Che siano tigelle o crescentine, testi o testaroli, spianate o gnocchi, gnocco fritto o torta fritta l’importante è mangiare... e bene!
La diatriba sui “nomi”, sui termini corretti da usare è di solito terreno di confronto di chi non ama eccessivamente la tavola... perché a tavola ci si capisce sempre.
Ecco allora una guida “dissacrante” ai pani poveri dell’Emilia-Romagna dove metodi e strumenti di cottura e prodotti spesso hanno lo stesso nome e dove le ricette rispecchiano l’animo di chi le realizza.
Un pratico vademecum su come realizzare i “pani dei poveri” oggi ormai assunti al rango di street food se non addirittura di prodotto tipico IGP.
Quando non c’era il gas... sarebbe potuto essere un titolo alternativo per questo libro, infatti scopriremo insieme che la differente distribuzione tra bassa e media pianura, collina e montagna di queste eccellenze gastronomiche sia strettamente legata ai sistemi di cottura a disposizione delle popolazioni nei diversi momenti dell’anno.
Un libro racconto che intreccia riferimenti storico-antropologici, con ricette e aneddoti più o meno fantasiosi.
I riti e i segni propiziatori sono un altro elemento che accomuna gran parte delle ricette riportate.
Diventiamo allora tutti stregoni dominando il fuoco per realizzare con estrema semplicità le numerose ricette presenti nel libro.
Introduzione
C’era una volta un gruppo di rivoluzionari che amava sfidare gli sbirri papalini. Ogni venerdì questi simpatici buontemponi si davano appuntamento in un’osteria, sempre diversa, lungo la via Emilia per mangiare focacce, piadine e tigelle condite con spesse fette di lardo.
Una sera una moglie che non capiva le continue uscite del marito e i suoi rientri “appagati”, fece una soffiata agli sbirri che irruppero nell’osteria dove si trovavano i rivoluzionari sicuri di trovare i sovversivi intenti a “mangiare di grasso”.
Loro però si erano liberati del “corpo del reato” gettando il pezzo di lardo dentro una pentola vicino al fuoco con l’intento di nasconderlo. Quando gli sbirri perquisirono il locale scoperchiarono anche la pentola, vi trovarono all’interno del grasso fuso e chiesero a cosa servisse. Il più burlone del gruppo buttò lì l’idea che il grasso veniva utilizzato per cuocere un pane speciale. Gli sbirri gli chiesero una dimostrazione e lui fu costretto ad inventarsi qualcosa per non finire in prigione. Non si perse d’animo, prese un pezzo di pasta, la stiracchiò a modo e la immerse nel grasso fuso caldo. Non lo sapeva ancora ma, tra la burla, lo sberleffo e la paura era nato lo gnocco fritto, una delle delizie del creato.
Gnocco fritto, tigella, piadina. In questo libro troverete ricette che riportano la presenza o meno del lievito, l’uso di olio o di strutto, di acqua, latte o birra, e una non toglie all’altra il titolo di ricetta tradizionale perché la cucina tradizionale non è altro che un susseguirsi, un affinarsi di piccoli ma continui cambiamenti alle ricette precedenti. Partendo dalla necessità che sta alla base delle “primitive” ricette, e cioè inventarsi modi e forme per alimentarsi con le materie prime che si avevano a disposizione, le successive modifiche sono semplicemente modi di migliorare la qualità del cibo man mano che si avevano a disposizione migliori o differenti ingredienti. I gusti sono cambiati, ma soprattutto il regime alimentare non è più quello di sopravvivenza. Nessuno è più disposto a consumare piatti o prodotti dai gusti gretti e duri... da digerire solo in nome della tradizione. Un esempio su tutti può essere il “vino rifermentato in bottiglia”, o vino del contadino anni ’50, che si presenta con aromi e torbidità non più consoni ai moderni modelli di consumo. Una volta, più era difficile e complicato arrivare alla casa del contadino e più la cantina era piena di ragnatele, più il vino era considerato buono. Oggi, se la cantina non ha un ampio e accogliente spazio degustazione e una buona gamma di vini, difficilmente la prendiamo in considerazione, e anche quando sono queste cantine a riproporre il vino rifermentato in bottiglia queste lo fanno quasi più per un certo gusto nostalgico o di marketing teso a suggellare una continuità di tradizione produttiva con il passato, più che per rispondere ad una domanda di mercato.
Tornando invece ai prodotti presenti in questo libro, l’esempio, lo possiamo fare tra i metodi di cottura dello gnocco fritto, cottura che può essere fatta con l’utilizzo di strutto, di olio di oliva o con l’olio di girasole. I “puristi” prediligono lo strutto, anche a scapito di un retrogusto amarognolo; il consumatore comune di solito si accontenta dell’olio di oliva, mentre il ristoratore esperto in fritture utilizza esclusivamente olio di semi di girasole. Esistono comunque delle motivazioni tecniche, almeno per i locali pubblici, che impongono la scelta di oli diversi per friggere, infatti lo strutto di maiale ha un punto di fumo molto alto (ca. 230 °C) e le moderne norme di sicurezza imposte a bar, ristoranti, mense e comunità rendono difficile reperire in commercio friggitrici che superano la temperatura di 190 °C. Quindi i ristoratori sono costretti ad utilizzare vari oli al posto dello strutto, che utilizzato alla temperatura di 190 °C lascerebbe lo gnocco eccessivamente unto. Ecco allora che il confronto passa dagli ingredienti ai metodi di cottura fino ad arrivare al nome che questi prodotti avevano, hanno... e avranno.
Un viaggio attraverso gli strumenti, gli ingredienti, i riti e i segni propiziatori, i metodi di cottura e le ricette. Senza dimenticare di segnalarvi i musei del cibo e farvi compagnia con un racconto “di coccio” al punto giusto.