Modena e il suo territorio preservano “ Un mod ed viver” lontano nel tempo, ancestrale, ma che unisce ancora, per lo meno livello inconscio, uomini e donne di questo lembo di terra emiliana. Una sorta di realtà impalpabile, ma viva, con i propri misteri, leggende, superstizioni e riti propiziatori.
Impressionanti, i reperti di Mutina romana, con le ricche sepolture monumentali riportate in luce, o i marmi delle ricche domus riutilizzati per edificare Modena medievale. Il Duomo romanico con i simboli esoterici e le spoglie del protettore San Geminiano, la svettante Ghirlandina e la Secchia Rapita. Piazza Mazzini con la Sinagoga e la sua cultura ebraica, l’alchimia e la cabala. I discussi Templari, le eresie attraverso le storie del Tribunale dell’Inquisizione. I canali sotterranei con le soprastanti antiche dimore e l’imponente Palazzo Ducale. E poi: ossa di Drago, mummie, fantasmi, passaggi segreti, favolosi tesori nascosti, ponti del diavolo e ampolle col sangue di Cristo. Un mondo fantastico, a volte spettrale, che dai caleidoscopici paesi di pianura, si sposta fin sulle montagne, dove alcuni luoghi prendono il nome da avvenimenti fantastici o da strani fatti realmente accaduti.
Credenze popolari che continuano ad aleggiare in queste contrade, grazie anche alla civiltà contadina che ha conservato più a lungo diverse cerimonie magico – religiose, oltre cure palliative e l’uso delle erbe. Sempre gli stessi, con qualche variante, gli ingredienti utilizzati dai guaritori: semplici cose, che usate in modo particolare all’interno dei vari riti, acquistano un valore terapeutico, particolare e fascinoso.
Un universo nel quale la fantasia si esprime nelle forme e nei modi più creativi ed impensati, è costituito dalle cosiddette superstizioni: fatture, malocchi, amuleti, sortilegi, malefici, filtri d’amore o di morte, incantesimi, esorcismi, presagi e divinazioni; sogni, astrologia, santi e reliquie, usi magici del corpo umano e delle sue parti. Nella pratica delle fatture e dei malocchi, come anche nella guarigione di particolari malattie, non mancano recitazioni di formule, versetti in rima, giaculatorie e cantilene varie, ove la parola celebra i suoi trionfi. Tra le “presenze spettrali” più inquietanti, ancora ben presenti nell’immaginario collettivo, vi sono i fantasmi. Spesso chi credeva in loro, era convinto che l’anima di una persona defunta potesse in qualche modo riuscire a manifestarsi nel mondo terreno, per chiedere aiuto o portare a termine qualcosa che il defunto non aveva finito.
Una serie di credenze molto antiche, appartenenti al patrimonio culturale della variegata popolazione modenese, frutto di una tradizione orale e che nella narrazione, mescola il reale al meraviglioso.
Primo capitolo
Gli affascinanti misteri di Mutina
Cosa c’è di più misterioso e affascinante, che camminare sul nostro glorioso passato, celato da cinque metri di terreno alluvionale ?. Una preziosa coperta che ha preservato per oltre 2200 anni, le vestigia di una città romana che nelle sue ricostruzioni virtuali, sbalordisce.
Di probabile origine etrusca, anche se sono poche le testimonianze archeologiche a confermarlo, Mutina, a parere degli storici più accreditati, esisteva già dal III secolo a.C. Colonia dell’impero, sorta nel 183 a.C. (inizialmente per scopi militari, in un’area considerata ancora a rischio, sarà poi distrutta nel 177 d.C. da un’incursione dei Liguri), verrà trasformata in una elegante e prospera città dal ceto medio di origine contadina, proveniente dall’Italia centrale e meridionale, in fuga da secoli di interminabili guerre.
L’insediamento è venuto alla luce nel corso degli anni, come testimoniano i numerosi reperti archeologici conservati nei locali musei. Nodo strategico per la viabilità del settentrione d’Italia, la città seguiva il corso della Via Emilia, l’importante arteria stradale iniziata nel 187 a.C. dal console Marco Emilio Lepido, per collegare Ariminum (Rimini) a Placentia (Piacenza). Oltre alla Via Emilia, dal centro, passavano o iniziavano altri assi stradali, tra i più strategici: uno in direzione Sud Est verso la valle del Panaro, che attraversato l’Appennino, raggiungeva l’Italia centrale; l’altro, diretto a Nord, in parte coincidente con la direttrice del cardine massimo, era la Mutina – Colicaria – Hostilia – Verona, arteria vitale per le comunicazioni fra l’area padana e il Norico. *
Un’altra diramazione, staccandosi dalla Via Emilia, raggiungeva Mantova e forse ricalcava la sede stradale ritrovata nel 1635 durante la costruzione della Cittadella; un altro tratto della strada, di circa 100 metri, è stato portato alla luce durante gli scavi nel parco Novi Sad, per la realizzazione di un parcheggio sotterraneo.
