sole che chiama.
Se non avrai il perdono negli occhi
come specchio che ride nel temporale
non potrai vedere rossa la mela nella mano
la spiga che piange piano
sul davanzale a cuocere il pane.
Il perdono? Alzati. Chiedilo al sonno
quando lasci la mano di tuo padre
sotto i guanciali e tormenti le ghiande
negli occhi azzurri dei maiali.
Presto. Anche il fiore si strappa e corre
sullo strame e il vitello cerca la mappa
della festa. Presto. Il padre ha fame.
Se potessi come te, padre, amare i capelli
sul capo spiovuto degli uomini
quando crescono e nessuno li vede
eppure accade proprio lì di fronte a loro…
Se me lo ridicessi tu che nessun capello di lei
verrà perduto o strappato,
potrei dire allora che esiste un amore
all’altezza della nuca di bambino
quando si strappa i capelli al mattino
perché non ha visto crescere un fiore
Ma ora vorrei asciugare questi fiori
come fossero i piedi del giorno
quando tu entri a strappare un bacio
all’oscurità delle mosche e del mare.
A V. Havel (Il potere dei senza potere)
E tu aiutaci, la menzogna nostra
strappala tra il vino e il detersivo,
i lampadari e il vento sovversivo
e metti ancora una rosa d’acciaio
sul cuore bruciato della campagna
che racconta tra i crolli delle formiche
le mura della tua cella tra la folla
e le ore dei McDonald’s di Praga
nella pioggia di nessuno e la tigre della noia.
In questo niente che ci abita
questo è il potere dei senza potere:
il continente della tua gioia.
A Wislawa Szymborska
Quando lui non mi guarda,
cerco la mia immagine
sul muro. E vedo solo
un chiodo, senza quadro.
Szymborska
Tra la borsetta e la fiala
per te viveva la formica.
Non siamo mica al mondo
per chiudere ed aprire le finestre
versare il latte nel bicchiere e dimenticare l’ombrello.
Siamo al mondo
per chiudere ed aprire le finestre,
versare il latte nel bicchiere e dimenticare l’ombrello
e poi cercarlo sotto la pioggia,
aperto nel campo di grano
oltre il filo spinato,
rosso e spaccato d’amore
come un melograno.