Sarà un Paese di mammoni, ma l’Italia non è un Paese per mamme.
Non lo è prima di tutto per il lavoro, sempre più difficile da conciliare con la famiglia a meno di non esser ricchi o dotati di nonni da schiavizzare.
Non lo è, inoltre, per i partner che le donne hanno al fianco, ancora così restii a condividere la fatica del lavoro di cura da sfigurare malamente nel confronto con i maschi nord europei.
Non lo è nemmeno per i servizi che mancano, né per l’idea stessa di città né, in ultimo, per un problema culturale.
A dispetto di tante, troppe parole sulla maternità, alle donne che fanno figli viene in sostanza detto: hai voluto la bicicletta? Adesso pedala. Da sola e in salita.
Un viaggio nella vita delle lavoratrici, mamme e non, attraverso i loro racconti, le difficoltà incontrate, qualche buona idea da replicare e dati e interviste a esperti e studiosi su lavoro e diritti. Spunti per fare una necessaria rivoluzione nel paese mammone che non ama le mamme
Primo capitoloQuesto è un libro di anonime.
Solo pochi nomi sono autentici, perché quasi nessuna delle donne che ha parlato con me si è potuta permettere di farlo dichiarando il proprio nome e cognome. Per non perdere il posto. Ma anche, fin troppo spesso, per non venire giudicate e di conseguenza in qualche modo condannate socialmente, emarginate come le solite rompicoglioni, le solite che non si accontentano, le solite isteriche, peggio, femministe, dall’intera loro comunità, uomini e donne a pari demerito, nelle grandi città così come nelle realtà di provincia.
Questo libro parla di me, che ho lasciato il lavoro per curarmi dei figli a fronte della chiusura da parte dell’azienda editoriale per cui lavoravo a ogni soluzione per venirmi incontro nella conciliazione tra famiglia e lavoro.
Questo libro parla di mia sorella, che ha tre figli, è infermiera e sperimenta la quotidiana, perenne fatica di dividersi, sdoppiarsi, tra casa e ospedale.
Questo libro parla della mia amica del cuore che un figlio non lo ha fatto perché non poteva smettere di lavorare.
Questo libro parla di tutte le donne come noi.
Quelle che sono state più o meno gentilmente accompagnate alla porta quando hanno fatto i figli, quelle che hanno rinunciato al posto di lavoro perché guadagnavano troppo poco per potersi permettere una tata o un nido, oppure banalmente un asilo nido a disposizione non lo avevano.
Quelle che il lavoro non lo hanno lasciato e così si sono ritrovate a camminare in equilibrio su un filo fatto di corse, ansia, orari, tate, nonni, zii, macchine da guerra senza un minuto di tempo libero mai.
Quelle che non se lo sono nemmeno potute domandare, se avrebbero voluto un figlio, perché tanto non erano nelle condizioni economiche per farlo, oppure avevano firmato un foglio di dimissioni in bianco al momento dell’assunzione.
Questo libro parla anche degli uomini. I nostri mariti, compagni, o chi nella coppia assuma il ruolo del maschio. Di quanto poco aiutano, capiscono e sostengono. In casa o in azienda. Non tutti, ma ancora troppi. Questo libro parla, in sostanza, di un problema che è soprattutto italiano: l’Italia, lungi dall’essere il paese dei mammoni, della mamma che solo per te la mia canzone vola, non è un paese per mamme. O forse bisognerebbe dire che non è un paese per donne, come raccontano i dati su istruzione, occupazione e pay gap: siamo più preparate dei nostri colleghi maschi, ma troviamo lavoro con più fatica e, a parità di competenze, siamo pagate meno. Per non parlare della violenza, certo: è un capitolo che non affrontiamo in queste righe, perché per quella serve un altro libro.