In Arabia Saudita, il paese più opaco del mondo arabo, le donne sono confinate nel ruolo disegnato dalla Sharia, dipendono a vita da un guardiano, non possono guidare l’automobile e sono segregate nel mondo femminile. Ma dietro questa cortina di ferro, sono proprio le donne a esprimere le più forti istanze di rinnovamento.
È quanto Michela Fontana ha scoperto vivendo e lavorando due anni e mezzo a Riad, durante i quali ha esplorato dall’interno la società saudita, incontrando attiviste, donne d’affari, studentesse, giovani professioniste, islamiste radicali, scrittrici, semplici mogli e madri. Nonostante il velo è una straordinaria polifonia di voci. Attraverso lo sguardo delle donne racconta i paradossi e le ambiguità del paese che ha ispirato alcuni dei più pericolosi movimenti fondamentalisti, fornendo una chiave di lettura per interpretare un mondo islamico che fatichiamo a comprendere, semplicemente perché non lo conosciamo.
Prefazione
Mentre il libro va in stampa nell’edizione aggiornata, la riforma più a lungo invocata e sognata dalle attiviste saudite – la possibilità di guidare l’automobile – sembra essere in dirittura di arrivo.1 È una rivoluzione dall’alto valore simbolico, che modificherà la fisionomia della società saudita, fino a oggi una delle più conservatrici del mondo arabo e la più chiusa verso l’emancipazione femminile. Anche perché altre riforme sociali, alcune delle quali riguardano proprio le donne, sono state annunciate dal trentatreenne erede al trono Mohammed Bin Salman (detto MBS), figlio di re Salman2 e vero ispiratore delle recenti politiche del governo saudita. Il piano Vision 2030, ideato insieme al padre, promette di dare importanza crescente all’inserimento della donna nella società e nel lavoro e di modificare profondamente, entro il 2030, il volto dell’Arabia Saudita che ho conosciuto e che racconto nel mio reportage. Dalla riapertura, dopo 35 anni di proibizione, dei cinematografi alla progressiva disponibilità del paese a concedere visti turistici a non islamici, al parziale allentamento della segregazione di genere, al ridimensionamento del potere della polizia religiosa, ognuna di queste riforme limiterà il ruolo che i religiosi wahhabiti hanno avuto nel paese sin dalla sua formazione e il potere di condizionamento sulla stessa famiglia regnante dei Saud.
Naturalmente una cultura così radicata come quella saudita e una società così poco abituata al confronto con la modernità e all’apertura non si potranno cambiare in pochi anni, ammesso che il futuro re non incontri ostacoli sul suo cammino. Inoltre non bisogna dimenticare che le aperture sociali e politiche di Mohammed non contemplano un allentamento del potere assoluto di casa Saud o un’apertura alla democrazia e alla tutela dei diritti umani.
Del resto, sono soprattutto le necessità economiche e geopolitiche a spingere MBS verso il cambiamento in un mondo mediorientale in costante sommovimento e all’interno del quale l’Arabia Saudita di casa Saud si sente minacciata da più parti. E i giovani sudditi, che formano la stragrande maggioranza della popolazione, non potranno non condividere le aperture sociali del giovane Mohammed che, almeno anagraficamente, è uno di loro e potrà diventare il primo re giovane dopo una lunga sequenza di sovrani saliti al trono già anziani. Il futuro re è determinato, spregiudicato, pronto alla guerra in Yemen contro gli avversari sciiti, deciso alla resa dei conti all’interno della famiglia reale, come dimostra la sua recente campagna contro la corruzione che ha ridimensionato potere e ricchezze dei principi più in vista. Vuole essere lui, che paradossalmente ha studiato soltanto in Arabia Saudita, a forgiare un paese più moderno, che non dipende interamente dai proventi del petrolio, che riduce l’impiego dei lavoratori stranieri. E che ha bisogno di donne che lavorano, che guidano, che possano raggiungere da sole negozi e uffici. E che in futuro saranno anche in grado – almeno teoricamente – di uscire di casa e fuggire da un padre o un marito violento, alla guida di un automobile.
Sarà capace il futuro re di cambiare la profonda cultura paternalista fino ad abolire totalmente la segregazione di genere e la figura del guardiano (padre, marito, fratello, figlio maschio), che ha ancora sulle donne potere assoluto, rendendole eterne minorenni, e impedisce loro di viaggiare senza la sua autorizzazione, di ottenere la custodia dei figli dopo il divorzio, di sposarsi con uno straniero? Oppure tutto sembra cambiare perché non cambi davvero nulla, in una società dove l’evoluzione è necessariamente lenta e la primavera araba del 2011 non si è fatta sentire?
La chiave è riposta negli sviluppi geopolitici mediorientali, nel quadro economico, ma anche nel sentire profondo della società saudita e nel ruolo che le donne che io ho conosciuto da vicino e che racconto si sapranno conquistare.