Proprio in questo ultimi mesi di febbraio/marzo 2019 si sta giocando la costituzionalità della legge abolizionista, messa in discussione. In Francia il primo febbraio il Consiglio Costituzionale si è pronunciato a favore, sancendone la costituzionalità!!!! In Italia il 5 marzo sarà discussa di fronte alla Consulta la costituzionalità della legge Merlin. L’Italia come la Francia si opporrà al tentativo di legalizzare lo sfruttamento sessuale chiamandolo “lavoro”, modificando o annullando la legge Merlin? Né sesso né lavoro. Politiche della prostituzione esce tempestivamente nello stesso giorno della discussione della Consulta in Italia per fornire, un contributo indispensabile al dibattito su prostituzione/sex work in Italia. Un testo importante per chi vuole capire qualcosa in più sulla prostituzione e sfilare la testa dalla sabbia dei luoghi comuni, andare oltre slogan sempre più diffusi che, volendo sdoganare la questione, negano gravi problemi sociali e mentono spudoratamente. Il sex work non è un lavoro come un altro, il concetto stesso di sex work stravolge il senso sia del sesso sia del lavoro. Forti di competenze specifiche, le quattro autrici mostrano i differenti aspetti del fenomeno in un’analisi calata nella peculiare realtà dell’abolizionismo tradito nel nostro paese, dove la lotta alla tratta non è una priorità e dove sulla prostituzione vige il laissez faire. Dall’esame dei modelli di politiche internazionali all’analisi della Legge Merlin (male interpretata) e delle numerose proposte parlamentari di modifica della legge, all’appassionata riflessione sulla portata della prostituzione negli attuali rapporti umani.
Primo capitoloQuello che avete tra le mani è un testo importante per chi vuole capire qualcosa in più della prostituzione e sfilare la testa dalla sabbia degli slogan oggi correnti: “Io non lo farei mai, ma se qualcuna vuole perché proibirglielo?”, “È una libera scelta, non bisogna essere giudicanti”, “Si deve legalizzare, se stanno al chiuso sono più protette”. Questo libro, a più voci ma con una visione unitaria del fenomeno nelle sue diverse implicazioni e letture politiche, mostra come tali affermazioni derivino da consapevoli o inconsapevoli visioni (neo)liberali e individualizzanti e implicano la negazione dei problemi sociali (e anche menzogne vere e proprie).
Il nostro libro si colloca nella linea abolizionista. Siamo fermamente convinte che nessuna donna si sottoponga al trattamento doloroso e umiliante di sfogatoio del sesso altrui per denaro se ha delle alternative o in assenza di costrizione. Bisogna andare oltre i veli delle parole, oltre la bella confezione del “sex work” (espresso nella lingua dei dominatori dell’economia-mondo1), oltre la spavalderia del dichiarare che mettere il proprio corpo a disposizione sessuale di chi lo vuole pagare è una libera scelta. Povertà e costrizione psicologica sono i veri principi attivi nella vecchia dinamica psicologica prostituta-magnaccia.
Oggi in Italia è tornato in auge – ma forse non è mai tramontato – il “metodo del Loverboy”, che consiste nella persuasione psicologica, nel ricatto emotivo di chi promette amore e poi incastra la ragazza: per amore devi aiutarmi con il denaro che otterrai prostituendoti, solo per un breve periodo. E ora che sei una “puttana” solo io ti posso accettare, solo io ti posso amare, e le botte e il mio controllo totale sulla tua esistenza di macchina per fare soldi sai bene che in fondo le meriti. La donna così degradata è usata dai pretesi “clienti”, abusatori che non ne vedono l’umanità, che nel migliore dei casi chiudono gli occhi sul suo stato di costrizione, nel peggiore ne godono, e sempre ne approfittano per usarla sessualmente.
Chi crede che si debba ricavare uno spazio legale per “farlo liberamente” sta solo agendo a favore di coloro che infliggono quelle ferite: prostituenti e sfruttatori. Senza dimenticare i trafficanti di esseri umani, che da decenni “riforniscono” i consumatori di quella che essi ritengono e maneggiano come merce-sesso, cioè i corpi, gli spiriti, le vite di ragazze e giovani donne provenienti dalla Nigeria e da altri paesi poveri. Qui nessuno ha dubbi: si distingue fra prostituzione e tratta per biasimare solo quest’ultima, cercando di confinare ai trafficanti di esseri umani la lotta alla prostituzione, come se i pretesi “clienti” rilevassero una differenza tra “merce libera” e “merce trafficata”. Questo naturalmente quando il cinismo accademico – di persone le cui esistenze sono ben lontane dalla realtà della strada e del bordello – non cancella anche la parola “tratta” per parlare di “migrazione per il sex work”.
Molte donne sopravvissute alla realtà della tratta verso l’Italia hanno raccontato le loro vicende di abusi e violenze nell’avvio alla prostituzione e nella prostituzione stessa, e si sono mobilitate per farne uscire le compagne. Tra queste innanzitutto Blessing Okoedion e Isoke Aikpitanyi,2 che sempre ricorda le altre sparite o ritrovate uccise nei femminicidi di strada del “mestiere più pericoloso del mondo”.