Oltre alle strade, anche diversi corsi d’acqua lambivano o attraversavano la città, tra cui Saniturnus, probabile antico ramo dell’attuale torrente Tiepido, che in età romana forse scorreva ad oriente della città, ed altri di una certa portata, come l’antico corso del torrente Cerca, che oggi passa sotto l’omonima via.
Nel centro, oltre ai grandi edifici pubblici destinati alla vita amministrativa e religiosa, agli spettacoli e alla cura della persona, esisteva anche un gran numero di case private. Spesso erano dimore modeste ma non mancavano ricche domus, come indicano i rinvenimenti di mosaici, statue, pregevoli elementi architettonici, leoni marmorei, suppellettili e perfino un triclinio praticamente integro, recuperato in corso Canalgrande angolo via Università, nei pressi del cinema Capitol.
Diversi anche gli edifici pubblici e per spettacoli: l’anfiteatro, ancora individuabile nel tracciato di alcune vie del centro storico; il foro, il luogo pubblico più importante di una città romana, dove si svolgevano le principali attività politiche, amministrative e sociali della polis: un insieme di edifici dall’elegante architettura, con la piazza circondata da archi monumentali e le statue degli imperatori. Non potevano mancare le terme, che nella civiltà dell’antica Roma svolgevano funzioni non solo igienico - sanitarie, ma anche sociali e culturali: oltre agli ambienti termali propriamente detti erano infatti dotate di palestre, piscine, locali per cure estetiche come massaggi e depilazione, e a volte di sale appositamente attrezzate per conferenze, letture o esibizioni musicali (vedi capitolo acque).
Le necropoli
Nel 2004, su un tratto della Via Emilia in direzione Bologna, durante alcuni lavori per la costruzione di una nuova concessionaria auto (Bmw), in un area di circa seimila metri quadri, è stata rinvenuta la zona funeraria d’epoca romana. La scoperta si aggiunge alle altre testimonianze archeologiche già individuate sul limite orientale del centro urbano antico, nella zona compresa tra Porta Bologna fino a Saliceto Panaro e via Giordano. In quel periodo storico, le zone funerarie erano ubicate lungo le principali strade che uscivano dalla città, la più importante era di sicuro la via Emilia, coincidente col decumano massimo, il principale asse stradale che attraversava l’impianto urbano in direzione est-ovest.
Sotto i diversi strati alluvionali, sono stati individuati stupefacenti resti archeologici databili dal IV sec d.C. al 300 d.C., tra i quali: basamenti marmorei, trabeazioni e cornici decorate, appartenenti a ricche sepolture monumentali, forse ad edicola.
Molto interessanti poi, almeno nove recinti funerari, appartenenti a famiglie e a membri di associazioni professionali e artigianali. Un ritrovamento unico, per la contemporanea presenza nello stesso luogo di sepoltura: della tomba, del suo corredo funebre e relativa iscrizione. Le steli funerarie “una sorta di libro di pietra” indicano i nomi dei defunti, la loro comunità di appartenenza ed il rango sociale.
Un emozionante salto nel passato, dal quale emergono i nomi “reali” dei nostri predecessori, tra cui quelli dei liberti e delle loro illustri famiglie padronali, come quelle dei Vibii e dei Licinii. Tra le iscrizioni riferite a liberti, una cita Licinius Macrus, schiavo liberato dalla famiglia Licinia; un’altra, due liberti di Publius Villius, con Primus che dedica il monumento sepolcrale al conliberto e patrono Neobulus; tra le tombe di famiglia, quella di P. Octavius Pedo, figlio dell’illegittimo Spurius. Straordinario poi, il recinto funerario, praticamente intatto, composto da quattro cippi angolari di delimitazione, con al centro la stele commemorativa della famiglia di LICINIVS MACRVS (Licinius Macrus), liberto di SARDVS (Sardus).
Inoltre, all’interno di circa 50 tombe, sono state trovate le ceneri e i resti ossei combusti dei defunti e parti di letti funerari in osso lavorato con fini decorazioni vegetali e a figura umana. Tra gli oggetti di corredo deposti al momento della cremazione, ci sono balsamari - porta profumi in vetro colorato in giallo e blu, lucerne a volute con marchio di fabbrica, monete, coppette e bicchieri a pareti sottili, in ceramica. All’esterno, sono stati recuperati anche vasetti in ceramica contenenti offerte alimentari, che tradizionalmente i parenti portavano al defunto.
Dopo la caduta dell’impero romano, molti reperti di quell’epoca aurea, impressionanti per le loro dimensioni e perizia costruttiva, saranno poi recuperati e riutilizzati, per edificare altri templi, con nuovi dei, simboli e riti magici.