L’abolizionismo vede la degradazione cui sono soggette le persone che si prostituiscono non solo nella violenza o nella minaccia, nell’inganno o nell’abuso di chi è in posizione di vulnerabilità – come il Protocollo di Palermo ha codificato la tratta di esseri umani. Da Kathleen Barry a Julie Bindel, da Catharine MacKinnon a Carole Pateman, da Sheila Jeffreys ad Alice Schwarzer, i grandi nomi delle femministe (senza aggettivi) che hanno analizzato la prostituzione e la sua misoginia senza scivolare nell’illusione di “libere scelte” effettuate in mancanza di alternative, hanno detto e ripetuto che la tratta non è il caso particolare cui relegare ciò che di malvagio accade nella prostituzione, ma che l’acquisto dell’accondiscendenza al proprio sfogo sessuale diretto sul corpo altrui – quasi sempre femminile – è violento e inumano di per sé. E questa è la parte del cliente, i cui denari arrivano il più delle volte agli sfruttatori senza por tempo in mezzo. Per Karl Marx persino il fatto che la forza lavoro sia una merce è un inganno, perché il lavoro è un’attività inseparabile dall’esistenza del lavoratore – tanto meno il sesso può essere una merce, inseparabile com’è dall’integrità psicologica di una persona, dalla sua relazionalità più intima, dal suo profondo desiderio di condivisione, favolisticamente descritto da Platone nel discorso di Aristofane al Simposio già due millenni e mezzo fa.
La prostituzione non è né sesso né lavoro. È il motto che abbiamo fatto nostro dopo averlo udito da Rachel Moran negli incontri organizzati da Resistenza Femminista. Tutte noi consideriamo fondamentale il suo lavoro per la lucidità estrema con cui ha analizzato quello che le è accaduto, nel corpo e nello spirito, quando un suo “fidanzato” l’ha indotta a prostituirsi. Oggi attivista abolizionista, alle presentazioni del suo libro ci sono state, dentro e fuori, proteste di “sex worker e alleati”, che mai rimangono ad ascoltare e dialogare e che rumorosamente cercano di far passare per “neo-proibizionismo” la proposta politica di contrastare i “clienti” di Moran e delle fautrici del “modello svedese”. I protestatari non leggono il libro in questione perché “noi abbiamo la nostra esperienza”.
Invece è bene confrontare la propria esperienza e le proprie categorie con quelle degli altri, e specie se si è uomo o trans (la maggioranza dei protestatari) è utile ampliare la propria visione della prostituzione ascoltando che cosa dicono le donne. Imprescindibile è poi farlo se si aspira a dare indicazioni sulle politiche pubbliche per un tema che tocca soprattutto le vite femminili e i rapporti tra i due sessi. “Depenalizzare” dicono le Ombre Rosse. Depenalizzare che cosa? L’attività di chi si prostituisce non è sanzionata dalla legge italiana. A trarre beneficio da una “depenalizzazione” della Legge Merlin sarebbero gli sfruttatori e i favoreggiatori, mentre i clienti sarebbero ancora più legittimati nei loro atti sessuali pseudomasturbatori e nel loro sguardo misogino verso tutte le donne (tranne, come nell’Ottocento, le loro mogli e madri-madonne).
Il modello svedese che criminalizza i clienti non è necessariamente il punto di convergenza delle autrici di questo libro: le proposte in positivo di cambiamento di politica sulla prostituzione non le abbiamo approfondite collettivamente.3 Urgeva, piuttosto, prendere parola contro il concetto di “sex work”, contraddetto peraltro dalle stesse aspirazioni di chi si prostituisce, che quando non ha bisogno di un aiuto all’uscita vuole essere lasciata in pace dalle autorità. Legalizzazione significa invece schedatura – perché se fosse una lavoratrice da qualche parte deve risultare quello che fa esattamente – e pagare le tasse, contribuendo con il reddito all’obbligatoria “crescita del PIL”, motivi che spingono i politici a volere la legalizzazione. Anche questo “ce lo chiede l’Europa”, nella sua furia neoliberale di abbattere ogni confine allo sfruttamento della classe lavoratrice per aumentare il PIL. Eurostat dal 2010 vuole che gli enti statistici nazionali includano nei conti degli stati l’«economia non osservata»: non solo il sommerso, ma «le principali attività illegali che producono valore aggiunto quali contrabbando, prostituzione, traffico di sostanze stupefacenti, droga».4 Il cinismo di politici ed economisti mainstream non ha limiti.
Ma i veri vincitori di depenalizzazioni e legalizzazioni del “lavoro sessuale” sono coloro che lo sfruttano, diventati i “datori di lavoro” di donne che “liberamente” scelgono – non trovando altra attività che sfami sé stesse e i loro figli, quando non sono direttamente picchiate, torturate e costrette dai neo-datori di lavoro. “Non ci sono solo donne nel mondo della prostituzione”, obiettano i fautori del sex work. Certo, ma è di donne che vogliamo parlare, perché sono la maggioranza di chi si prostituisce. Se veramente persone trans e ragazzi gay dichiarano di voler esercitare l’attività legale di sex worker (ma ne dubito), la loro narrazione non può sommergere le sempre più numerose e potenti voci delle sopravvissute donne che non legano la propria identità a un’etichetta inglese, né vogliono essere considerate sfogatoi per l’idea maschile distorta di un rapporto eterosessuale, e sono sfibrate e traumatizzate dal trattamento che ricevono nel loro presunto lavoro.
“Criminalizzare la nostra attività” – il fine che le Ombre Rosse attribuiscono alle femministe – è un intento ben lontano dalle proposte abolizioniste e neoabolizioniste che, al contrario, vogliono rimettere sulle spalle dei clienti la responsabilità di fomentatori del sistema prostituente: il passaggio di soldi tra maschi sul corpo delle donne.